Timeo/Capitolo XXX

Capitolo XXX

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Capitolo XXIX Capitolo XXXI
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XXX.

Or ci rimane un quarto genere sensibile, il quale è da specificare, perocchè accoglie molte variazioni, le quali in genere noi diciamo colori: i quali son fiamma ch’esce dai corpi; e cotal fiamma ha particelle proporzionate sí al fuoco della vista, che se ne genera sensazioni. La cagione del nascimento del fuoco della vista si è chiarita innanzi, e però è bene cosí presentemente favellare de’ colori, attenendoci a ciò che è verisimile. Le particelle che si scompagnano dalle altre e corrono incontro al fuoco della vista, le uguali a quelle del detto fuoco sono insensibili, le quali noi addimandiamo dia [p. 83 modifica]fane; quanto è poi alle più grandi e più piccole, quelle congregative e quelle disgregative della vista, elle fanno passione simigliante a quella che in verso alla carne fanno le cose calde e fredde; e a quella che fanno tutte l’altre cose le quali, perocchè incalorano, sono chiamate acri. E per certo il bianco e il nero è passione simigliante a quella che fanno le dette cose, la quale, perciò pare diversa, che è fatta in organi di diversa specie. Adunque è da segnarli così: quello che discetta la vista è bianco; e il contrario suo, nero. Quando, con più violento moto, fuoco di diverso genere scontrasi nel fuoco della vista, discettandolo infin dentro negli occhi, e di forza gli usci degli occhi disserrando e struggendo, e facendo di quivi isgorgare fuoco e copiosa acqua, che noi chiamiamo lagrime, le quali ancora fuoco sono da entro scorrente incontro all’altro fuoco di fuori; allora, guizzando il fuoco interno come lampo, e il fuoco di fuori, in quello che entra, morendo nell’umore, si generano da questa mischianza colori di ogni ragione. Noi la detta passione abbiam chiamato abbarbaglio; e quel che la fa, splendente e lucente. La specie di fuoco che tiene il mezzo in rispetto a questi, e che, pervenendo nell’umore degli occhi e con esso mescendosi, non luce, ma sì ha colore sanguigno a cagione dello splendore [p. 84 modifica]suo che è temperato dall’umore predetto, lo diciamo rosso. Colore splendente, misto a bianco e rosso, torna in giallo: ma a dire il quanto, e con quanto si abbia a mischiare, non sarebbe da savio, eziandio se alcuno ciò conoscesse, perocchè non se ne potrebbe assegnare prova sufficiente, nè necessaria nè verosimile. Rosso, temperato con nero e bianco, torna in purpureo; e in bruno cupo, quando si mischia più di nero ai predetti colori mischiati insieme e ancora vivaci. Il fulvo nasce della meschianza di giallo e bruno. Il bruno, poi, di quella di bianco e nero. Il pallido, di quella di bianco e giallo. Se colore splendente si sposa a bianco, e s’abbatte a nero cupo, si fa azzurro. E colore azzurro temperato con bianco, si fa cilestro. Temperato fulvo con nero, fassi verde. Chiariti questi colori, è palese di quali mischianze nascano gli altri verisimigliantemente. Se attendesse mai alcuno a fare sperienza di cotali cose, egli sconoscerebbe la distanza che è dalla umana alla divina natura: cioè, sconoscerebbe che solo Iddio è atto a meschiare i molti in uno, e sciogliere novamente l’uno in molti, perocchè egli è sapiente e possente; ma uomo niuno è adatto a fare nè l’una cosa nè l’altra, nè presentemente nè poi.

Il Fabbro della più bella e buona opera pigliò tutte queste cose di mezzo al divenimento mondano, le quali così allora eran fatte di necessità. E quando egli generava l’Iddio bastante a sè e perfettissimo, giovossi del ministerio di queste cause servili e fatali; ma quanto è [p. 85 modifica]al bene1, in tutte le divenenti cose l’operò egli medesimo.

E però giova sceverare due specie di cagioni, l’una necessaria, l’altra divina; e la divina è a cercare di ogni cosa, perchè si abbia vita lieta, quanto natura nostra può avere; e la necessaria, a cagione della divina: ponendo mente che senza quella non si può nè anche intendere questa da sè sola, nè avere concetto alcuno di lei, nè partecipare di lei per alcuno modo.

Note

  1. Bene è a Necessità, come fine è a forza.