Trattatelli estetici/Parte seconda/XVIII. Le controversie di conversazione e di giornale
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XVIII.
LE CONTROVERSIE DI CONVERSAZIONE E DI GIORNALE.
Si va dicendo comunemente che le controversie sono la vita delle conversazioni, ossia ch’ove non siavi inclinazione pel questionare, la noia ed il sonno assai facilmente distendono il loro impero negli animi e sulle ciglia. A questa comune opinione io non avrei che opporre, specialmente quando il significato della parola controversia si prendesse assai largo. Finche si considerano le quistioni che si fanno conversando non più che come un passatempo, non c’è che dire; anche con quest’arme di giun co il tempo può rimanere ammazzato: ma chi mi volesse provare l’utilità di tali esercizii pel maggiore assottigliamento delle nostre facoltà intellettive, non mi avrebbe più tanto facile nell’aderire. Le controversie che si fanno dalla più parte delle persone conversando non riescono a nulla, non istruiscono e non persuadono chicchessia; irritano piuttosto le particolari passioni di ogni uomo, e quello che prima della discussione era errore, come a dire, a fior di pelle, dopo la discussione si trova il più delle volte essersi inviscerato nell’anima profondamente.
Perchè la quistione cagionasse buon effetto d’istruzione e di convincimento in una delle parti contendenti si richiederebbe una buona dose d’istruzione e di volontà di rimanere persuaso. Per lo più l’una e l’altra di tali qualità mancano a’ quistionatori, quindi il quistionare torna inutile affatto, salvo che, come s’è detto a principio, a far che il tempo, capitale nemico degli oziosi, se ne passi inavvertito. Potrebbe taluno oppormi che il domandare l’istruzione in chi dovrebbe in forza della discussione rimanere persuaso sia cosa del tutto assurda; ma ciò mi si opporrebbe da chi non volesse capire potervi avere istruzione più o meno estesa. Certo che chi erroneamente difende col proprio discorso un dato principio non ne è convenientemente istrutto, ma può, oltre a questa relativa ignoranza, avere anche quell’altra specie d’ignoranza più deplorabile, per cui non sia atto ad intendere ciò che il deve rendere accorto del proprio errore. E tale appunto è la condizione della più parte di quelli che pongousi a quistionare.
Mi fecero assai volte un’indicibile compassione certi uomini pazienti e di buonissima fede, che si credevano avvolgere il loro avversario nei lacci di una ben condotta argomentazione: il cattivello, che è che non è, non se ne sviluppava, ma scappava fuori tagliando ciò che non gli era dato di sciogliere. Che ne cale a cotestoro di una conclusione che non abbia nulla a che fare colle premesse, o che venga anzi a dire il contrario di quelle? Purchè non manchi loro la voce a cianciare, non aspettate che manchi loro la fronte ad opporre. Hanno oltre a ciò una bel lissima uscita, che mai nou vien loro meno, in quanto che non domanda che l’uso di tre o quattro parole; io non capisco, vi dicono, che cosa v’intendiate con questa o con quest’altra definizion vostra; e, come voi più vi affaticate a dicifrarne loro il senso, ed essi più sempre si incaponiscono, e ricantano quel loro bellissimo non capisco. Sicchè vi è pur forza di stringervi nelle spalle, e darla per disperata.
Si potrà credere che gli ascoltatori almeno, come quelli che sono lontani dal bollore della quistione, possano vedere la cosa pel suo miglior lato, e ritrarne un qualche vantaggio; ma anche in questa credenza ci sarebbe inganno, poiché gli ascoltatori non sono, generalmente parlando, da più di que’ che quistionano, e quindi non possono intendere, nè più nè meno di quelli, le buone ragioni che vengono allegate da una parte, e le insussistenti che dall’altra. Quando poi ascoltano pronunziare quel perentorio non capisco, odi levarsi un mormorio di approvazione, o che l’approvazione si dipinge su tutti i volti, giacchè quel detto trova un eco in tutte le menti, che in questo sono di una invidiabile sincerità. Si ha egli dunque a tacere quando si è in conversazione, o veramente uno parlare e gli altri rispondere affermativamente ad ogni cosa? Non dico questo, ma, quanto a me, crederei che si avesse a parlare piuttosto di tali che di tali altri argomenti, e se si vuole anche venire a contesa sopra materie non gran fatto suscettive di trattazione estemporanea, persuadersi in prevenzione di non far altro che passare il tempo, e quelle questioni, quantunque sopra soggetti gravi ed importanti, essere frivole e senza effetto, come appunto i giuochi de’ fanciulli, o il zufolare che si fa per abbreviare la strada da chi va contro voglia, o ha un po’ di paura.
Qual vantaggio da questa persuasione? Il vantaggio notabilissimo che l’errore, il quale, come ho detto più sopra, dopo la questione conficcasi più saldamente nell’intelletto, vi rimarrebbe lievemente attaccato com’era da prima. Quando si sapesse che non d’altro trattasi quistionando fuorchè di dar spaccio a un po’ di voce, e mettere in corso alquante parole, l’amor proprio non si leverebbe con tanta forza a difendere le proprie ragioni, e, stesse il torto da questa o da quella parte, non si crederebbe maggior vergogna che del non avere alla sua volta rimbalzata a dovere la palla che il compagno aveva mandato. E davvero che dopo simili controversie mi è tocco molte fiate affliggermi più assai pei nuovi errori che io vedeva essere entrati in qualche intelletto, che per la inutilità della prova onde altri aveva cercato di espellere gli antichi. Ma le sono cose coteste da pigliarne afflizione? È vero; a voler essere uditi senza sbadigli, egli conviene passarvi sopra ridendo.
E i giornali? Il fatto dei giornali è in molte parti assai simile a quello delle conversazioni. Anche i giornali senza controversie tirano innanzi molto difficilmente. Non c’è intitolazione di articoli più vellicante di quella che dice polemica. Ognuno che vi mette su l’occhio susurra fra sè: qui c’è di che pascerci piacevolmente. Ma sapete voi bene di che si tratta? — Ciò poco importa: ne sapremo presso a poco quel tanto che ne sanno per lo più gli scrittori di siffatti articoli. — Ed hanno ragione. Ma avete letto per lo meno l’opera cui l’articolo si riferisce? Anche qui la stessa risposta sovra notata, e, conviene pur confessarlo, con la stessa ragione.
Molti declamano contro le contumelie e le visibili menzogne di che non di rado abbondano le polemiche: ma, e il buon senso di che mancano presso che sempre? Non ho veduto immagine più fedele della torre dell’antichissimo Nembrot. Allegate un’autorità? L’altro vi risponde con una ipotesi. Accampate un sillogismo? L’altro esce fuori con una citazione. Chi è tanto dolce di sale da credere di poter serrare il suo avversario usando de’ buoni argomenti? Finche e’ è inchiostro da tingere carta, e braccia da girar torchi, è semplicità deplorabile il credere che le ragioni impongano silenzio. E il pubblico? E sotto sopra lo stesso delie conversazioni. Legge, e poi torna a leggere, finche si stanca, e getta la carta, conchiudendo che tutti due hanno torto; o, al più al più, accordando il suo favore a chi lo ha fatto ridere con maggior gusto. Anche riguardo a ciò il migliore sarebbe di credere, senza più, che le polemiche dei giornali siano fatte pressoché sempre per divertire il pubblico, ed occupar spazio, anziché per dimostrare la verità di cosa alcuna, o convincere chicchessia.