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libro iv 233

undici sian larghezza del vacuo della porta. Gli stipiti detti impadines1 posti a destra e a sinistra della porta per ornamento d’essa, devono essere in diametro li 3/15 della detta larghezza, ovvero un quinto. È opinione di alcuni architetti che quest’altezza della porta sia in arbitrio dell’architettore, assegnando questa ragione, che l’altezza della cella insino al tolo o lacunario potria esser tale che facendo alta la porta 5/18 essa saria assai disproporzionata. A questa ragione si può facilmente rispondere, perchè benchè alla necessità dell’ingresso degli uomini nel tempio apparrà disproporzionata, non è però disproporzionata alla grandezza d’esso tempio, siccome benchè per gli occhi piccoli tutto quello si possa vedere che per i proporzionati al corpo loro si vede, non sono però fuori di proporzione, essendo grandi secondo il consueto. E la cagione di questo è, perchè non solo queste parti sono fatte per ingresso del tempio o per la cognizione dell’animale, ma per formosità dell’uno e dell’altro, la quale non può risultare senza debita proporzione. E benchè la latitudine assegnata secondo gli antichi sia differente alquanto da quella che delle porte assegnai nel secondo libro2, nientedimeno laudando questa, non è da biasimare quella, avendo visto molti periti quella avere usato e approvato. E quanto al diametro degli stipiti, a me pare che devono essere 9/40 della larghezza, e di simile larghezza debba esser l’architrave sopraposto al vacuo della porta, il quale gli stipiti sostengono. L’architrave e stipiti devono essere divisi in dodici parti eguali, e tre di queste si deve dare alla prima parte più distante del vacuo della porta chiamata da Vitruvio3 astragalo, e volgarmente detta intavolatura: e alla parte di mezzo, detta tavola, cinque se ne attribuisca e ultimatamente quattro alla terza parte ultima propinqua al vacuo; nella estremità di questa parte, secondo il mio giudizio, in luogo degli

  1. Forse volle dire impages, quell’impadines non essendo parola latina. Lo stipite è antepagmentum, benchè la radice sua sia certamente latina anzi greca, e derivante forse dai legni verticali che nelle case de’ villici formavano le spallette delle porte.
  2. Libro II, capo 1.
  3. Lib. IV, cap. 6. L’astragalo del quale qui parla Vitruvio è una sagoma, non la cornice superiore della porta che ha proprio nome d’intavolatura. Tavola poi è il fregio della porta, così detto dal suo esser liscio. Gli architetti della scuola del Brunellesco, prendendo esempio dai loro antichi, spesse volte omisero il fregio.

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