Storie fiorentine dal 1378 al 1509/XIX
Questo testo è incompleto. |
◄ | XVIII | XX | ► |
XIX.
Luigi XII occupa Io stato di Milano. — Il duca Lodovico fugge in Germania. — Accordi di Firenze col re. — Cesare Borgia occupa Imola e Forli. — La decima scalata. — Il duca Lodovico racquista Milano, ma è di nuovo vinto dai francesi e condotto prigioniero in Francia. In questo tempo, e poi che el campo nostro si levò da Pisa ed innanzi fussi morto Paiolo Vitelli, e’ franzesi, e con loro messer Gian Iacopo da Triulci fuoruscito di Milano ed inimico del duca, scesi in sullo stato di Milano, presono Non, castello fortissimo, ed altri luoghi di quello stato; da altra banda e’ viniziani roppono guerra di verso Lodi. Ma perché el duca si rincorava difendersi da’ viniziani con poca perdita e gli premevano piú e’ franzesi, spinse tutte le gente sua a Alessandria della Paglia alle frontiere de’ franzesi sotto messer Galeazzo da Sanseverino, el quale era bellissimo giostratore, ma per viltá e poca esperienzia nella arte militare non punto atto a guidare uno campo; dove venendo e’ franzesi doppo uno acquisto prestissimo di Valenza, Tortona ed altri luoghi circumstanti, inviliti bruttamente sanza aspettargli abandonorono Alessandria, in modo che tutta quella provincia si dette subito a’ franzesi; ed el duca sbigottito, non avendo soccorso di luogo alcuno, dubitando non essere rinchiuso in Milano, accompagnato da monsignore Ascanio suo fratello, da messer Galeazzo da Sanseverino ed altri gentiluomini, insieme co’ figliuoli e col tesoro si fuggi nella Magna, e lasciò el castelletto bene guardato, fattone castellano Bernardino da Corte suo allevato, con disegno che tenendosi el castelletto, di fare esercito nella Magna, e per via del castello recuperare Milano. E partito lui, e’ milanesi, che giá avevano deputati alcuni gentiluomini a governo della terra, mandati imbasciadori a’ franzesi, si dettono loro; e’ quali, entrati drento pochi di poi, per defetto del castellano che vi era drento, el quale el duca aveva scelto per piú fedele, acquistorono el castelletto; e cosi tutto lo stato di Milano venne interamente in mano del re, eccetto Cremona e la Ghiaradadda, le quali, secondo le convenzioni, furono de’ viniziani; benché e’ cremonesi, non ostante che el campo de’ viniziani fussi intorno alle mura, stessino molti di duri e mandassino imbasciadori al re che gli volessi accettare. Ma el re, con tutto che ne fussi stimolato molto da’ milanesi, non vi volle acconsentire né mancare della osservanzia della fede; e loro sanza colpo di spada acquistorono uno stato di entrata ducati centocinquantamila lo anno, e che era el terzo del ducato di Milano; benché in quel tempo medesimo avessino grandissimi danni dal turco, che tolse loro Modone, Lepanto, Corone, luoghi importantissimi. E cosi facilmente si perdé lo stato di Milano e divisesi in mano degli inimici sua.
La quale cosa benché dolessi a tutti quegli a chi dispiaceva Italia squarciarsi e venire ai tutto in mano di barbari e da altra banda e’ viniziani ogni di diventare maggiori, nondimeno ognuno d’accordo confessò che e’ modi e portamenti di quello principe l’avessino meritato. Perché se bene e’ fu signore di grande ingegno e valente uomo, e cosi mancassi di crudeltá e di molti vizi che sogliono avere e’ tiranni, e potessi per molte considerazioni essere chiamato uomo virtuoso, pure queste virtú furono oscurate e coperte da molti vizi; perché e’ fu disonesto nel peccato della soddomia, e come molti dissono, ancora da vecchio non meno paziente che agente; fu avaro vario mutabile e di poco animo; ma quello perché trovò meno compassione fu una ambizione infinita, la quale, per essere arbitro di Italia, lo costrinse a fare passare el re Carlo ed empiere Italia di barbari; e poi sendo tornato el re Carlo in Francia ed essendo tempo da riunire Italia, a acconsentire anzi confortare e’ viniziani pigliassino la guardia di Pisa, acciò che la guerra e perturbazione di altri aprissi la via a qualche suo ghiribizzo; le quali cose per giusto giudicio di Dio, ritornorono, benché con danno e ruina di altri, finalmente sopra el capo suo.
Spacciato lo stato di Milano, la cittá nostra rimase molto ambigua ed in aria, perché, avanti che le genti del re scendessino in Italia, sendo richiesti dal re capitolare seco contro al duca di Milano, l’avevano sempre recusato, allegando non poterlo fare perché el duca guasterebbe loro la impresa di Pisa; pure strignendoli, si gli era secretamente promesso di non gli essere contro, con speranza che espedite le cose di Pisa, si procederebbe piú lá. Venute di poi le gente sua in Italia, strignendo ogni di piú lui la declarazione, la cittá se ne risolvè tanto adagio, che lui acquistò prima Milano che se ne facessi conclusione alcuna; nondimeno gli oratori nostri feciono seco in Lione una bozza di appuntamento con condizione assai ragionevole, con riservo che fra tanti giorni avessi a essere approvato dalla cittá.
Nel qual tempo sendo giá venuto el re in Italia e parendogli, per essere le condizione sua migliore, da potere trarre da noi piú somma di danari, o perché gli fussi fatte sinistre relazione di noi che ci intendessimo col duca di Milano, stimulato ancora da’ viniziani inimicissimi nostri e da messer Gian Iacopo da Triulzi al quale e’ pisani aveano offerto el dominio di Pisa, e lui ne ricercava el consenso del re, mutò le condizione di quello si era ragionato in Francia; in modo che innanzi si facessi conclusione, furono le difficultá molte ed e’ trattati lunghi; pure finalmente si fece conclusione, intervenendovi per la cittá con libera commissione gli oratori vecchi ed e’ nuovi che erano stati mandati a congratularsi: messer Francesco Guaiterotti, Lorenzo Lenzi d) e d Alamanno Salviati. Di che fu lo (1) [Il ms, ha Lensi.] effetto, che noi fumo finalmente accettati da lui in lega, e si obligò a mandare le gente sua a recuperare e restituirci Pisa e le cose nostre, eccetto Serezzana; ed e converso la cittá si obligò pagare a lui quella quantitá di danari di che eravamo debitori al duca Lodovico, che ce ne aveva serviti in prestanza, che furono circa a fiorini venticinquemila; dargli un certo sussidio di uomini d’arme e di fanterie, in caso gli fussi molestato lo stato di Milano; e cosi per la impresa disegnava fare del reame di Napoli, servirlo di quattrocento uomini di arme e cinquemila svizzeri pagati per tre mesi, o in cambio di quegli svizzeri dargli ducati cinquantamila; tórre a instanzia di San Piero in Vincola per nostro capitano el prefetto di Sinigaglia suo fratello. E si stipulò el contratto; e per molte parole e segni sua si fece allora giudicio fussi bene disposto inverso la cittá; e cosi stato poco a Milano, si ritornò in Francia, dove lo seguitorono per conto della cittá messer Francesco Gualterotti e Lorenzo Lenzi.
Ne’ medesimi tempi sendo gonfaloniere di giustizia per novembre e dicembre Giovan Batista Ridolfi, uomo che per conto della casa, di essere riputato prudentissimo, e per molte qualitá era stimato assai, si propose in consiglio grande una provisione di danari, la quale non si vincendo ed essendo ita a partito molte volte, Giovan Batista non potendo soportare che una provisione si necessaria non si vincessi, rittosi disse: che se gli animi de’ cittadini erano volere abandonare la cittá, che quegli eccelsi signori non lo patirebbono e, quando non avessino altro rimedio, sosterrebbono le paghe del Monte de’ tre, quattro e sette per cento. La quale parola benché fussi detta con animo libero ed affezionato alla cittá, nondimeno dispiacque tanto a chi la udi, che ricimentandosi subito la provisione, gli scemò el favore in tanta somma che non fu piú possibile vincerla. Il che ho voluto dire, perché chi ha a governare la cittá si ricordi che chi non può sforzare e’ popoli, bisogna che proceda con loro con dolcezza e pazienzia; e come si viene all’aspro, cominciono a sdegnare ed intraversarsi, in modo che non si dispongono piú a fare nulla. In questo tempo Cesare Borgia, chiamato ei Valentino per avere in Francia uno stato di quello titolo, con le gente di papa Alessandro suo padre ne venne allo acquisto dello stato di Imola e Furli; ed el re, secondo le convenzioni fatte con loro quando ottenne la dispensa, gli servi di trecento o quattrocento lancie di piú condotte, sotto el governo di monsignore di Allegri, con tutto che per noi si facessi grande instanzia che prima mandassi a espedire la impresa di Pisa, ed el re vi fussi inclinato; ma lo vinse la importunitá del papa. La quale cosa vedendo quella madonna, donna di grandissimo animo e molto virile, mandatone a Firenze e’ figliuoli, benché grandi, con tutto el mobile suo, si preparò gagliardamente alla difesa; ma sendo abbandonata da tutti, perché nessuno ardiva opporsi a chi aveva el segno e favore di Francia, finalmente ribellandosi e’ popoli, e lei sendo rinchiusa ed assediata nella ròcca di Furli, el Valentino, o per mala guardia o per trattato di quegli che erano drento, ebbe la ròcca, dove presa madonna Caterina la mandò a Roma; e cosi insignoritosi di quello stato, fondò el principio suo e cominciò, per essere in sulle arme e co’ danari e forze della Chiesa, a essere temuto. Circa a questi tempi ancora, sendo venuto el tempo della prima paga s’aveva a fare a’ viniziani de’ ducati quindicimila per conto del lodo del duca di Ferrara, e non essendo fatta, e’ viniziani feciono rapresaglia delle robe nostre che erano in sul territorio loro; la quale cosa non fu di danno, perché a’ piú de’ mercatanti fiorentini che vi erano, non fu tocco nulla per privilegi avevano della civilitá, e gli altri, sendone stati avvertiti, avevano assentate le cose loro, in forma che non se ne pati niente; e nondimeno, come si intese a Firenze, vi fu deputato imbasciadore per giustificare le cose nostre messer Guidantonio Vespucci; e di poi, parendo che questa gita fussi invano, mutato el consiglio in meglio, non fu mandato.
Nel medesimo anno, essendo gonfaloniere di giustizia per gennaio e febraio messer Francesco Pepi, ed avendo la cittá bisogno di danari, doppo molte dispute si propose finalmente una gravezza ingiusta e disonesta ed in grandissimo danno di coloro che avevano entrata di possessione. Erasi doppo el 94 posta, per uno magistrato deputato a ciò, una decima universale a tutti e’ beni de’ secolari, ed erasi usata qualche anno, ponendone secondo e’ casi che occorrevano, una, dua o tre per volta; ma perché questa decima gittava poco, chi era trovatore di gravezze nuove ordinò in detto tempo che vi si facessi su una scala in su quegli che pagavano di decima da cinque ducati in su, e di cinque ducati in cinque si multiplieassi, in modo che quando si poneva una decima, chi aveva di entrata cinquanta ducati gli toccava a pagare cinque ducati ^olo, chi n’aveva trecento, gliene sarebbe tocco da ottanta o cento; in modo che dove quello pagava uno decimo della entrata sua, questo altro ne pagava uno quarto o uno terzo, e chiamavasi decima scalata. Di modo che ponendosi l’anno tre o quattro di queste decime, chi aveva di entrata ducati cinquanta pagava uno terzo o un quarto della entrata sua; chi n’aveva trecento, pagava tutta la entrata sua; e multiplicandosi proporzionabilmente, chi aveva di entrata cinquecento o seicento ducati, pagava l’anno una volta e mezzo o dua la entrata sua.
Questo modo cosi proposto, benché fussi ingiustissimo e di danno al publico. perché gli è utilitá della cittá manteneri" le ricchezze, pure pensando ognuno alle commoditá sua, aveva favore assai; principalmente tutti e’ poveri, avendo a avere una gravezza, volevano piú tosto questa che una altra, perché la gli offendeva poco; tutti coloro che erano ricchi di danari la favorivano, perché la non gli percoteva; restavano solo quegli avevano molte possessioni, e’ quali erano pochi; e se alcuno altro, se ne ritraeva per la disonestá della cosa. Messasi a partito in consiglio e non si vincendo le prime volte, vi parlò su Luigi Scarlatti che era di collegio, molto vivamente, mostrando che egli era ragionevole che chi aveva piú ricchezze sentissi piú e’ carichi della cittá, soggiugnendo che se e’ si dolevano che questa gravezza gli impoverissi, che e’ gli scemassino le spese; e se non potevano tenere cavalli e servi, facessino come lui che andava in villa a piè e si serviva da sé; e con queste ed altre simili parole si riscaldò in modo, che el parlare suo di dispiacere e di disonestá avanzò la provisione. La quale si vinse con carico grande della signoria apresso agli uomini da bene, e tanto piú quanto sendo stato messo innanzi questo modo alla signoria passata, Giovan Batista Ridolfi, che era gonfaloniere, benché non fussi ricco di possessione, l’aveva sempre ostinatamente ricusata, in modo che a tempo suo non si apiccò mai.
Ritornato, come di sopra è detto, el re in Francia, lasciato bene guardato el castelletto e gente assai alle stanze nello stato nuovamente acquistato, e’ milanesi che sommamente avevono desiderata la ruina del duca Lodovico, avevano mutato volontá; e con tutto che e’ modi de’ franzesi non fussino stati disonesti in verso loro e non gli avessino oppressati ed in effetto non si potessino dolere della signoria loro, nondimeno sendo di natura e sangui diversi, ed inoltre non si potendo assettare a mancare di quegli piaceri ed ornamenti dava la corte, ne erano tanto infastiditi che non gli potevano comportare; e però molti gentiluomini stimolorono segretamente el duca che era nella Magna, che e’ volessi ritornare, mostrandogli la via essere facile a riacquistare lo stato suo. E però lui, seguitando e’ loro conforti, ragunato buono esercito, accompagnato da Ascanio e gli altri che l’avevano seguitato, ne venne alla volta di Milano, e non trovando contradizione alcuna, riebbe pacificamente, da el castelletto in fuora, tutto quello tenevano e’ franzesi di suo. E parendogli essere certo che e’ franzesi ritornerebbono con grosso esercito in Italia, si volse a tutti quegli rimedi che e’ poteva pensare importassino la salute sua: condusse assai svizzeri e lanzinech, in modo che fece uno potente esercito; mandò subito a Vinegia a pregargli volessino essere seco, promettendo loro quitanza di Cremona e Ghiaradadda, ed anche qualche altro vantaggio; scrisse a Firenze congratulandosi come con amici e richiedendo in tanto suo bisogno la restituzione di quegli danari aveva prestati loro; fece le medesime opere col pontefice; ed ogni cosa invano, perché né el papa, né e’ viniziani, né e’ fiorentini vollono in modo alcuno scostarsi dal re. Fece ogni sforzo di ottenere el castelletto, ma difendendosi e’ franzesi gagliardamente ed avendo abondanzia d’ogni cosa, non lo ottenne.
Ma come la nuova di questa ribellione fu in Francia, si messono con somma velocitá in ordine le gente da ritornare alla ricuperazione, e passorono e’ monti con gran prestezza; nel quale tempo la cittá osservando le convenzione aveva col re, gli dette certa somma di danari in scambio degli uomini d’arme e fanterie di che era pe’ capitoli obligata a servirlo per difesa della ducea di Milano. Da altra banda e’ franzesi che erano in Romagna agli aiuti del Valentino, stretti insieme si ritrassono per tutto lo stato di Milano in Novara; donde che el duca parendogli non potere reggere tanta piena e bisognare tentare la fortuna, raccozzato tutto lo esercito suo, ne venne a Mortara alle frontiere de’ franzesi, con animo di fare fatto di arme. Ma quegli svizzeri erano nel campo suo, tenuto pratica con svizzeri erano a’ soldi del re, quando fu el tempo di apiccarsi si tirorono da parte; in forma che, abandonato dalle fanterie, fu con poca fatica rotto, e lui miserabilmente preso, ed insieme messer Galeazzo da Sanseverino; monsignore Ascanio fuggendo, fu in sulle terre de’ viniziani preso da Bartolomeo d’Albiano loro condottiere e menatone prigione a Vinegia.
E’ milanesi, udita la nuova, non avendo riparo alcuno, capitolorono, salvo l’avere e le persone, con patto di pagare al re in certi tempi ducati trecentomila, di che el re rimesse loro poi buona parte. El quale accordo dispiacque tanto a svizzeri, a chi era stato promesso che Milano andrebbe a sacco, che, rubate le artiglierie del re, si tirorono da canto in luogo sicuro, e fu necessario, per accordargli, dare loro, credo, ducati centomila che s’erano di presente avuti da’ milanesi; e cosi Milano tornò nuovamente in mano del re, ed el duca ne fu menato prigione in Francia. E poco poi lo seguitò monsignore Ascanio, perché e’ viniziani richiestine dal re, benché male volentieri, pure per paura che avevano di lui gliene dettono; e per la medesima paura roppono e’ salvocondotti a tutti e’ gentiluomini milanesi che si erano fuggiti in sul loro, e gli dettono prigioni al re. E cosi gli Sforzeschi perderono interamente lo stato, sendo presi el duca ed Ascanio, e Caterina madonna d’Imola cacciata di signoria, ed inoltre un piccolo figliuoletto di Giovanni Galeazzo menatone in Francia e quivi fatto abate di una grossa badia; rimasene solo Giovanni signore di Peserò che poco poi perdé lo stato, ed Ermes fratello minore di Giovanni Galeazzo, uomo di pòco sentimento, ed e’ figliuoli del duca Lodovico, e’ quali erano nella Magna in corte di Massimiliano; e cosi si notò che tre grandi case di Ragona, Sforzeschi e Medici, che avevano acquistato potenzia in Italia, averla ancora perduta quasi in uno medesimo tempo.