Capitolo X

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Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
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Il Padre, come vede muovere e vivere questo suo generato simulacro degli Iddii eterni, s’allegra; e dalla allegrezza pensò nel cuore suo di farlo tuttavia piú simigliante all’esempio. E perocché questo è eterno animale, egli si fu messo a fare questo universo altresí tale, secondo il potere suo. La natura dunque dell’animale era eterna; ma non potea essere che questa cosa s’adattasse perfettamente a quello che è generato; e pensa fare un cotale mobile simulacro dell’eternità. E cosí ponendo egli sesto al cielo, della eternità immanente nell’uno fa una immagine eterna, procedente secondo numero, quella che noi addimandiamo tempo. Imperciocché giorni e notti e mesi e anni non erano, avanti che fosse generato il cielo; e mentreché si compone questo, Iddio ordina la generazione di quelli. E tutte sono parti di tempo: ed eziandio l’era e il sarà sono generate forme di tempo, le quali senza avvedimento noi traslatiamo non dirittamente, nella essenza eterna; laddove l’è solo si conviene a lei secondo verace parlare, e l’era e il sarà s’ha a dire delle generate cose, procedenti nel tempo: imperocché sono movimenti; e quello che sempre è immobilmente medesimo, non conviene che divenga, o divenuto sia alcuna volta, o presentemente, o abbia mai a divenire piú giovine o piú vecchio, o universalmente checchessia di tutto quello che generazione presta alle cose che si rivolgono al senso1; ma elle sono forme del tempo, il quale imita la eternità, e secondo numero sé rigira. Simigliantemente noi siamo usati di dire: il divenuto è divenuto, il divenente è divenente, quello che è a divenire è a divenire, il non ente è non ente; ma cosí dicendo, non diciamo diritto. Ma forse non è egli ora il caso di trattare di ciò diligentemente.


Note

  1. Cioè di tutto quello che il moto del divenimento presta alle cose sensibili: cioè di tutto quello che le cose sensibili possono essere, perciò che divengono e mai non sono.