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la sua scrittura era scaduta, ella non cantava più, e doveva essere in casa. — Egli era inquieto.
Quanto a me avevo un senso vago d’essere un eroe dell’amicizia. Sì; io, che fino a poche ore innanzi avevo adoperato tutto il mio ascendente per involargli quella donna ch’egli amava, ora pensavo che Giorgio dovesse essermi riconoscente perchè non me ne sentivo più innamorato, perchè non pensavo a contendergliela, perchè ero fermamente risoluto a non aver nulla di comune con lei.
Ed intanto vedevo col pensiero la giovane artista intenta a scrivere per me una storia, per cui non provavo già più che una lieve curiosità.
Povera Fulvia! non giudicarmi troppo severamente. È il mio carattere così; — io non so amare che a sbalzi. — Era certo studiando me, che la tua anima passionata inventava l’episodio tempestoso. Sì, il mio amore è splendido ed ardente come il lampo, ma rapido com’esso. — Salgo troppo alto nella sfera della passione, per rimanervi; bisogna ch’io ridiscenda; — ed allora la prosa della realtà mi gela il cuore, — poi mi innalzo di nuovo, ritrovo la luce, ritrovo l’ardore, — ma per perderli e ridiscendere ancora. — Perdonami, Fulvia; io non ne ho colpa; come tu non hai merito del tuo amore più durevole e profondo. È la natura che ci ha fatti così. — Tutto quanto hai diritto a pretendere è ch’io ti riconosca superiore. — E lo riconosco ampiamente.