Sulla riduzione in peso dell'asse romano

Isidoro Falchi

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Sulla riduzione in peso dell'asse romano Intestazione 5 dicembre 2016 100% Numismatica

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SULLA RIDUZIONE IN PESO


DELL’ASSE ROMANO




In una dotta memoria del ch. Prof. Luigi A. Milani, Direttore del Museo etrusco di Firenze, pubblicata nella Rivista Italiana di Numismatica, fasc. I-II, 1891, col titolo Aes rude, signatum e grave, ecc., Ermeneutica e Cronologia, ecc., trovo ricordata, e qualificata come: un castello fabbricato sul preteso rincaro del bronzo, una mia opinione sulla riduzione in peso dell’asse Romano, espressa nell’Annuaire de numismatique, anno 1884: Vetulonia et ses monnaies, e in un opuscolo stampato a Prato: L’usura in Roma nel quarto e quinto secolo av. G. C. Non avendo il Prof. Milani estesa la sua critica al di là di quella anche troppo concisa espressione, e trattandosi di una quistione che interessa, oltre che la storia della moneta, una pagina culminante della storia d’Italia, mi permetto di replicare.

Il fatto è questo. Roma nell’anno 263 av. G. C., bello punico primo, diminuì il peso del suo asse, pondo o libbra di bronzo, unica pecunia di quel tempo, conservando all’asse medesimo impiccolito, il valore [p. 14 modifica]che aveva quando era librale. Con tre riduzioni successive dall’anno 263 all’anno 191 av. G. C., l’asse che prima era del peso di dodici once, fu ridotto a mezz’oncia, ossia a un ventiquattresimo del suo peso primitivo.

Non starò a citare nè classici nè recenti scrittori, poichè si tratta di un fatto a tutti noto, da niuno contrastato, confermato dalla stessa numismatica. La quistione non consiste in ciò, ma sulla ragione che avrebbe indotto i Romani a portare quella diminuzione nel peso del loro contante di bronzo; la qual ragione, nel modo che è stata affermata dai classici, offende altamente le nostre glorie antiche in danno delle istituzioni romane.

Tanto per l’ingenuo Plinio quanto per tutti gli storici e tutti gli economisti fino ai nostri giorni si è ritenuto che Roma, nell’atto di slanciarsi alla conquista del mondo, fosse oppressa dai debiti, pressus aere alieno; e che per ripararvi avesse ricorso alla gherminella, dice Adam Smith, di spezzare il suo asse in 24 assi minori, dando a ciascuno di essi, 24 volte impiccolito, il valore dell’asse primitivo: con la quale operazione le Repubblica Romana avrebbe pagato i suoi debiti, dissolutum aes alienum.

Ammesso che il bisogno, causa di questo stratagemma, esistesse; atteso che ne successe sventuratamente per Roma, un periodo di esuberanti ricchezze, la questione potrà essere facilmente risoluta alla stregua dei suoi annali, riscontrando se, cessato il bisogno, venne pure a cessare o se si mantenne l’impiccolimento della moneta. Ma prima di domandare tal luce alla storia, voglio esprimere un mio pensiero sopra una causa che sembrami imbrogliare e complicare tutte le questioni archeologiche.

A me sembra che quando si parla di cose antiche gli scrittori in generale siano dominati dal [p. 15 modifica]preconcetto, che l’uomo dei tempi trapassati fosse impastato diversamente o fosse più cretino dell’uomo d’oggidì, onde le cose anche più strampalate e quelle che più ripugnano alla nostra ragione e al nostro buon senso, le favole stesse, sono talora ammesse e insegnate come fatti storici, a cominciare dalla origine di Roma, la quale anche oggi si fa scaturire da un cestino con entro Romolo e Remo allattati da una lupa.

Pur troppo sarà vero che i primi lupi, ossia i primi civilizzatori stranieri, abbiano preso ad accarezzare e ad allevare gli ingenui aborigeni, nostri primissimi avi, col latte e con l’orpello della loro civiltà, da cui forse la figura della lupa che allatta i gemelli, e quella della troia, probabilmente troiana, che allatta i suoi porcellini; ma se le tradizioni volgari e i monumenti non dovessero essere dallo scienziato spogliati del velo della allegoria, si dovrebbe concludere parimente, ad esempio, che alcuni imperatori Romani, i quali si veggono riprodotti col mondo sopra una mano, avessero realmente sostenuto il peso del globo terracqueo. Ognuno sa che la scultura, la pittura, le monete ancora sono le pagine più certe della storia, ma è pur vero che intese grossolanamente hanno originato la favola, guastando il carattere dei tempi e tutte le istituzioni primitive. Così dal vedere che l’asse romano librale fu diminuito di peso conservando le medesime impronte e i medesimi segni del valore, si è creduto al miracolo della moltiplicazione della moneta, come avrebbe fatto il Redentore con cinque pani e cinque pesci alla turba di Betsaida.

Io ritengo che l’uomo fisico e psichico, specialmente all’epoca della Repubblica Romana, fosse quello che è oggi; e a dimostrare l’enormità della ragione addotta da Plinio e da tutti accettata sulla riduzione [p. 16 modifica]dell’asse romano, basterebbe paragonare gli escogitati bisogni dell’erario di Roma antica coi purtroppo stringenti bisogni dell’erario nostro italiano, e domandare: perchè il Governo che ora ci regge, non impone al suo pezzo da cinque centesimi il valore di un franco? Perchè sull’esempio dei Romani, sulle cui leggi è modellato il nostro ordinamento, il Governo Italiano non adotta il medesimo espediente di tesoreria per togliere, non solo un forte disavanzo, ma un fomite di discordie e di serie apprensioni?

La risposta è facile: perchè la moneta è il correspettivo di ogni opera e di ogni prodotto, onde niuno potrebbe sperare di avere un Cg. di pane che costasse 40 centesimi, con una moneta che avesse il valore di centesimi 2. Vorrei poi sapere come poteva il Governo Romano spezzare i suoi assi quando per miseria non ne possedeva più, e come poteva levarli dalla tasca degli usurai del peso e del valore di una libbra di bronzo, per restituirli di un peso e di un valore 24 volte minore. Come avrebbe potuto, ad esempio pagare ad altri Stati il frumento in gran quantità che occorse per riparare alla carestia, che appunto in quel tempo funestò Roma, servendosi della moneta decimata? Oggi si ricusa anche la moneta tosata! perchè i primi Romani dovevano riceverla 24 volte menomata del suo valore reale?

Queste considerazioni basterebbero per sè sole ad escludere nella riduzione dell’asse romano lo scopo del lucro; ma a darne maggiori assicurazioni aggiungerò fatti incontestabili.

L’operazione della riduzione in peso della pecunia Romana si effettuò sulla sola moneta di bronzo! e perchè non sull’argento che pure era allora in uso, con che meglio e più prontamente si sarebbero potute migliorare le sorti dell’erario?

Quando l’asse fu ridotto a un 24.mo del peso [p. 17 modifica]primitivo stava all’argento come 34 a 1! com’è che non tornò più nei rapporti primitivi? e com’è che oggi il bronzo sta all’argento come 20 a 1?

Dinanzi a osservazioni così stringenti ogni altra interpretazione potrà essere ammessa, meno quella del fallimento, come dice Mommsen; del lucro, come dicono tutti gli scrittori; dell’inganno, come altri azzarda, per pagare con 1 un debito di 24.

Si dirà che fu un corso forzoso. Ma in questo intento uno Stato non ricorse mai al metallo valore: in ogni modo il corso forzoso non sarebbe cessato mai, e si richiedeva un bisogno eccezionale transitorio, il quale nemmeno mai ricorse per Roma, come ora vengo a dimostrare.

Che Roma si sia trovata a diverse epoche in grandi ristrettezze, non può negarsi; ma a tutto riparò sempre con grande onore della Nazione, col sacrifizio dei suoi cittadini; nè mai alcuno scrittore di quel tempo ci ha riferito che bruttasse le pagine della sua bella storia con un atto immorale, come quello della riduzione della moneta, per far fronte a note calamità.

Ma per l’appunto l’epoca nella quale si verificò la riduzione dell’asse fu la più florida di Roma.

Il primo impiccolimento a 1/6 si effettuò dopo la disfatta di Pirro e la presa di Taranto, le quali fruttarono a Roma tante ricchezze che giammai viste si erano.

La prima guerra punica si chiuse a danno dei Cartaginesi con un’imposta di 1000 talenti per spese di guerra, e di 2200 talenti per contributo da pagarsi in 10 anni: in tutto 3200 talenti che ammontavano a 76 milioni e 800 mila sesterzi: ciò non ostante i Romani si avviarono alla seconda riduzione che restrinse l’asse al peso di un’oncia.

Quarant’anni dopo la prima guerra punica, [p. 18 modifica]Scipione impone ai Cartaginesi il pagamento di 10 mila talenti; e 11 anni dopo la seconda guerra punica Tolomeo re d’Egitto fece offrire ai Romani 1000 mine d’oro e 20 mila d’argento: ma così poco i Romani trovavansi in bisogno, che ricusarono l’offerta.

Finalmente ricorderò un fatto che toglie di mezzo ogni dubbio. Mentre persisteva l’alleggerimento dell’asse, le vittorie di Flaminio, e 20 anni appresso, le vittorie di Paolo Emilio fecero entrare in Roma tante ricchezze da far traboccare il pubblico erario, di modo che, dice Tito Livio, ogni tributo sul popolo fu abolito e per la durata di 125 anni non più introdotto. Tuttavia l’asse già ridotto al peso di mezz’oncia si mantenne al minimo della sua riduzione. Si aggiunga a tutto quanto sopra che l’impiccolimento della moneta si verificò contemporaneamente in tutti gli Stati: onde se ne dovrebbe concludere che tutti quanti gemevano nella miseria.

Si persuadano adunque gli storici e gli economisti che Roma non lucrò e non ebbe bisogno di lucrare sulla moneta.

Quale allora, mi si dirà, la ragione della riduzione in peso dell’asse?

L’asse grave di bronzo, o libbra primitiva di Roma di 12 once, era peso e misura del peso con un valore inconstante; tale si conservò fino all’anno di Roma 490, quando introdotto l’argento, fu necessità di spogliare la pecunia della sua qualità di peso, per destinarla a rappresentare solamente un valore fisso, corrispondente ai segni che portava. Allora comparve per la prima volta la vera moneta, coniata, con valore costante e peso mutabile; la quale moneta si trova alleggerita, a due oncie nel 490, a un’oncia nel 536, a mezz’oncia nell’anno 563 dalla fondazione, senza che per questo cambiasse mai il suo [p. 19 modifica]valore, di che fa fede la storia certa di Roma. Dunque, se diminuiva di peso e conservava un medesimo valore, non sembrami si possa spiegare il fatto diversamente che con l’aumento nel costo del metallo e quindi dell’intrinseco della moneta, il quale dovendo rimanere immutabile nella moneta stessa, portava di necessità il suo impiccolimento.

Questa l’opinione da me espressa sulla riduzione in peso dell’asse Romano, ampiamente sviluppata nelle pubblicazioni già citate, che ha trovato tanta opposizione nella Ermeneutica numismatica dell’egregio Prof. A. Milani. Ai fatti sui quali si basano le mie conclusioni aggiungo finalmente il seguente.

La moneta d’argento presso i Romani fu introdotta quasi contemporaneamente alla prima riduzione dell’asse, e si chiamò denaro, che vuol dire valore di 10 assi: dunque ogni asse valeva costantemente 1|10 del denaro. Se ora si posa l’attenzione sul fatto incontestabile, che il denaro d’argento conservò sempre un medesimo peso, e che in quella vece l’asse di bronzo andava impiccolendosi, ne viene di necessità che la diminuzione era imposta dal prezzo del metallo bronzo, il cui intrinseco non poteva nell’asse, esser maggiore del decimo del denaro. E la sua diminuzione nell’anno 563 di Roma si ridusse ad un 24.mo dell’asse pondo istituito fin dai primi re; dunque il bronzo metallo, nel corso di oltre 300 anni, era aumentato 24 volte sul prezzo primitivo. E continuò ad aumentare; perchè, torno a ripetere, al tempo dell’ultima riduzione a mezz’oncia, il bronzo stava all’argento come 34 a 1, mentre oggi sta nel rapporto di 20 a 1. Questo forte rincaro del metallo bronzo potrà a prima vista apparire inconcepibile; ma se ci si riconduce con la mente ad un’età remotissima nella quale i prodotti tutti non avevano trovato [p. 20 modifica]il loro posto in commercio in ragione della loro utilità, ci persuaderemo facilmente che il rame, il quale dovea prestarsi a tanti usi, e che era destinato a sostituire la ceramica negli usi domestici, dovesse salire in alto, e prendere il posto che aveva precedentemente, inferiore al ferro, per andare a piazzarsi fra il ferro e l’argento.