Storia di Torino (vol 1)/Libro VI/Capo IV

Libro VI - Capo IV

../Capo III ../Capo V IncludiIntestazione 3 ottobre 2023 75% Da definire

Libro VI - Capo III Libro VI - Capo V
[p. 466 modifica]

Capo Quarto


Reggenza di Madama Reale Maria Giovanna Battista. — Vittorio Amedeo ii si riscuote dalla preponderanza francese, e ricupera Pinerolo.


La reggenza di Madama Reale Maria Giovanna Bat­tista fu assai più quieta che quella di Cristina di Francia. Niun principe collaterale si mostrò ambi­zioso di parteciparvi. Niuna guerra ne interruppe la calma. Ella potè governarsi in modo da osservare una stretta neutralità tra Francia e Spagna. Saputa dal Mattioli, ministro di Mantova, la vendita di Ca­sale fatta da quel duca a Ludovico xiv, fu sollecita di ragguagliarne il re cattolico, e così sventò quel segreto e costrinse l’ambizioso monarca a differir qualche tempo l’esecuzione de’ suoi progetti. Ambasciadore di Savoia a Parigi era il marchese Fer­rero della Marmora, il quale, secondando ottima­mente le intenzioni della reggente, sapea maneggiarsi [p. 467 modifica]con singolare destrezza in quel pericoloso ufficio, abbondando coll’imperioso Ludovico xiv in termini d’ossequio e di gratitudine, e soprattutto di confi­denza, ma schermendosi da’ suoi consigli insidiosi, dalle proferte d’aiuti, e mantenendo intatta alla sua Signora, ed allo Stato di Savoia la dignità di so­vrano e l’indipendenza. Nove anni durò la reggenza di Maria Giovanna Battista, la quale segnalò il suo governo con utili instituzioni, con molte buone leggi; e sebbene fin dal 1679 Vittorio Amedeo ii avesse compiuto i quattordici anni, e potesse, secondo l’uso delle case di Francia e di Savoia, governar da sè, tuttavia ottimamente operò la madre nel non ac­conciarsi a quella finzione legale, ed a continuar l’esercizio della sovrana autorità, che, non al principe, inetto per età a sì gran carico, ma sarebbe passata nelle mani degli ambiziosi.

Madama Cristina aveva sino al termine della sua vita esercitato sul figliuol suo un assoluto comando. Di tanta sommessione non era capace la tenerezza di Vittorio Amedeo ii verso la madre. Ella il sentiva, e forse l’amor del comando entrò di mezzo fra le altre considerazioni che la determinarono, dopo qual­che esitazione, a consentire al trattato di matrimonio del figliuolo coll’infanta Elisabetta di Portogallo. Questa principessa era l’unico frutto del matrimonio contratto da Maria Francesca Elisabetta di Aumale, sua sorella, coll’infante D. Pietro reggente di [p. 468 modifica]Portogallo, dopoché era stato dichiarato nullo il matrimonio ch’ella avea precedentemente contratto col re D. Alfonso vi. La mano di quella principessa recava a chi l’ottenesse il titolo regio, ed ai figliuoli la suc­cessione dei regni Portoghesi. Le due sorelle s’ama­vano teneramente. Quindi le nozze furono conchiuse, superandosi il divieto delle corti di Lamego, perchè si mostrò come Vittorio Amedeo ii discendeva dal gran re Emmanuele di Portogallo.

Nel 1682 giunse il duca di Cadaval con una flotta riccamente apparecchiata a Nizza, onde levare il duca di Savoia e portarlo a Lisbona. Ma resisteva a tal pro­getto l’amor della nazione pel suo principe e l’inte­resse della nazione medesima. Mandarsi, mormora­vano, da Madama Reale in Portogallo il figliuolo, affinchè le rimanesse perpetua l’autorità di governo, a difender la quale non le mancherebbero i soccorsi di Francia. Intanto questo Stato diverrebbe col tempo una provincia portoghese, conculcata dai governatori portoghesi, come la Lombardia dagli Spagnuoli. Tutti gli animi bollivano, nè mancavan tra’ grandi quei che andavano susurrando queste ragioni alle orecchie del duca, il quale vi prestava intiera fede. Cadaval venne a Torino, trovò il reale sposo oppresso da gagliarda febbre. I medici protestavano che per lungo tempo non sosterrebbe il mare. Uno d’essi stese un consulto che fu mandato a Lisbona, in cui mostrava aver il duca fin dalla prima fanciullezza [p. 469 modifica]avuto gran travaglio di malattie; essersi quella testé riaccesa, piuttosto una continuazione degli antichi disordini derivanti dall’eccessiva debiltà della sua complessione che una malattia nova. Dipinse insomma la condizione del duca in modo, che a Lisbona si giudicò essere impossibile che da un tal principe potesse il Portogallo sperar successione. La regina di Portogallo scrisse dunque alla sorella che il ma­trimonio non si poteva recar piò ad effetto. Essersi sparse tra il popolo le male informazioni date dai medici, trovarsi ora tutti i voti contrarii, quanto stati eran prima favorevoli.

Questa rottura fu per più titoli un avvenimento fortunato; e massimamente perchè alla regina di Portogallo nacque non molto dopo un figliuolo ma­schio.

Intanto si trattò con migliori auspizi il matri­monio del duca con Anna d’Orleans. Vittorio Amedeo aveva allora diciott’anni, e poco fidandosi, sebbene a torto, della madre, mostravasi desideroso di pren­dere egli stesso le redini del governo. Maria Gio­vanna Battista, informata che di ciò trattava in segreto co’ suoi confidenti, tolse consiglio dalla pro­pria dignità, e scrisse al figliuolo: « essere egli ornai giunto ad un’età in cui poteva governare da sè; massime trovandosi in sul punto di prender moglie. Perciò a lui rimetter essa di buon grado il comando. » I travagli derivanti dal malaugurato progetto del [p. 470 modifica]matrimonio coll’infanta, e le sollevazioni della pro­vincia del Mondovì, angariata per l’imposta del sale, furono i soli gravi disturbi ch’ella provasse nella sua quieta reggenza.

Ludovico xiv non tardò a disgustare co’ suoi ter­mini assoluti ed altieri il giovine duca di Savoia, nato a tuli’altro che alia timidità ed all’ossequio. Dapprima io costrinse a suo malgrado a far la guerra ai Valdesi, e a cacciarli dal Piemonte, com’egli avea cacciato di Francia gli Ugonotti. Poi mandando da Pinerolo in Monferrato le truppe a guernirne le piazze, non si curava di domandar il passo, e i Fran­cesi molle volte s’avvicinavano tanto alla capitale del Piemonte, che poteano facilmente scoprirsene le bandiere. Cresceva poi ogni giorno in pretensioni, e poiché fu conchiusa contro l’ambizioso monarca francese la lega d’Augsbourg, volea guernire colle armi sue la cittadella di Torino.

Vittorio Amedeo ii, in una gita che avea fatto a Venezia, era stato con molte lusinghe stimolato ad entrar nella lega. Ma egli lardava a risolversi, e pre­feriva d’osservare una stretta neutralità.

Se non che le imperiose parole del Catinat, il trattato che si scoperse in aprile del 1690, per im­pegnar S. A. in una guerra civile al Mondovì, onde i Francesi, giungendo improvvisi, potessero impa­dronirsi della cittadella di Torino, lo indussero a ri­soluzioni estreme. Dichiarò la guerra alla Francia, [p. 471 modifica]e con tanto consenso nazionale, che tutte le Religioni gli vennero ad offerire i loro argenti per le spese. I Valdesi, e molti degli Ugonotti di Francia gli con­dussero soccorsi. Vennero le truppe imperiali col principe Eugenio.

In breve. I successi della guerra non furono in sulle prime favorevoli al duca.1 Ma egli mostrò sì gran cuore e sì gran mente, tanta attività, tanta fermezza, che da quel tempo l’arbitrio delle sorti italiane non fu più nè presso Francia, nè presso Spagna. Egli indusse Ludovico xiv a smantellar Ca­sale, a rendergli Pinerolo e La Porosa (1696); a riconoscere e rispettare la neutralità d’Italia, e costrinse i proprii alleati, che ripugnavano a tal con­clusione, è gli offerivano monti d’oro e la corona Lombarda se volea continuar la guerra, ad accettarla.

Nel 1700, suscitatasi la guerra per la successione di Spagna, Vittorio Amedeo ii aderì alla Francia; diè la propria figliuola a Filippo v, che raccolse lo scettro dei due mondi, e combattè valorosamente in favore di Ludovico xiv. Ma l’alterigia che più volte nocque ai Borboni, li privò del poderoso suo braccio. A tenor del trattato, Vittorio Amedeo ii doveva essere generalissimo ed aver il supremo co­mando. Ma Catinat, Vaudemont, Villeroi non obbe­divano. Giunse Filippo v in Italia, e, benché suo genero, gli usò pochi riguardi e gli mostrò diffi­denza (1702). Di sospetto nasce sospetto, d’offesa [p. 472 modifica]nasce offesa. Ludovico xiv credeva d’aver in pugno il duca, e di regolarlo a suo modo. Questi non la­sciava ignorare le proferte che gli si faceano per trarlo nel partito contrario. L’ambasciadore di Francia dicevagli: Invano vorreste dichiararvi contro al re. Dove prendereste le armi? Al che dicono rispon­desse il duca, come Pompeo: Batterei la terra col piede, e ne uscirebbero legioni di sudditi fidi e devoti.

Vittorio Amedeo punto da tanti soprusi e da tanta durezza, e massime dalla protesta che il re avea fatto di non voler soffrire che il duca di Savoia aggiun­gesse un palmo di terra al proprio Stato, entrò in negoziazioni colla corte di Vienna. Ma indugiava an­cora a risolversi, perchè i legami del sangue faceano contrasto alla ragion di Stato. Ma certe carte che il gabinetto di Vienna fece artificiosamente cadere in man de’ Francesi, avendo loro fatto credere che la lega tra Savoia ed Austria era conchiusa, le truppe Piemontesi del campo di S. Benedetto vennero dis­armate e fatte prigioniere. Avuta tal nuova, il duca non seppe frenarsi, e con soli quattromila soldati dichiarò la guerra alla Francia ed alla Spagna il 3 d’ottobre 1703, e fé’ per giusta rappresaglia arrestar gli ambasciadori delle due corone.

Men di tre anni dopo, un poderoso esercito fran­cese investiva la sua città capitale.


Note

  1. [p. 481 modifica]De Saluces, Hist. milit. du Piémont. — Quest’opera di molta erudi­zione e di molto sentimento, debb’essere consultata per tutto ciò che con­ cerne le fazioni di guerra.