Teoria degli errori e fondamenti di statistica/2.2

2.2 Le unità di misura

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2.2 Le unità di misura

Le grandezze fisiche si sogliono dividere in fondamentali e derivate. Con il primo di questi nomi si indicavano, originariamente, quelle grandezze misurate con strumenti e metodi sperimentali che richiedessero un confronto diretto con un campione, scelto arbitrariamente come unità di misura; mentre le seconde venivano generalmente determinate in modo indiretto, ovverosia (come appena detto) attraverso misure dirette di altre grandezze ad esse legate da relazioni algebriche: che permettevano non solo di calcolarne i valori, ma ne fissavano nel contempo anche le unità di misura.

In questo modo si sono definiti vari sistemi di misura coerenti, come il Sistema Internazionale (SI) attualmente in uso: esso assume come grandezze fondamentali lunghezza, massa, tempo, intensità di corrente elettrica, temperatura, intensità luminosa e quantità di materia; con le rispettive unità metro, chilogrammo, secondo, Ampère, grado Kelvin, candela e mole. Le unità per la misura delle altre grandezze sono poi univocamente determinate dalle relazioni algebriche che le legano a quelle fondamentali.

Se ciascuna unità fondamentale viene ridotta di un certo fattore, il valore della grandezza espresso nelle nuove unità dovrà essere moltiplicato per un prodotto di potenze dei medesimi fattori. Così, per restare nell’ambito della meccanica, se riduciamo l’unità di lunghezza di un fattore L, l’unità di massa di un fattore M e quella di tempo di un fattore T, ed il valore di una grandezza fisica ne risultasse in conseguenza moltiplicato per

,


si dirà che la grandezza in questione ha le dimensioni di una lunghezza elevata alla potenza per una massa elevata alla potenza per un tempo elevato alla potenza .

Pensiamo alla velocità (media) di un corpo in movimento, che è definita come il rapporto tra lo spazio da esso percorso in un certo intervallo di tempo e la durata di tale intervallo: ed è dunque una grandezza derivata. Una volta scelte le unità di misura delle lunghezze e dei tempi (per esempio il metro ed il secondo), l’unità di misura delle velocità risulta fissata univocamente (metro al secondo).

Se si alterano ad esempio l’unità di lunghezza moltiplicandola per un fattore 1/L = 1000 (chilometro), quella di tempo moltiplicandola per un fattore 1/T = 3600 (ora) e quella di massa moltiplicandola per un fattore [p. 7 modifica] (tonnellata), il valore di qualunque velocità nella nuova unità (chilometro all’ora) risulterà alterato rispetto al precedente di un fattore

e si dice pertanto che le dimensioni fisiche di una velocità sono quelle di una lunghezza divisa per un tempo.

Come altro esempio si consideri l’energia cinetica di un corpo, definita come il lavoro compiuto dalla forza che si deve applicare per arrestarlo; e che è pari numericamente alla metà del prodotto della massa per il quadrato della velocità del corpo stesso:

.


Essa è pertanto una grandezza derivata, la cui unità di misura nel Sistema Internazionale è l’energia cinetica di un corpo avente massa di 2 Kg ed in moto traslatorio con velocità di 1 m/s (unità detta joule). Passando al nuovo sistema di unità prima definito (assai inconsueto per un’energia), il valore di risulta moltiplicato per il fattore ; si dice dunque che un’energia ha le dimensioni di una massa, moltiplicata per il quadrato di una lunghezza e divisa per il quadrato di un tempo.

Queste proprietà di trasformazione sono legate alla cosiddetta analisi dimensionale ed alla similitudine meccanica, argomenti che esulano da questo corso. Basti qui osservare che il numero di unità indipendenti non coincide necessariamente con quello delle grandezze assunte come “fondamentali"; così l’angolo piano e l’angolo solido sono entrambi privi di dimensioni in termini di grandezze fisiche fondamentali, e come tali dovrebbero avere come unita di misura derivata (1 m/ 1 m e rispettivamente 1 m2 / 1 m2) lo stesso "numero puro" 1, mentre esistono per essi due diverse unità: il radiante e lo steradiante, quasi essi avessero dimensioni proprie e distinte.

Né vi è alcunché di necessario nella scelta delle grandezze fondamentali quale si è venuta configurando storicamente nel Sistema Internazionale, potendosi definire un sistema coerente anche con l’assegnazione di valori convenzionali alle costanti universali delle leggi fisiche (come proposto agli inizi del secolo da Max Planck): così un sistema di unità "naturali" si potrebbe fondare, in linea di principio, ponendo uguali ad 1 la velocità della luce nel vuoto, il quanto d’azione (o costante di Planck), la costante di gravitazione universale, la costante di Boltzmann ed il quanto elementare di carica elettrica (ovverosia la carica dell’elettrone). Ma, a parte considerazioni di opportunità e consuetudine, ciò che determina in ultima analisi fino a che punto si possa tradurre in pratica un simile programma, e quali grandezze [p. 8 modifica]siano quindi da considerare fondamentali, è la riproducibilità dei campioni e la precisione con cui è possibile il confronto diretto tra grandezze omogenee.

È emblematica a questo riguardo la storia dell’evoluzione delle unità di misura delle lunghezze: queste anticamente erano riferite a parti del corpo umano quali il braccio, il cubito (già usato dagli Egizi), il piede e la larghezza del pollice; ovvero delle medie di tali lunghezze su di un numero limitato di individui. L’ovvio vantaggio di una simile definizione è la disponibilità del campione in ogni tempo e luogo; l’altrettanto ovvio svantaggio è la grande variabilità del campione stesso, donde il ricorso dapprima a valori medi ed infine a campioni artificiali costruiti con materiali e accorgimenti che garantissero una minima variabilità della loro lunghezza, col tempo e con le condizioni esterne più o meno controllabili.

Così, dopo la parentesi illuministica che porto all’adozione della quarantamilionesima parte del meridiano terrestre quale unità di lunghezza (metro), e fino al 1960, il metro campione fu la distanza tra due tacche tracciate su di un’opportuna sezione di una sbarra costruita usando una lega metallica molto stabile; tuttavia le alterazioni spontanee della struttura microcristallina della sbarra fanno si che diversi campioni, aventi la medesima lunghezza alla costruzione, presentino con l’andar del tempo differenze apprezzabili dai moderni metodi di misura. Inoltre l’uso di metodi ottici interferenziali finì per consentire un confronto più preciso delle lunghezze, e condusse nel 1960 (come suggerito da Babinet già nel 1829!) a svincolare la definizione del metro dalla necessità di un supporto materiale macroscopico, col porlo uguale a 1’650’763.73 volte l’effettivo campione: cioè la lunghezza d’onda nel vuoto della luce emessa, in opportune condizioni, da una sorgente atomica (riga arancione dell’isotopo del Kripton 86Kr).

L’ulteriore rapido sviluppo della tecnologia, con l’avvento di laser molto stabili e di misure accuratissime delle distanze planetarie col metodo del radar, ha condotto recentemente (1984) ad una nuova definizione del metro, come distanza percorsa nel vuoto dalla luce in una determinata frazione (1/299’792’458) dell’unità di tempo (secondo); il che equivale ad assumere un valore convenzionale per il campione di velocità (la velocità della luce nel vuoto) ed a ridurre la misura della lunghezza fondamentale ad una misura di tempo. È implicita nella definizione anche la fiducia nell’indipendenza della velocità della luce nel vuoto sia dal sistema di riferimento dell’osservatore che dal "tipo" di luce (frequenza, stato di polarizzazione e così via); ipotesi queste che sono necessarie conseguenze delle moderne teorie della fisica.

Le misure di lunghezza hanno dunque percorso l’intero arco evolutivo, ed appare evidente come la complessa realtà metrologica odierna non sia più riflessa esattamente nella classificazione tradizionale di grandezze "fon[p. 9 modifica]damentali" e "derivate". Infatti la velocità assume ora in un certo senso il ruolo di grandezza fondamentale, e tuttavia una velocità non si misura praticamente mai per confronto diretto col campione (la velocità della luce nel vuoto); per converso le lunghezze sono spesso ancora oggi misurate per confronto con campioni, ma la lunghezza del campione primario (il metro) è a sua volta determinata da una misura di tempo.

Per quanto riguarda l’unità di durata temporale, essa fu svincolata da un supporto macroscopico (il moto diurno della terra o i moti planetari) nel 1964 con l’adozione di un campione di frequenza atomico (in termini imprecisi il cosiddetto "orologio atomico al Cesio”), assegnando il valore convenzionale di 9’192’631’770 cicli al secondo (hertz) alla frequenza della radiazione elettromagnetica emessa in una particolare transizione tra due stati quantici dell’atomo di 133Cs.

Questa definizione del minuto secondo consente il confronto di intervalli di tempo con un errore relativo1 inferiore ad una parte su 1013. Se si considera che il quanto d’azione h, che è la costante universale della meccanica (quantistica) determinata con maggior precisione dopo la velocità della luce nel vuoto e che sia da essa indipendente, è noto soltanto con una incertezza dell’ordine di 0.2 parti per milione2, si comprende quale iato si dovrebbe colmare per portare a compimento il programma di Planck anche con il tempo, così come lo si è realizzato per la lunghezza.

Ad uno stadio ancora meno avanzato è giunta l’evoluzione delle misure di massa, il cui campione è tuttora costituito da un particolare oggetto macroscopico detto "chilogrammo—campione”. Anche qui la precisione con cui si possono confrontare le masse supera di vari ordini di grandezza quella con cui è nota la costante di gravitazione universale, cui l’attribuzione di un valore convenzionale consentirebbe di ridurre le misure di massa a quelle di tempo e di lunghezza.

Note

  1. Vedi il paragrafo 2.6 alla fine del corrente capitolo.
  2. Attualmente (2004), l’errore relativo sul valore comunemente usato di (e che vale Js) è di .