Sull'erba fresca, e tra le verdi piante
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IV
PER GIOVANNI CALVINO.
Sull’erba fresca, e tra le verdi piante
Dell’Eliconio monte
Sgorga riposto un fonte
Rumoreggiando di bollor spumante,
5E tale a rimirar torbido e fosco,
Che non acqua di Febo, anzi par tosco.
Quivi Euterpe m’addusse; ivi mi prese
Non bassa meraviglia.
Ella quinci le ciglia
10A me prima rivolse indi cortese
Così disciolse a favellar la voce,
Che tra perle e rubin mosse veloce:
Quando al Coro Febéo spirto diretto
Scelleratezze orrende
15Sdegnoso a cantar prende,
Allora ei di quest’onda inebbria il petto;
Che se virtute celebrar si dee,
Il puro argento d’Ippocrene ei bee.
A sì fatto ruscel fátti vicino,
20Ed irrigane il seno;
Poi di giusto veneno,
Se pur altro non puoi, spruzza Calvino.
Ella sì disse: io bevvi, e su quell’ora
Forte la lingua mia venne canora.
25E ben facea mestier; chi dir bastante
Era d’un sì perverso,
Che qui per l’Universo
Latrando vomitò rabbie cotante?
E non trovò nel ciel loco tant’alto,
30Che bestemmiando non gli desse assalto.
Negli Apostoli pria l’ira spietata
Dell’atra lingua ei stese;
Poscia a riprender prese
L’intemerata Vergine sacrata;
35Ed all’eccelso Redentor superno
Osò dar colpa, ed assegnò l’inferno.
Quando tai note l’esecrabil scrisse,
O de’ lumi celesti
Fontana, o Sol, che festi?
40Non t’adombrasti di ben folto eclisse?
Il corso indietro non volgeste, o fonti?
E per orror non vi spezzaste, o monti?
Ah trabocchi nel centro, ah si disperga
La terra, ove ci ci nacque;
45Ah nel grembo dell’acque
Ginevra s’inabissi, e si sommerga;
E dove il traditor facea soggiorno,
Adombri notte, e non mai splenda il giorno.
Qual dassi infamia d’Erimanto al chiostro?
50Oro era il tempo antico:
Il mostro, di che dico,
Ben può colmar d’infamia il secol nostro;
Sì funesto leon Nemea non scerse,
Teste di tanto tosco Idra non erse.