undici sian larghezza del vacuo della porta. Gli stipiti detti impadines1 posti a destra e a sinistra della porta per ornamento d’essa, devono essere in diametro li 3/15 della detta larghezza, ovvero un quinto. È opinione di alcuni architetti che quest’altezza della porta sia in arbitrio dell’architettore, assegnando questa ragione, che l’altezza della cella insino al tolo o lacunario potria esser tale che facendo alta la porta 5/18 essa saria assai disproporzionata. A questa ragione si può facilmente rispondere, perchè benchè alla necessità dell’ingresso degli uomini nel tempio apparrà disproporzionata, non è però disproporzionata alla grandezza d’esso tempio, siccome benchè per gli occhi piccoli tutto quello si possa vedere che per i proporzionati al corpo loro si vede, non sono però fuori di proporzione, essendo grandi secondo il consueto. E la cagione di questo è, perchè non solo queste parti sono fatte per ingresso del tempio o per la cognizione dell’animale, ma per formosità dell’uno e dell’altro, la quale non può risultare senza debita proporzione. E benchè la latitudine assegnata secondo gli antichi sia differente alquanto da quella che delle porte assegnai nel secondo libro2, nientedimeno laudando questa, non è da biasimare quella, avendo visto molti periti quella avere usato e approvato. E quanto al diametro degli stipiti, a me pare che devono essere 9/40 della larghezza, e di simile larghezza debba esser l’architrave sopraposto al vacuo della porta, il quale gli stipiti sostengono. L’architrave e stipiti devono essere divisi in dodici parti eguali, e tre di queste si deve dare alla prima parte più distante del vacuo della porta chiamata da Vitruvio3 astragalo, e volgarmente detta intavolatura: e alla parte di mezzo, detta tavola, cinque se ne attribuisca e ultimatamente quattro alla terza parte ultima propinqua al vacuo; nella estremità di questa parte, secondo il mio giudizio, in luogo degli
- ↑ Forse volle dire impages, quell’impadines non essendo parola latina. Lo stipite è antepagmentum, benchè la radice sua sia certamente latina anzi greca, e derivante forse dai legni verticali che nelle case de’ villici formavano le spallette delle porte.
- ↑ Libro II, capo 1.
- ↑ Lib. IV, cap. 6. L’astragalo del quale qui parla Vitruvio è una sagoma, non la cornice superiore della porta che ha proprio nome d’intavolatura. Tavola poi è il fregio della porta, così detto dal suo esser liscio. Gli architetti della scuola del Brunellesco, prendendo esempio dai loro antichi, spesse volte omisero il fregio.