Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro sesto/Capo primo

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CAPO PRIMO

(Dall’anno 1498 al 1593.)

I. Occulta alleanza tra i re di Francia e di Spagna. I Francesi minacciano il Reame. Federigo domanda ajuti alla Spagna. Consalvo torna in Messina, donde passa in Reggio. Si pubblica in Roma il trattato tra Spagna e Francia. Angustie di Federigo. È assediato da’ Francesi in Capua: fugge in Ischia. II. Contrasti tra Spagnuoli e Francesi. Fatti d’armi in Calabria. Gli Spagnuoli in Reggio. Battaglia di Terranova. III. Giungono in Reggio nuovi rinforzi spagnuoli. Seconda battaglia di Seminara. Rotta de’ Francesi. Aubigny si ritira all’Angitola. IV. Gli Spagnuoli battono l’Angitola. Battaglia della Cerignola. I Francesi sconfitti al Garigliano, escono del Reame. Consalvo entra in Napoli. Il Regno cede alla signoria spagnuola

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I. A Carlo VIII morto nel 1498 era successo in Francia il Duca di Orleans che fu Lodovico XII. Costui si collegò in occulto con Ferdinando il Cattolico (che per esser figlio di Giovanni d’Aragona, fratello d’Alfonso I, vantava ragioni sul Reame) ed entrambi deliberarono, per dar luogo alle pretensioni reciproche, di conquistare il Regno a comuni forze, di spodestarne poi il re Federigo, e di dividersene le provincie a’ termini del trattato firmato in Granata.

Federigo, che nulla ancor sapeva di tutto questo, veduti gli apparecchi del re di Francia a suo danno, si raccomandò caldamente al suo congiunto Ferdinando il Cattolico per averne presti ed efficaci ajuti. Ed in effetto, prima che la invasione francese fosse cominciata, già Consalvo era venuto da Spagna colla sua armata in Messina. Donde, facendo sembiante di voler prendere forti posizioni per combatter con vantaggio i Francesi, era passato ad occupar Reggio (1500) ed altri luoghi importanti di Calabria coll’adesione di re Federigo. Ma quando l’esercito francese giunse in Roma, ivi il trat[p. 255 modifica]tato si pubblicò; della qual cosa se fosse venuto il sudor della morte a Federigo, altri il pensi. Conosciuta questo re la trista verità, disperò di poter far petto alle congiunte forze di due Sovrani così potenti, che avevano fermato di perderlo; e per far un’ultima prova, si attestò in Capua. Assediato ivi e combattuto dal francese Aubigny, ch’era testè entrato nel Regno con gagliardo esercito, fu costretto a fuggire, essendo caduta quella piazza in poter de’ Francesi per tradimento. E diffidando di potersi più oltre sostener ne’ suoi Stati, fece che fossero consegnate all’Aubigny le fortezze di Napoli: ed egli con tutta la real famiglia ed i suoi più fidi si ritirò in Ischia. Donde poi passato in Francia, ebbe il Ducato di Angiò.

II. Fu patto tra i due sovrani Lodovico e Ferdinando che ognuno dovesse conquistare a suo spese e rischio la sua parte. La parte assegnata nel trattato al re di Francia componevasi di Terra di Lavoro e degli Abruzzi; al re di Spagna toccò la Puglia e la Calabria. Non era stato però ben definito a chi appartener dovessero la Capitanata e la Basilicata; onde conquistando ciascuno la sua parte, quando si venne a queste due provincie, ciascuno le voleva per se. Non polendo accordarsi, si fermò tra i contendenti di riferire alle corrispettive Corti, e di sospender frattanto qualunque ostilità sino alla risposta. Ma il Duca di Nemours, che comandava le forze di Francia, vedendosi molto superiore agli Spagnuoli, senza aspettar più oltre, intimò guerra a Consalvo che capitanava l’esercito spagnuolo. E Spagnuoli e Francesi vennero alle armi.

Mentre Consalvo guerreggiava in Puglia contra il Duca di Nemours, l’Aubigny si spingeva in Calabria, ed andava sollevando i baroni ed i popoli a favor di Francia. Suscitaronsi novellamente i rabbuffi e le speranze de’ due partiti angioino e aragonese. Intanto Ugo di Cardona capitano spagnuolo trasportava dalla Sicilia in Reggio tremila fanti e trecento cavalli, messi insieme ed ordinati in quell’isola. Ed in pari tempo un’armata Spagnuola pigliava porto in Reggio, e conduceva al Cardona un soccorso di duecento uomini d’armi, duecento giannettieri, e duemila fanti sotto la condotta di Emmanuele Benavida. Gli Spagnuoli, spingendosi risoluti contro i Francesi, ruppero in un primo scontro Giacomo Sanseverino conte di Mileto, che chiamava i Calabresi a ribellione, e poi porsero ajuto a Diego Ramirez, che i Francesi tenevano assediato nella rocca di Terranova. E saccheggiata ed arsa quella terra, procedettero oltre, e misero in fuga il principe di Rossano, e fecer prigioniero il capitano francese Humbercourt. In quest’ultimo fatto d’armi, militando ancor da gregario, fece le sue prime prove di valore Antonio de [p. 256 modifica]Leiva, che poi riuscì così famoso capitano nelle guerre d’Italia.

Come seppero queste novità i principi di Bisignano e di Salerno, che si eran gittati alla parte francese, fecero per tutto levata di soldati, ed armati i loro vassalli si congiunsero con Aubigny, che da Cosenza si era mosso ad attraversare i progressi delle armi spagnuole. Il Cardona aveva posto il suo campo sulla pianura ch’è al mezzodì di Terranova; ed aveva avuto spia che i Francesi non avrebber potuto giungere ivi nemmeno in due giorni. Contuttociò egli avrebbe voluto schivar la campagna, e ritirarsi nel castello di San Giorgio (1501); ma prevalse il consiglio del Benavida e del Leiva di aspettare i Francesi all’aperto. L’Aubigny però, usando la prestezza francese, camminò tutta la notte per via disusata colla guida de’ Calabresi, e presentate le genti in battaglia fece dar nelle trombe, quando gli Spagnuoli il credevano tuttavia molto lontano. Nondimeno si misero animosamente in ordinanza, e cominciando a combattere sostennero con molta saldezza la furia de’ Francesi. Ma dopo un lungo e feroce conflitto rimase a questi ultimi la vittoria, e gli Spagnuoli disordinati andarono in rotta ed in fuga. L’Aubigny però fu a gran pericolo della vita, perchè i cavalieri spagnuoli avevanlo tolto in mezzo, e quasi che preso, quando fu salvo dalla banda del principe di Salerno, che giunse in buon punto a suo ajuto. Ugo di Cardona, penetrando per quelle balze dirupevoli si raccolse alla Motta Bovalina, donde prese via per la Roccella, e da ivi a Gerace. Molta Bovalina fu occupata indi a non molto dai Francesi, che si posero ad inseguir gli Spagnuoli fuggitivi. Non vi fu quasi alcun paese in Calabria che dopo questa vittoria de’ Francesi non si voltasse alla parte loro, e gli Spagnuoli si andaron chiudendo nelle rocche più forti.

III. Non giunse appena in Spagna a Ferdinando la nuova degl’infortunii del suo esercito in Calabria ed in Puglia (dove Consalvo era costretto a star chiuso in Barletta) che subito fece mettere in punto un’altra armata nel porto di Cartagena; e questa con celerissima e prospera navigazione approdò in Messina, conducendovi un rinforzo di seicento cavalli e cinquemila fanti. Comandava l’armata e l’esercito il genovese Portocarrero, cognato di Consalvo, e sotto di lui militavano i valorosi capitani Alfonso Carvajale, che guidava la cavalleria, e Ferdinando d’Andrada che aveva il comando de’ fanti. Passato senza indugio lo stretto (1503), le truppe spagnuole sbarcarono in Reggio; ma quivi Portocarrero fu preso di tale infermità, che in breve il privò della vita. Chiamò a succedergli nel comando l’Andrada, e questi spartite le sue schiere in tre corpi, ed unitevi le reliquie dell’esercito del Cardona, marciò alla volta di [p. 257 modifica]Terranova. Alla stessa volta si affrettava ad un tempo l’Aubigny, ma fu prevenuto dallo Spagnuolo Alverado, ed allora si piegò al castello di San Giovanni, poco lungi da Seminara, dove sette anni innanzi aveva sconfitto Ferdinando II, e Consalvo. La rimembranza della passata vittoria, e della recente riportata nelle non lontane campagne di Terranova, diedero tanta sicurtà all’Aubigny di una terza vittoria, che sebbene le sue forze fossero assai minori di quelle degli Spagnuoli, volle contuttociò far battaglia su que’ campi già due volte fatali a’ nemici. Sfidò dunque a giornata gli Spagnuoli non senza proverbiarli di poco valore, e di lasciarsi facilmente vincere. Ciò mise nel loro animo un dispetto rabbioso, ed un ardore grandissimo di venir al cozzo delle armi. Francesi e Spagnuoli si diedero di petto ciechi di stizza, e prendendosi alla spada, si mescolarono insieme. Ognuno credeva sua la vittoria, nessuno cedeva, nessuno acquistava del campo. Ma quando il Carvajale con espedito consiglio, menato intorno il sinistro corno, e passato il fiume, entrò alle spalle della prima ordinanza de’ nemici, venne in loro tanto spavento che la squadra dell’Aubigny si sconcertò e disordinò, ed egli stesso si diede alla fuga. In un medesimo la cavalleria del Carvajale tagliava la seconda e terza squadra composte di Calabresi, e comandate da due Sanseverini Alfonso ed Onorato. Talchè nello spazio di mezz’ora fu passata a fil di spada quasi tutta la fanteria Francese, e conseguita una vittoria piuttosto singolare che rara. I due Sanseverini rimasero in poter de’ vincitori, e l’Aubigny non dovette il suo scampo che al coraggio risoluto di uno squadrone di Scozzesi, che servivano nell’esercito di Francia. Dopo ciò costui, senza mai fermarsi, corse fino a Gioja; ma dettogli ivi che la cavalleria Spagnuola gli era alle peste, uscì di Gioja occultamente, e camminando col favor della notte si ritirò nella rocca d’Angitola; dolendosi a morte della nemica fortuna, che l’avesse finalmente abbandonato al maggior uopo.

IV. Nel giorno appresso i capitani spagnuoli Valentino da Benavida, il Carvajale, l’Alverado, ed il Leiva, senza punto allentare la celerità loro, fecero massa all’Angitola, e presa agevolmente quella terra, posero l’assedio al castello ove s’era chioso l’Aubigny. E poco stante vi giungeva ancora l’Andrada colle sue schiere, e si accingeva a battere il castello vigorosamente per espugnarlo. Ma in questo mezzo vennero al campo spagnuolo lettere di Consalvo, che annunziavano la battaglia da lui data alla Cerignola sopra i Francesi, e la morte del Duca di Nemours. Quando l’Aubigny ebbe certezza di tanta sconfitta, cedette la rocca agli Spagnuoli, e si rese loro prigioniero; con patto però che tutti gli altri Francesi fossero liberi. Ma [p. 258 modifica]la fortuna loro non dovea più risollevarsi, e nel seguente anno, sconfitti pienamente al Garigliano, uscivano al tutto dal Reame.

Consalvo entrò in Napoli tra le feste de’ cittadini, che gli avevano mandate le chiavi della loro città ad Acerra, domandandogli la conferma de’ lor privilegi. Così vennero a gittarsi fra noi solidamente le fondamenta della dominazione spagnuola. Così il regno di Napoli divenne di nazione provincia; così il governo de’ Vicerè rese incerti e frustranei i diritti de’ cittadini; complicate ed inefficaci le leggi; onnipotente l’amministrazione pubblica; nulla la giustizia: divennero gli stessi cittadini sudditi de’ sudditi della corona di Spagna. E questa trista e dolorosa verità si farà appieno manifesta ne’ seguenti capi della nostra storia.