Sulla terra quaggiù l'uom peregrino
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D’Etiopia sul lido
Scampò con forte mano
Perseo da fiero mostro alma donzella,
60E della Grecia un grido,
Come d’uom sovrumano,
Pur anco oggidì Perseo alto favella;
Ed io dico, a’ dì nostri
Farian ben mille mostri
65Di donne empia rapina;
Ma da sì fatti scempi,
Cosmo con belli esempi
Fa schermo alla marina.
Ed è ver, che s’ei scopre
70De’ perfidi corsali al fiero sguardo
Suo guerriero stendardo,
Fa loro rimirar cento Meduse;
Oh quale a sue bell’opre
Forma alle mie vigilie dar sapranno,
75S’una volta verranno
In sull’incude dell’Aonie Muse?
Il ciel delle sue lodi,
Oltra l’uman costume,
Senza nubi a mirar sereno puro,
80Sento, che in mille modi
Chiama a se le mie piume;
Ed io saprò dedaleggiar sicuro;
Il re de’ campi eterni
Benigno ognor governi
85Cosmo, tuoi legni ed armi;
E tu giocondo in volto,
Talora a me rivolto
Non disprezzar miei carmi.
LXVIII
I
Sulla terra quaggiù l’uom peregrino,
Da diversa vaghezza
Spronato a ciascun’ora,
Fornisce travïando il suo cammino.
5Chi tesor brama, chi procaccia onori,
Chi di vaga bellezza
Fervido s’innamora;
Altri di chiuso bosco ama gli orrori,
Ed in soggiorno ombroso
10Mena i giorni pensoso.
A questa ultima schiera oggi m’attegno,
E da ciascun m’involo;
Amo gioghi selvaggi,
D’alpestri Numi abbandonato regno,
15Nè fra loro temenza unqua mi prende,
Benchè romito e solo;
Chè da’ villani oltraggi
Le mie ricchezze povertà difende,
Inni tra rime e versi
20Di puro mel cospersi.
Qui già sacrai la cetra, e non indarno,
Italia, a’ guerrier tuoi;
Or lieto a’ vostri vanti
Si rivolge il mio cor, Principi d’Arno,
25Sferza de’vizj, alle virtù conforto,
Norma d’eccelsi eroi;
Per cui gli afflitti erranti
In pelago di guai trovano porto;
Da cui certa mercede
30Proponsi a stabil fede.
Voi dal Tirreno mar lunge spingete
I predatori infidi;
E ne’ golfi sicuri
Dell’Imperio Ottoman voi gli spegnete;
35L’Egéo se ’l sa, che d’Alessandria scerse
Dianzi ululare i lidi,
Quando in ceppi sì duri
Poneste il piè delle gran turbe avverse,
E sotto giogo acerbo
40Il duce lor superbo.
Oh lui ben lasso, oh lui dolente a morte,
Che in region remote
Non più vedrassi intorno
L’alma beltà della gentil consorte!
45Ella in pensar, piena di ghiaccio il core,
Umida ambe le gote,
Alto piangeva un giorno
Il tardo ritornar del suo Signore;
E così la nudrice
50Parlava all’infelice:
Perchè t’affliggi invan? l’angoscia affrena;
A che tanti martiri?
Deh fa ch’io tra’ bei rai
La cara fronte tua miri serena;
55Distrugge i rei cristian, però non riede
Il Signor che desiri;
Ma comparte oggi mai
Tra’ suoi forti guerrier le fatte prede,
E serba a tue bellezze
60Le più scelte ricchezze.
Così dicea, nè divinava come
Egli era infra catene
Là ’ve con spessi accenti
Mandasi al ciel di Ferdinando il nome:
65O verdi poggi di Firenze egregia,
O belle aure Tirrene,
Ed o rivi lucenti,
Sì caro nume a gran ragion si pregia;
O lieti, a gran ragione
70Gli tessete corone.
Che più bramar dalla bontà superna
Tra sue grazie divine,
Salvo che giù nel mondo
Sia giustizia e pietate in chi governa?
75Io non apprezzo soggiogato impero,
Benchè d’ampio confine,
Se chi ne regge il pondo
È di tesor, non di virtute altero:
Ambizïone è rea;
80Vero valor ci bea.