Tempesta e bonaccia/XV
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XV.
La certezza che Fulvia aveva una macchia nel suo passato, l’ombra d’un rivale, e forse il fatto stesso d’aver finalmente confessato il mio amore, lo avevano sensibilmente diminuito. — È fuor di dubbio che la poesia dell’amore è prima della rivelazione; — la parola immiserisce il sentimento, lo circoscrive ne’ suoi limiti. — La pace del sentirsi amati, ci toglie dal cuore l’esaltazione dell’incertezza, l’entusiasmo dell’aspirazione; e non c’è amante felice il quale non debba confessare che lo era di più, quando non era completamente certo di esserlo.
La tempesta era sedata nel mio cuore. — Quel giorno badai tranquillamente ai miei affari, poi andai a far qualche visita, poi al caffè, al teatro, e non tornai più da Fulvia. Pensavo a lei con quel sentimento di commiserazione che era nato in me gemello al sospetto sul suo passato. Provavo per lei la tenerezza e la pietà che avrei provato per una vedova indiana condannata al rogo. — Non mi pareva di conoscerla nè di esserle legato di più.
Al teatro vidi Giorgio. — Egli era stato all’Albergo Milano. Ma Fulvia non lo aveva ricevuto. — Pure la sua scrittura era scaduta, ella non cantava più, e doveva essere in casa. — Egli era inquieto.
Quanto a me avevo un senso vago d’essere un eroe dell’amicizia. Sì; io, che fino a poche ore innanzi avevo adoperato tutto il mio ascendente per involargli quella donna ch’egli amava, ora pensavo che Giorgio dovesse essermi riconoscente perchè non me ne sentivo più innamorato, perchè non pensavo a contendergliela, perchè ero fermamente risoluto a non aver nulla di comune con lei.
Ed intanto vedevo col pensiero la giovane artista intenta a scrivere per me una storia, per cui non provavo già più che una lieve curiosità.
Povera Fulvia! non giudicarmi troppo severamente. È il mio carattere così; — io non so amare che a sbalzi. — Era certo studiando me, che la tua anima passionata inventava l’episodio tempestoso. Sì, il mio amore è splendido ed ardente come il lampo, ma rapido com’esso. — Salgo troppo alto nella sfera della passione, per rimanervi; bisogna ch’io ridiscenda; — ed allora la prosa della realtà mi gela il cuore, — poi mi innalzo di nuovo, ritrovo la luce, ritrovo l’ardore, — ma per perderli e ridiscendere ancora. — Perdonami, Fulvia; io non ne ho colpa; come tu non hai merito del tuo amore più durevole e profondo. È la natura che ci ha fatti così. — Tutto quanto hai diritto a pretendere è ch’io ti riconosca superiore. — E lo riconosco ampiamente.
La mattina seguente quando mi fu recato il caffè che soglio prendere a letto, vidi sul vassoio un grosso piego che compresi subito essere le confidenze di Fulvia. Confesso che fui sinceramente meravigliato di trovarmi ancora in sì stretto rapporto con lei; tanto nel mio cuore me ne sentivo già moralmente disgiunto.
Io sono pigro e mi alzo abitualmente assai tardi. Dopo aver preso tranquillamente il caffè, feci aprire le finestre, ravviai i guanciali e le coltri, mi posi a sedere sul letto, ed alla luce d’un bel sole mattutino impresi a leggere quelle pagine colla tranquilla e benevola curiosità con cui si comincia un romanzo d’un autore noto e simpatico; — nè più nè meno.
Con questa sola differenza che, dissuggellando quel piego andavo chiedendo tra me: «Scrive bene?» Ed era il solo pensiero che mi occupasse in quel momento.