III

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II IV


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III.



L’inverno era sopravvenuto, grigio e triste. Giorgio rivide la contessa alle Cascine, raggomitolata in un angolo della sua carrozza, tremante di freddo sotto un mucchio di pelliccie e un bel sole di novembre che splendeva sul cielo puro ed azzurro. Era pallida, dimagrata, avea gli occhi stanchi, arsi di febbre, che vagabondavano distratti o pensierosi sulle alte cime degli alberi spogliate delle ultime foglie. S’incontrarono faccia a faccia; ella si fece bianca un istante. Sapeva che egli era ancora a Firenze? che l’avrebbe incontrato? Aveva voluto rivederlo? [p. 21 modifica]La Ferlita era in carrozza colla sua Palmira; piantò carrozza e Palmira al Piazzone, e tornò indietro. Non incontrò più la contessa, non potè più rivederla per alcuni giorni di seguito. Infine si decise ad andare ad informarsene dalla viscontessa de Rancy.

— Sì, rispose costei. So che è ritornata, ma non ho potuto vederla. È molto malata, sa?

— Infatti...

— È tornata a passar l’inverno a Firenze. I medici non le accordano due anni di vita, e le hanno consigliato il clima d’Italia.

Giorgio parve distratto; si misero a parlare di cose indifferenti; sopravvennero parecchie visite, e la conversazione si fece generale. La Ferlita disse alla viscontessa in un momento di a parte.

— Penso a quel che si deve provare essendo l’amante di una donna di cui i giorni sieno contati.

Ella gli fissò in viso uno sguardo attonito.

— Amico mio, le so punta testa, ma un po’ [p. 22 modifica]di cuore glielo so. La lasci tranquilla, poveretta! sarà meglio per entrambi.

Due giorni dopo La Ferlita ricevette questo biglietto laconico dalla de Rancy:

« Venga giovedì. Ella ci sarà. »

— Il mio biglietto le ha messo l’argento vivo addosso? gli domandò la viscontessa vedendolo arrivare prima delle dieci; e viene a domandarmi il come e il perchè. La cosa è quale gliel’ho detta: s’è invitata da sè. Il perchè poi me lo dirà lei.

— Quando lo saprò.

— Quando lo saprà, ben inteso. Con chi era sabato scorso alle Cascine?

— Le ha fatto questa domanda?

— Curioso! Con chi era?

— Non mi rammento nemmeno d’essere stato alle Cascine sabato scorso.

— Ha incontrato la contessa alle Cascine uno di questi giorni?

— Sì.

— Era solo?

— No. [p. 23 modifica]— Adesso il perchè lo so; non occorre altro.

E lo piantò lì, tutto irto di interrogazioni, per andare incontro a due signore che giungevano.

I giovedì della viscontessa de Rancy erano affollatissimi sempre. La padrona di casa era troppo occupata perchè Giorgio potesse sperare da lei la menoma spiegazione prima delle due del mattino, e andò a rassegnarsi con un album di fotografie.

Verso le undici entrò Nata, elegante come sempre, ma avea gli occhi profondamente solcati, ed era imbellettata. Giorgio dal suo posto sorprese uno sguardo circolare di lei sulla folla.

Le due amiche si andarono incontro premurosamente e passarono insieme nelle altre sale. In tutta la sera non riuscì al diplomatico in erba di attirare l’attenzione della contessa, malgrado delle sue manovre machiavelliche. Solo al momento d’andarsene ella lo scorse vicino al pianoforte, e fece due o tre passi verso di lui colla mano stesa, col sorriso sulle labbra, colla più schietta naturalezza.

— Perchè non è venuto a farmi visita? gli disse [p. 24 modifica]in italiano, con un leggiero accento straniero, ma senza il menomo imbarazzo.

Giorgio, ancora un po’ sorpreso, rispose:

— Perchè non me ne ha accordato il permesso.

— Se non è che questo glielo dò due volte — e gli stese anche la sinistra. E così, colle mani nelle sue, fissandolo in viso: — Sono in casa tutti i giorni, dalle quattro alle sei. Se vuol trovarmi venga dopo le quattro.

Giorgio s’inchinò, e accompagnandola per sortire:

— Si fermerà tutto l’inverno a Firenze? le domandò.

— Non so. I medici pretendono che il clima del nord mi uccida. Ho una salute che non val nulla, come potrà vedere — aveva il petto candido e delicato coperto da perle. — Starò forse sino a marzo, sino a giugno, non so insomma. Sono variabile anch’io come la mia salute. Abbiamo parlato molto di lei colla viscontessa. Ella deve partire fra qualche mese? [p. 25 modifica]— Dipenderà dalla destinazione che mi sarà data.

— Allora si faccia si faccia destinare a Pietroburgo; ci sarò fra il giugno e il luglio.

Così dicendo gli scosse brevemente la mano, come ad un vecchio amico, ed uscì.

— Cosa le ha detto? domandò la viscontessa al momento in cui La Ferlita prendeva commiato da lei.

— M’ha detto d’andare a farle visita.

L’altra scoppiò a ridere, ben inteso di un riso impercettibile, discreto, che scopriva appena i suoi bei denti smaglianti.

— Ella sta meglio assai. Non le sembra?

— Sì.

— È vero che avea messo del rosso... Poverina! Vorrei che i medici si fossero sbagliati. Sa? abbiamo parlato di lei. M’ha detto che si è fatto presentare da mio marito.

— Nient’altro?

— No. Abbiamo riso della sua ostinazione; io più di lei, però! Vuole che gliela dica sul serio, [p. 26 modifica]molto sul serio, amico mio? Temo che questo bel scherzo abbia a diventare troppo brutto e troppo serio, il che sarebbe una gran disgrazia.

Giorgio si strinse nelle spalle.

— Proprio una gran disgrazia! Sino ad un’ora fa temevo soltanto per lei, con tutto il suo spirito, con tutta la sua pratica mondana, e con tutta la sua diplomazia. Però la conosco abbastanza, e so che un viaggio, una croce, una ballerina, una perdita al giuoco l’avrebbero guarito. Ma adesso Nata è malata, è troppo debole, ha troppi nervi, troppa suscettibilità, che so io, insomma il pericolo è tutto lì... ha qualche cosa di insolito e di infermiccio.

Giorgio non sorrideva più.

— Infine, qual donna crede che sia?

— La credo una leggiadra bionda — non bella ma leggiadra — molto elegante, che fa bene in un salone, che ha bei diamanti, un bel nome, un marito gran signore, generale, amico personale dello czar, e lontano.

— E poi? [p. 27 modifica]— Il poi non si domanda, caro mio. E poi nulla, o tutto. Ci ricami sopra i suoi sogni rosei, quali essi sieno, e ci metta addosso della seta e delle trine.

— Se facesse apposta per farmi innamorare di costei, esclamò Giorgio cercando di sorridere ma con un’ombra d’impazienza, non potrebbe far meglio — o peggio.

Allora la viscontessa, levandosi bruscamente:

— Orsù, La Ferlita, se ne vada, ch’è tardi; abbiamo sonno e sragioniamo entrambi. Domani o doman l’altro la vedrà. Sia suo amico, o suo amante, o s’ammazzi per lei, come quell’altro. Buonanotte.