Storie allegre/Una mascherata di carnevale/II
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II.
Quella sera andarono a letto mogi mogi.
Cesare dormiva solo, e in un altro lettino accanto al suo, dormivano Orazio e Pierino.
― Peccato! ― disse Cesare con un gran sospiro, prima di addormentarsi. ― Quelle cento lire erano proprio nostre! Nessuno ce le poteva levare....
― Sfido io!... ― brontolò Orazio.
In quanto a Pierino non potè dir nulla, perchè russava come un ghiro.
La mattina dopo, sul far del giorno, Cesare svegliò i suoi fratelli, gridando:
― Allegri, ragazzi, allegri!... Ho bell’e trovato il modo di far la mascherata!
― Davvero? ― disse Orazio, allungandosi e sbadigliando.
― Quale mascherata? ― domandò Pierino, col capo sempre fra il sonno.
― Ora vi dirò tutto. Volete sapere chi ci darà il vestiario?... Indovinatelo! Ce lo darà lo zio Eugenio.
Lo zio Eugenio (un gran capo-ameno) era fratello della mamma dei ragazzi, e stava con gli altri in famiglia, avendo nella medesima casa anche il suo Studio di pittura.
― E come fai a sapere che il vestiario ce lo darà lui?
― Ne sono sicuro.... perchè glielo porteremo via di nascosto.
― Lo zio, dunque, ha tutto il vestiario per il Rigoletto?
― Non è precisamente il vestiario del Rigoletto, ma ci corre poco. Sono strisce di raso rosso, verde, turchino, di tutti i colori: e con quelle strisce noi ci faremo i calzoni, i vestiti e i berretti....
― Ma se tu fai da Re di Francia, ti ci vorrà la corona di Re ― disse Orazio.
― Come sei ignorante! ― replicò Cesare con una scrollatina di capo. Ma non sai che i Re di una volta, quando andavano a spasso, non portavano in capo nè corona nè cappello?
― O quando pioveva, come facevano? ― domandò Pierino.
― Pigliavano l’ombrello, o se no, rimanevano in casa. Anche noialtri si sarebbe fatto così, ne convieni?
― Tu discorri bene, ― soggiunse Pierino ― ma nella Storia Romana non c’è detto che gl’Imperatori andassero fuori con l’ombrello....
― E tu ci credi alla Storia Romana? Povero bambino, lo spendi bene il tu’ tempo!... ―
Per farla breve, i tre fratelli entrarono nello studio dello zio, mentre lo zio era sempre a letto, e da una vecchia cassapanca gli portarono via un grosso fagotto di calzoni di seta, di sottoveste e di giubbe di raso e altre anticaglie d’ogni modello e colore.
Poi corsero a dare un’occhiata a quella famosa stampa che rappresentava, per dir come dicevano loro, tutta la famiglia di Rigoletto: e presi i necessari appunti, si rinchiusero in camera a lavorare.
Pierino, dopo averci pensato ben bene, si rassegnò a vestirsi da figliuola, invece che da figliuolo, e Cesare, avendo trovata una corona reale di cartone dorato, si rassegnò a portarla in capo.
La mattina dopo.... volete crederlo? tutto il vestiario, a furia di spilli, di aghi e di punti infilati a caso, era già in ordine.
Come facessero, non saprei dirvelo davvero. Io so una cosa sola, ed è questa; che i ragazzi, anche quelli di poca levatura, dimostrano sempre moltissimo ingegno quando lavorano per i loro balocchi.
E i quattrini per entrare in teatro? Dove trovarli? Da chi farseli imprestare?
Chiederli alla mamma era inutile, perchè sarebbe stato lo stesso che scoprire tutto il sotterfugio combinato fra loro.
A buon conto, avevano saputo che il biglietto d’ingresso al teatro costava una lira: dunque, essendo in tre, ci volevano almeno tre lire.
Inventando una scusa di libri da comprare, si provarono a chiederle allo zio Eugenio; e lo zio, famoso per queste burle, rispose subito:
― Volete tre lire sole? Io non faccio imprestiti così meschini! Chiedetemi cento, duecento, mille lire.... e allora c’intenderemo....
― Gua’ ― disse Pierino ― se lei ci fida anche cento lire, noi le si pigliano volentieri.
― Sicuro che ve le fido! E perchè non ve le dovrei fidare?
― Dunque la ce le dia.
― Portatemi il calamaio e un pezzo di foglio bianco. ―
Quand’ebbe l’occorrente, lo zio scrisse sopra il pezzo di foglio:
Pagherete ai miei nipoti Cesare, Orazio e Pierino lire cento, che segnerete a mio debito.
Lo Zio.
― E ora ― domandò Cesare da chi si vanno a prendere queste cento lire?
― Alla Banca de’ Monchi.
― E dov’è questa Banca?
― Qui svolto. Appena usciti di casa, tirate giù a diritto, poi trovate una piazza, poi svoltate a sinistra, poi girate in dietro, traversate il ponte e appena fuori della barriera, lì c’è subito la Banca de’ Monchi. ―
I tre ragazzi stettero attentissimi, ma non capirono nulla.
Fatto sta che Cesare, invece di andare a scuola, girò per tutta la città; e a quanti domandava della Banca de’ Monchi, tutti lo guardavano in viso e ridevano.
Tornato a casa, disse a’ suoi fratelli:
― Lo zio ce l’ha fatta!
― Cioè?
― La Banca de’ Monchi è una sua invenzione.
― E ora come si rimedia?
― Il rimedio ce l’avrei....
― Dillo, dillo subito! ― gridarono Orazio e Pierino.
― Ci state voialtri a vendere i libri di scuola?
― Magari!... e poi come si ricomprano?
― Con le cento lire del premio!
― Benissimo! E così li avremo tutti nuovi....
― E tutti rilegati.... ―
A furia di discorrere e di ragionarci su, quei tre monelli finirono per persuadersi, che, a vendere i loro libri di scuola, facevano un’operazione d’oro.
Lo stesso giorno, Cesare, con un fagotto sotto il braccio, andò in cerca di un rivenditore di libri usati: e quand’ebbe in tasca le tre lire, gli parve di aver toccato il cielo con un dito.