Trattato di archeologia (Gentile)/Arte italica/III/Appendice III
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APPENDICE III.
Confronto tra la situla della Certosa e lo scudo d’Achille.
(Ved. tav. 15, 21, 24).
La situla istoriata degli scavi della Certosa non è sola, ma fa parte di una serie di situle a lamina lavorata a sbalzo, di cui parlerò più innanzi.
Per ora ricercandone la provenienza e la diffusione, mi limiterò a studiare la situla di Bologna in sè, tentando di spiegare la sua rappresentazione e le relazioni che presenta con l’arte omerica dello scudo di Achille.
Innanzitutto, malgrado le scoperte dello Schliemann, le verifiche del Dörpfeld e l’opera magistrale dello Helbig sull’epopea omerica, non si può ancóra ricostruire la tecnica dello scudo omerico, e sapere se sia o no in gran parte opera della fantasia di Omero. Dopo le discussioni di carattere negativo del Bursian e del Müller, Clermont-Ganneau, nella Revue critique del 1878, concludeva che i monumenti fenici e di lavorazione a tipo fenicio, quali la coppa di Palestrina, ci suggeriscono la possibilità della ripetizione delle azioni rappresentate in quadri successivi e variati. Il Milchhöfer, però, nel 1883, nel suo bel libro: Die Anfänge der Kunst, mostrò però l’impossibilità che il lavoro dello scudo omerico sia su una lamina a repoussé, ossia a sbalzo, e quindi ci allontana dal confronto di esso con la nostra situla e dalla determinazione di una vera e propria imitazione omerica in quest’ultima.
L’Helbig, nella seconda edizione dell’Homerische Epos (1887, traduz. francese, pag, 415), conclude che lo scudo, nel suo complesso, è l’opera della fantasia poetica, ma che les descriptions des scènes particulières ont souvent été suggérées par des représentations figurées, e bisogna riconoscervi l’intervention du souvenir d’oeuvres grecques, dans lesquelles l’esprit national s’était déja élévé à une expression individuelle.
Fu primo, però, il Brunn a mettere in rilievo nel 1887 l’analogia molto stretta fra lo scudo d’Achille e le situle dell’Italia Settentrionale (Über die Ausgrabungen der Certosa, Monaco, 1887, pag. 26-170), concludendo che il n’existe pas un second groupe de monuments que l’on pût utiliser aussi directement pour la restitution du bouclier homerique, que les situles de Bologne et de Watsch. Passa poi a considerare la questione se si possa dire umbra la civiltà rappresentata della situla, dicendo che tale opinione viene da quella che ritiene gli Umbri sconfitti, annientati poi dagli Etruschi, se non che le scoperte e gli studi nella Carinzia, offerti dal Meyer nel lavoro: Gurina im Obergailthal, Dresda, 1885 (cfr. Orsi, Bull. di Paletn. Ital., XI, (1885)), inducono a credere piuttosto che alcune popolazioni illiriche, spinte dalle spiaggie orientali del Mar Adriatico verso il Nord e l’Ovest, per via di terra siano pervenute nell’Italia Settentrionale, portandovi così ricordi, tendenze artistiche greche. Le coppe d’arte fenicie erano pasticci, per così dire, a cui l’arte egiziana ed assira diedero gli elementi, e l’arte micenea offre parecchi confronti, cosicché si può concludere che queste situle istoriate siano imitazioni degenerate di modelli micenei. Così la tradizione epica non solo, ma anche l’artistica della Grecia micenea, introdotta in Cipro prima della introduzione fenicia, si diffonde a Creta, e nell’Europa Occidentale, sulle rive del Bosforo Cimmerio e dell’Adriatico. Il Brunn, nella sua Griechische Kunstgeschichte, mette in rilievo le analogie del lavoro artistico fra lo scudo d’Achille e le situle celto-illiriche, come fra queste e l’opera romana conosciuta sotto il nome di Sedia Corsini. Certamente, come osservavo nel 1897 in un mio lavoro a proposito di una lamina a sbalzo istoriata di Rovereto, che illustravo pel Museo di Torino (ved. Nuovo Archivio veneto, XVI, parte I, pag. 10 e segg., dell’estratto), “certamente non si può ammettere qui in Italia un passaggio repentino dallo stile geometrico paleoitalico, quale vediamo nella ceramica e nei manufatti della età del bronzo e della prima età del ferro, allo stile figurativo e artistico delle situle e della nostra lamina, senza ammettere un elemento nuovo, estraneo, che fu creduto dal Deschmann l’etrusco, da altri il fenicio, ma fu già fin dal 1888 riconosciuto dal ch. Ghirardini come più verosimilmente greco arcaico, quale si vede nei bronzi sphyrelata di Dodona e di Olimpia, e che si intravede tanto nel gruppo greco-bolognese, quanto in quello atestino ed illirico„. E mi sono sforzato di dimostrare, con lo studio specialmente della situla della Certosa e il confronto di quella di Watsch (cfr. le nostre tav, 15, 24), che vi è in queste situle un elemento generale, che è il greco-arcaico coi suoi animali decorativi orientalizzanti, con la composizione distribuita a zone, lavorata a sbalzo, con la rappresentazione delle processioni sacre, come, p. es, le panathenes, e il concetto di una rappresentazione descrittiva di una narrazione veramente omerica dei periodi e delle azioni principali della vita reale.
Oltre questo elemento generale ve n’è uno particolare, indigeno, che è dato “da certa libertà di distribuzione di fatti e di ornamenti, da certe forme negli elmi, nei seggi, nei carri, nella bardatura dei cavalli che rappresentano, nei costumi del tempo, elementi, che furono trovati in natura a Watsch, a St. Margarethen, e che appartengono a un periodo non molto differente da quello delle tombe in cui le situle si trovarono„ (op. cit., pag. 12).
Questi particolari indigeni, per così dire, nell’arte delle situle, indicherebbero che, importati i modelli e studiata la tecnica allo sbalzo dagli artisti locali, vi sia stata poi una produzione in parte, con motivi indigeni, tolti dalla vita paesana, di questo genere d’opere d’arte.
Una riprova di questo si avrebbe nella copiosa riproduzione, che nei centri maggiori di diffusione delle situle in questione noi riconosciamo costante, riproduzione in terracotta degli originali in bronzo, con la così detta imbullettatura di borchie di bronzo, immesse nella pasta ancor molle, a ricordo dell’uso di vere borchie o rigonfiamenti negli esemplari in bronzo.
Malgrado quanto siamo venuti osservando, non tutti sono daccordo, non solo per le situle istoriate, ma in genere anche per la decorazione geometrica delle opere d’arte italiche, circa il viaggio che avrebbero compiuto gli oggetti e i motivi artistici dall’Oriente in Italia, e, pure stando ferme quelle analogie e quelle conclusioni a cui siamo venuti circa l’imitazione omerica, la questione dev’essere ritrattata più ampiamente.
Tavole
Necropoli a incinerazione di Bismantova.
(Età del Bronzo).
(Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. B, 41).
Tavola 18.
N. 1, scalpello in bronzo. — 2, rasoio semilunato. — 3, spillo in bronzo con capocchia di vetro; — 4, ciondolo in bronzo. — 5, braccialetto in bronzo. - 7, arco di fibula in bronzo. — 8, fusaiuola in steatite. 9-10, vetro. — 11-12, tubetti di bronzo. — 13, fibule a tre spirali semplici in bronzo. — 14-15, id. ad arco semplice. — 16, tomba di pietre squadrate. — 17-21, ossuari in terra cotta, il n. 17 con relativa ciotola sovrapposta. — Bismantova segna il passaggio alla civiltà di Villanova (cfr. tav. 19).