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92 | poesie |
40Non t’adombrasti di ben folto eclisse?
Il corso indietro non volgeste, o fonti?
E per orror non vi spezzaste, o monti?
Ah trabocchi nel centro, ah si disperga
La terra, ove ci ci nacque;
45Ah nel grembo dell’acque
Ginevra s’inabissi, e si sommerga;
E dove il traditor facea soggiorno,
Adombri notte, e non mai splenda il giorno.
Qual dassi infamia d’Erimanto al chiostro?
50Oro era il tempo antico:
Il mostro, di che dico,
Ben può colmar d’infamia il secol nostro;
Sì funesto leon Nemea non scerse,
Teste di tanto tosco Idra non erse.
V
PER LO MEDESIMO.
Nel teatro del Mondo
Sorse Calvino, e passeggiò la scena;
Ma quel furor profondo,
Onde l’alma infernal sempre ebbe piena,
5Scoprir non volle, ed in mentito aspetto
Egli celò l’atrocità del petto.
In sulle dotte carte
Fissò lo sguardo, indi con ciglia arcate
Giva insegnando l’arte
10A’ mali accorti cor della bontate;
E divulgò, ch’egli faceva impresa
Di rabbellire, e riformar la Chiesa.
O cloaca, o sentina!
Profanar, bestemmiar, dar sepoltura
15All’immortal dottrina,
Non lasciar su gli altari Ostia sicura,
E sul cammin del Ciel non segnar orma,
Dunque oggidì s’appellerà riforma?
Riformar? con quai modi?
20Con sonar trombe? con armar guerrieri?
Con rapine? con frodi?
Con empier di lussuria i monasteri?
Con cacciar le Reliquie entro gli abissi?
Con far segno a saette i Crocifissi?
25Tu fra bicchieri immensi
Ebbro di birra l’altrui vita emendi?
Sull’altrui ben tu pensi?
Di vizio, e di virtù cura tu prendi?
Tu rivolgi in pensier vita celeste?
30Tu? de’secoli nostri incendio e peste?
Muse, cotante prove
Cotanto empie, e furor cotanto indegno
Il vostro cor non move
A vivi esempj di mortal disdegno?
35Su scagliate da voi Castalie cetre,
E v’armino la destra archi e faretre.
Forse, che in cielo ei saglia,
Per voi s’aspetta? e che nel campo eterno
Ei disfidi a battaglia,
40E tragga dal suo seggio il Re superno?
Da cotante empietà ragion nol mosse;
Fatto l’avria, se a lui possibil fosse.
VI
PER TEODORO BEZA.
Da chiuder gli occhi, e da serrarsi fora
Ambe le orecchie, e dell’udir privarsi,
O fornirsi di piume, ed affrettarsi
Oltre i confin della vermiglia Aurora,
5Quando ci son presenti
Cose più ree, che mostri, e che portenti.
Come soffrir si può, che spirto impuro
Un terso specchio di virtù si stimi?
E che di gigli s’orni, e sì sublimi
10Con vanti d’onestade un Epicuro?
E ch’ei spieghi la Fede
Dell’eterno Monarca in cui non crede?
Ecco apparir da scellerata scuola,
In che sotto Calvino a nutrir s’ebbe
15Il fiero Beza; e per tal modo ei crebbe,
Che oracolo si fea di sua parola,
In Ginevra sofferto
Qual novello Mosè dentro al deserto.
Ed ei, che in gioventude il cor contento
20Tenne su Pindo fra pensier lascivi,
E che le ciance de’ Poeti Argivi
In Losanna spiegò per poco argento,
Valse con modi indegni
Infestare i regnanti, ardere i regni.
25Or quanto tempo all’esecrato nome
Perdoneransi i meritati inchiostri?
Ha rotto i voti, ha profanato i chiostri;
Ivi con froda le bell’alme ha dome;
Ha predati gli Altari,
30E d’ôro sacro ha carchi i grembi avari.
Sasselo Francia, ove stendardo atroce
Ei dispiegò della milizia inferna,
Allor che ad onta della legge eterna
Vibrava tuon d’abbominevol voce,
35Alto gridando: o sciocchi,
Perchè tanto nel ciel rivolger gli occhi?
Fra le stelle alcun Dio non fa soggiorno,
Che possa, o voglia ritenerci a freno,
Se a noi stessi oggidì non vegniam meno,
40Nostro sarà quanto veggiamo intorno;
Col sembiante s’adori,
Ma non sia Deïtà ne i nostri cori.
VII
A POMPEO ARNOLFINI
SEGRETARIO DEL PRINCIPE DORIA
Vana essere l’ambizione umana.
Quando spinge vêr noi l’aspro Boote
Borea, che il Mondo tutto avvolga in gelo,
E quando ardente in sull’Eteree rote
Ascende Febo, e tutto avvampa il cielo,
5O che svegliando al fin gli egri mortali
Lor chiami alle dur’opre il ciel sereno,
O che pietoso, e lor temprando i mali,
Chiuda suo lume ad Anfitrite in seno,