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IV VI


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10 Ottobre.


Giovedì fu una bella giornata! Era la festa del babbo! Non occorre dirti che sin dallo spuntar del giorno tutta la nostra famigliuola era in moto, e la nostra casetta riboccante di gioia e di allegria. La mamma aveva già fatto tirare il collo a un tacchino, e sorvegliava ai preparativi del desinare. Giuditta avea regalato al babbo un bel berretto di seta, che aveva ricamato di nascosto per fargliene una sorpresa; io non potei far altro che recargli un bel mazzo di fiori di campo, che avevo raccolti all’alba ed erano ancora umidi di rugiada. Era un povero [p. 46 modifica]mazzolino il mio; ma il buon padre gradì il mio regalo quanto quello di mia sorella e ci abbracciò entrambe colle lagrime agli occhi. I nostri amici vennero a trovarci fin dallo spuntare del giorno, facendosi precedere da grida festose, da schioppettate tirate in aria, e dagli abbaiamenti di Alì. Che festa! I signori Valentini recavano anch’essi dei bei mazzi, ma di veri fiori da giardino, che avevano fatto venire apposta da Viagrande. Il mio povero mazzolino sembrava tutto vergognoso accanto a quei fiori superbi. Ci regalarono anche un bel lepre ucciso il giorno innanzi... Ma il signor Valentini non va mai a caccia... bensì suo figlio... La mamma gradì più il lepre che i fiori... Per parte mia ti confesso che da qualche giorno son quasi riconciliata con i cacciatori... sarà effetto di abitudine... Eppoi che cosa possiamo capirci noi altre in simili divertimenti ai quali gli uomini prendono [p. 47 modifica]tanto gusto? Il babbo volle che i nostri amici rimanessero a pranzo con noi. Fu una bella giornata! Si cantò, si rise, si stette molto allegri, si ballò anche... io no, sai!

Dopo il pranzo la solita passeggiata. La sera era bellissima; ma, non so perchè, io non fui così gaia, così contenta com’erano tutti, e come fui l’altra volta. Mi piaceva udire il lieve fruscìo della foglia che cadeva, lo stormire degli alberi, il canto lontano dell’assiuolo, mi piaceva ad aver paura dove l’ombra era più oscura, e starmi sola in disparte, poichè di tratto in tratto mi si velavano gli occhi di lagrime.

Qual mistero c’è dentro di noi, Marianna? Avrei dovuto essere così allegra in quel giorno in cui tutti lo erano! Non saprei spiegare a me stessa questa stranezza. Sarà forse un cervellino strambo il mio, cui meglio conviensi la quiete del [p. 48 modifica]chiostro, e che qui trovasi fuori di posto, agitato, inquieto, ed anche un poco pazzerello.

Addio. Ti scriverò quanto prima. Questa lettera è breve, ed anche asciutta, mentre ti dovrei una bella lettera lunga lunga che ti narrasse cento altre cose, tutte le sciocchezze che mi vengono in mente, tutto quello di cui non posso chiacchierare con te a viva voce. Ma che vuoi? oggi non mi sento in lena. Sono stanca, svogliata, e non ho le idee ben chiare. A domani dunque.