Storia di una capinera/VI
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23 Ottobre.
Mi rimproveri ch’io abbia lasciato senza risposta la tua lettera, ed hai ragione, Marianna mia; me ne ero già rimproverata io stessa. Non so quello che m’abbia, non so... Il più piccolo lavoro, la menoma occupazione mi affatica... Sgridami... Sono un’infingarda... Vorrei stare tutto il giorno seduta all’ombra dei castagni; vorrei passare le notti a fissare gli occhi nel firmamento. Tutto quello che più mi allettava mi è venuto a noia. Non voglio più passeggiare nel castagneto, non voglio più cantare, non posso più ridere, tutto m’infastidisce. La tua povera Maria è assai triste! Non so io stessa il perchè. Sarà forse il Signore che avrà voluto farmi provare quanto fugaci sieno i piaceri e le gioie che non sono nella vita del chiostro. Oh, mio Dio! ci son dei momenti in cui quasi ho paura di me stessa... perchè anche la mia preghiera è distratta!... Dio mio! perdonatemi! confortatemi! Dio mio, sorreggetemi!
Il mio Carino è diventato quasi selvatico perchè da molti giorni non mi trastullo più con lui. Mi fugge! Sono diventata tanto cattiva adunque? Vigilante non mi fa più le sue solite carezze, perchè non gliele ricambio, e si avvede che mi infastidiscono.
Se fossi malata, Marianna? Ti confesso all’orecchio che quasi quasi vorrei esser malata, perchè allora tutta cotesta noia, tutta cotesta stanchezza dell’anima avrebbe un motivo e non mi spaventerebbe. Tu però che sei sana, che sei allegra, che sei felice, scrivimi, scrivimi spesso. Amami cento volte dippiù perchè adesso ho maggior bisogno che tu mi voglia bene, perchè io ti voglio bene assai dippiù, e perchè l’unico dolce sentimento che mi sia rimasto è una gran tenerezza pei miei cari, per tutti quelli che conosco; figurati poi per te!