Trattatelli estetici/Parte seconda/XVII. Difetti dei giovani letterati del nostro tempo
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XVII.
DIFETTI DEI GIOVANI LETTERATI DEL NOSTRO TEMPO.
Tu entri in un ginepraio da non uscirne che a gran fatica e con poco onore. Tanto è voler dichiarare uno per uno i difetti de’ giovani letterati del nostro tempo, quanto descriver fondo a tutto l’universo. E forse peggio. Questi giovani di fatti abbracciano coll’avida fantasia il mondo tutto, e più là; anzi ove ha termine il possibile, ivi apresi il campo opportuno alle loro esercitazioni. Simili all’augello, vero o falso che sia, che mai non s’arresta a dormire ed è solito a cibarsi non d’altro che d’etere il più sottile, hanno essi in abbominio quanto odora di realtà ed è avvalorato dall’esperienza. «Straordinarietà vuol essere, dicon essi; colori smaglianti. Che farne de’ grami pedanti che, simili alla covacenere, se ne stanno accoccollati sul classico focolare, soffiando di e notte ne’ mezzo spenti tizzoni? Lasciamoli alla buon’ora que’ gonfiagote consumare la vita nell’ingrato lavoro: noi saltellando vispi ed allegri beviamo l’aperta luce del sole, preferibile certamente a quella delle brage.» Di tal gente vuoi penetrare e descrivere le intenzioni? Annoverare le stravaganze? Non sarebbe questa stravaganza maggiore di quelle che ti metti a censurare?
Era mio amico chi mi faceva queste osservazioni, sapendomi disposto a scrivere il presente articolo, sicchè, lasciatolo terminare la sua caritatevole chiacchierata, gli soggiunsi tranquillamente: vedi diversità di giudizii! A me non sembrò di avere avuto mai per le mani argomento più agevole ad essere definito in poche parole. — Come questo? proruppe l’amico. Sta a vedere che l’irregolare ha confini più comodi ad essere descritti di ciò ch’è ordinato? — Non so d’ordine o di confini, so che con una frase generale tutte intendo notare le bizzarrie del moderno comporre. — Quale sarà questa frase maravigliosa? Penso che debba essere della natura de’ geroglifici, gravidi di tutti que’ sensi che sono loro attribuiti dalla numerosa famiglia degli archeologi. — Nulla di tuttociò; una frase semplice semplicissima, aperta apertissima i difetti del comporre moderno sono il rovescio di quel le virtù che i moderni scrittori presumono di possedere. — E niente altro? — Niente altro. Ma ti prego, di grazia, lasciami continuare nell’applicazione di questa sentenza ad alcun che di particolare; alla poesia, a modo d’esempio, della quale si cercano nuovi tipi, e si va predicando una specie di ricreazione.
Tu ascolti un discorrere continuo di popolarità, egli è a questo termine che vuolsi condurre la moderna poesia. Or bene, hai tu letto nutla di men popolare delle poesie moderne? Che cosa ne può intendere il popolo di quel misticismo, di quelle astrazioni, di quelle sottilità, espresse con parole inintelligibili anche agli studiosi, e ravvolte nelle ambagi di costruzioni intralciatissime? Questa è una popolarità in manichetti e lattughe. Dirai lo stesso della loro semplicità, che in luogo d’esser tale è affettazione che ti ammorba. Dicono di darti naturalezza, e trovi da per tutto uno stento da farti mancare il respiro. Sai che cosa significhi la loro semplicità? Metterti innanzi trivialità delle più goffe, non punto rese tollerabili dagli artifizii dello stile o dell’armonia. Certo le sono co se naturali; ma chi ti ha detto di ricopiar la natura anzichè d’imitarla? Il vero, il vero, schiamazzano altri, trionfi il vero. Chi è tanto pazzo da contraddire a questa domanda? Ma che cosa è il vero de’ nostri poetuzzi? Il vero delle cronache, dei racconti delle mille e una notte. Tuttociò ch’esce della rozzezza e ferità dei costumi non è verità. A questo vero tiene dietro l’evidente. Ma che evidenza, dio benedetto! Hanno a descriverti un edifizio? Non ti risparmiano angolo alcuno, per riposto che sia.vVogliono metterti dinnanzi una figura umana?vTi è forza ingoiarti il catalogo di quanto ha indosso, dalla piuma del berretto fino all’ultima stringa della scarpa. Guai pel lettore quando s’impigliano nella pittura di un paese! Montagna o pianura è tuttuno; non c’è filo d’erba, non sassolino che non ti vogliano commentare. Dieci anni spesero i Greci ad espugnar Troia, appena il doppio credi bastante a costoro a ritrarre colla pertinacia della loro arte pennelleggiatrice il dove de’ loro racconti. Nuovi vogliono essere tutti, e non vidi scimiotterie più frequenti e schifose di quelle della moderna scuola. Sono vecchi vecchissimi appena nati. I loro concetti hanno tutti il ritornello obbligato che potrebbesi cauterellare a pieno coro, per poca lettura che si abbia fatta degli scritti di qualcheduno de’ loro antesignani! Ove non trovi il tornco.? Chi fa senza il frate? Da qual lato puoi volgerti che non ti si mostrino le torri del castello? Arpa che geme dall’alto, fragore di ponte levatoio che si abbassa, bestemmie di sicarii nelle taverne, sono musica che deve averti ristucchi gli orecchi. Pur questa è novità. Conchiudiamo, mio caro: sono difetti dei moderni una semplicità affettatissima, una naturalezza stentatissima, una popolarità da limbicco; e per giunta un vero ch’è strano, un evidente coufuso, un nuovo che mostra in ogni canto i buchi delle tignuole.
Voglio anche, ma così di passaggio, parlarti dello stile e della struttura dei versi. Si piccano quanto allo stile di una proprietà e di una parsimonia senza pari. Proprietà è per essi razzolare nel vecchiume delle biblioteche, a trovarvi vocaboli e costruzioni di ambiguo o recondito significato. Bruniscono qualche informe pezzo di metallo irrugginito, e vogliono che sia preferibile a ciò di più elegante e di più prezioso che seppero produrre i secoli posteriori. Hanno ragione mettono in conto di valore la fatica durata nella pulitura. Chi si pone a leggere le moderne poesie senza da lato il dizionario non potrà intendere che per discrezione. E il dizionario le molte volte non basta; egli ti bisogna aver qualche dimestichezza co’ dialetti, colle lingue romanze, coi modi proverbiali affatto particolari ad un tempo, ad una città che benedetta sia la facilità dell’intendere ciò che si scrive con tanta proprietà da’ moderni! Della parsimonia puoi avere un ritratto in quelle antiche pitture che sono spoglie affatto di campo, e a cui l’artista non si è curato di dare rilievo alcuno. La parsimonia dei moderni è secchezza, che lascia numerare le costole, e per poco non dico le battiture del cuore. Lo stesso è da dire dell’armonia de’loro versi. Hanno in abborrimento lo strepito de’ verseggiatori passati; peggio che l’idrofobo dall’acqua, rifuggono essi da quella fatua numerosità.
L’anno mille ottocento trentasei
Don Antonio curato mantovano
Sulla strada postale di Vicenza.
Ecco il modo d’indicare propriamente, semplicemente, e senza studio soverchio di armonia, i tempi, le persone, i luoghi che occorrono. Ogni genere di eccellenza ha prossimo il pericolo della caduta per chi vuole giugnere fino ad esso senza la forza a ciò necessaria. Non mancano a’ giorni nostri scrittori eccellenti, che diedero esempi notabili del come si possa guarire la poesia italiana da molte piaghe, e abbellirla di nuovi fregi; ma non è riserbato ad uno sciame di giovanotti, che spensieratamente si gettano sulle orme altrui, il sentire i veri bisogni della nazionale letteratura, e apprestarvi i veri rimedii. Pure non s’è mai veduto maggiore abbondanza di poeti originali, popolari, evidenti, disinvolti, o che si credono tali! Ov’è moltitudine, dicevasi una volta, ivi è confusione; ora dico: con questi molti c’è pericolo di contrarre le abitudini de’ pazzi. A te che se sembra?
L’amico mio non rispose, ma si mise a pensare. Non so bene se fosse rimasto convinto, o se compiangesse alla insensatezza del mio discorso. Devo far noto al lettore, per giustificazione di questo mio dubbio, che l’amico mio aveva pubblicato due novelle storiche e una leggenda in ottave.