Trattato completo di agricoltura/Volume I/Vinificazione/4

Correzioni alla fermentazione

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correzioni alla fermentazione.

§ 538. Se adunque la fermentazione vinosa può così tanto variare e nel processo e nel risultato, per la diversa qualità [p. 528 modifica]chimica del mosto, chiaramente è mostrata la necessità, che chi si accinge a far vino debba essere fornito di quelle cognizioni, che sfortunatamente mancano ai nostri vinificatori; laddove, applicate in paesi ed in climi assai più freddi dei nostri, diedero rinomanza ai vini del Reno e della Francia settentrionale.

Ed invero, un istrutto vinificatore potrà, a norma del caso ed entro certi limiti, modificare a suo talento la fermentazione ed ottenere un miglior risultato, ossia un vino migliore. Queste modificazioni poi consistono nel mettere in miglior relazione la proporzione di materia zuccherina con quella della materia azotata, onde possibilmente la prima rimanga interamente convertita in alcool, e la seconda, il che più importa, sia depositata totalmente come fermento insolubile. Epperò, nei nostri climi sarà d’uopo diminuire la parte azotata, od aumentare la parte zuccherina.

Allo scopo di diminuire la troppa proporzione di materia azotata è utile l’appassimento dell'uva, il disseccamento d’una parte di essa, la concentrazione del mosto per mezzo della cottura, il levare parte della schiuma che viene alla superficie del mosto fermentante, l’aggiunta d’una certa quantità di gesso, l’aggiunta d’una materia zuccherina qualunque.

L’appassimento dell’uva è utilissimo, specialmente negli anni piovosi, poichè diminuisce la proporzione dell’acqua. In certi paesi asciutti e ventilati si usa farla appassire sulla pianta, lasciandovela per molto tempo anche dopo la maturanza, torcendone dapprima il picciuolo dei grappoli od anche la base dell'intiero tralcio in modo che dalla pianta l’uva non riceva quasi più alcun nutrimento, nè umidità. Ove però il clima o la stagione non permetta questa operazione in aperta campagna, sarà necessario farla appassire al coperto, riponendola sopra graticci o sopra suoli assorbenti.

Il disseccamento si ottiene per mezzo del forte sole, ma ordinariamente, presso di noi, non è possibile che col passar l’uva in forni caldi.

La concentrazione del mosto per mezzo della cottura è vantaggiosa negli anni umidi, ossia quando l’uva sia ricca d’acqua od immatura. Essa era usata anche nei tempi antichi. Per ottenere un vino assai durevole, era costume aggiungere al mosto già ottenuto colla pigiatura, un’altra porzione, circa un quarto, di mosto ridotto ad un terzo mediante la cottura. Esaminando questa pratica colla scorta delle cognizioni [p. 529 modifica]chimiche che avete sulla fermentazione, potrete spiegarvi come per tal mezzo si possa diminuire la parte azotata del mosto. Infatti voi sapete che coll’ebollizione, cioè quando una sostanza vien sottoposta ad una temperatura maggiore di 100°, perde la facoltà di alterarsi; ed egli è perciò che, oltre al sensibile disperdimento d’acqua, la materia azotata contenuta in quella porzione di mosto viene immediatamente ridotta insolubile per la sua pronta combinazione coll’ossigeno contenuto nella sostanza sottoposta a tale temperatura, e che conseguentemente la materia zuccherina viene a restare in maggior proporzione. A ciò aggiungasi anche l’azione che esercitò il calore sulla conversione degli acidi vegetali in zuccaro, per tutto il tempo che durò la cottura. Infatti il mosto bollito, tenuto a parte non fermenta, si rischiara assai lentamente, e si conserva dolce.

Il levare parte della schiuma durante la fermentazione serve mirabilmente a diminuire la quantità di fermento; ed invero il mosto liquido dei vini bianchi che fermenta nelle botti, lasciando traboccare dal loro cocchiume gran parte della schiuma che mano mano si solleva, fermenta assai più lentamente e lungamente; il vino riesce meno aspro e meno difficilmente, anche in seguito, passa alla fermentazione acetica, benchè esposto all’aria; piuttosto si rende filamentoso, passando poscia rapidamente alla fermentazione putrida.

L’aggiunta del gesso (solfato di calce) agisce sulla materia organica fornendogli l’ossigeno dell’acido solforico, per cui più facilmente si ossida e si precipita allo stato insolubile prima d’agire sullo zuccaro del mosto. La quantità approssimativa del gesso d’aggiungere sarebbe di 5 grammi per ogni 100 chilogrammi di mosto; ed è bene non sorpassarla perchè non ne rimanga qualche porzione indecomposta a guastare l’abboccato del vino. Anche questa operazione era in uso presso gli antichi.

L’aggiunta d’una materia zuccherina è la correzione più innocua e migliore che si possa fare al mosto, tanto più se venga usato zuccaro d’uva, od uva passa alquanto macerata nell'acqua calda. Per ciò importa determinare approssimativamente dapprima la mancanza della materia zuccherina nel mosto, la quale, di solito, sta tra l’uno ed il quattro per cento del peso totale. Questa correzione è usitatissima in Francia, e non può considerarsi una falsificazione, come forse lo sarebbe l’aggiunta dell’alcool o di qualche materia aromatica, astringente od amara; lo zuccaro subisce la fermentazione come se appartenesse al mosto, e l’alcool che si forma resta [p. 530 modifica]unito al vino, come se provenisse dalla fermentazione di sola uva. Le altre sostanze accennate invece, ed anche l’alcool, restano mescolate, disciolte, o sospese nel vino, ma non intimamente combinate.

In certe località ed in certe circostanze alcuni usano di sgranar l’uva onde separarne i graspi, poichè, contenendo questi la massima parte del principio astringente, tendono ad aumentare l’asprezza dei vini. Questa pratica però deve farsi soltanto colle uve che scarseggiano di materia zuccherina: nei climi caldi invece è meglio non farla. Ciononpertanto quei vini che fermentarono senza i graspi sono più facili a filare, ossia a tener sospesa e non disciolta la materia gommosa, che vi dissi insolubile nell’acqua e nell’alcool, solubile invece negli acidi vegetali, quali appunto sarebbero l’acido tannico e tartrico che si riscontrano nei graspi. Per separare gli acini dai graspi si possono far passare i grappoli fra i denti d’un largo pettine di legno, tenendoli pel picciuolo. Si può anche separarli agitando i grappoli in un recipiente cilindrico, col mezzo d’un bastone diviso all’estremità in tre o quattro parti divaricate fra loro; il recipiente non dev’essere troppo largo, e riempito di grappoli solo per 0m,25 d’altezza; sgranati questi, gli acini si pongono in altro recipiente, i graspi si mettono a parte, e vi si sostituisce altra quantità di grappoli, e così via via. Con questo mezzo un operajo può in un giorno separare i graspi di circa 2500 chilogrammi d’uva.

Le norme adunque per una buona fermentazione vinosa, sono:

1.a Uva matura e ben monda.

2.a Pigiatura immediata e ben fatta.

3.a Tini riempiti in 6 ore circa, e contenenti circa 3000 chilogrammi di mosto.

4.a Vinaccie mescolate uniformemente e mantenute depresse nella parte liquida del mosto.

5.a Aria che penetri nel tino e lambisca la superficie liquida del mosto. Perciò le tinaje sono preferibili alle cantine, ove l’aria difficilmente si cambia per l’accumulamento del gas acido carbonico che, come più pesante dell’aria, non si eleva che lentamente dai luoghi profondi, con pericolo eziandio di chi presta l’opera per la vinificazione.

6.a Temperatura dell’ambiente mantenuta tra i 12 ed i 15 gradi centigradi, perchè la fermentazione non sia resa troppo rapida e tumultuosa.

7.a Aumentare la materia zuccherina con zuccaro d’uva, o [p. 531 modifica]con uva passa; o togliere la maggior proporzione della materia azotata, levando la schiuma dalla superficie liquida fermentante.