Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro secondo/Capo quarto
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CAPO QUARTO
(Dall’anno di Roma 719 all’anno di Cr. 385.)
I. Augusto. Deduzione di ventotto Colonie militari in Italia; fra le quali è Reggio. Incendio in Reggio. L’impero Romano vien compartito in ventisei parti. II. È divisa l’Italia in undici regioni; nella terza sono compresi i Bruttii, al cui territorio è aggregata Reggio. Giulia. Cajo Caligola. III. San Paolo, mandato prigioniero dall’Asia a Roma, tocca Reggio. IV. Stefano da Nicea. Martirio di Stefano. Cristianesimo. V. Via Appia, Aquilia, Trajana. Tempio d’Iside e Serapide. Augustali. VI. Consolari. Correttori. VII. Italia sotto Costantino. Diocesi d’Italia; Vicario d’Italia; Vicario della Città. La Lucania ed i Bruttii, decima provincia del Vicariato della Città. Correttore della Lucania e Bruttii. Reggio è la sede del Correttore. Significazione speciale del nome d’Italia. Ministri del Correttore. VIII. Tributi della Lucania e de’ Bruttii sotto l’Impero Romano. IX. Tremuoti in Reggio. San Girolamo passa per Reggio. Condizione di questo paese durante la decadenza dell’Impero Romano.
I. Dopo la morte di Antonio, Roma logorata e sfinita dalle diuturne e sanguinose guerre civili, era finalmente caduta nel grembo di un solo uomo; dal quale non aspettava più libertà, ma voleva riposo. Quest’uomo era Ottaviano, ed il mondo romano, desideroso di pace, tutto in lui si rimetteva. E quando a proposta di Munacio Planco fu soffregato ad Ottaviano dal Senato e dal Popolo di Roma il nome di Augusto (An. di R. 737. av. Cr. 27); quando da questi creato Imperatore della Romana Repubblica, fu chiuso il tempio di Giano, i Romani ne presero tali feste che non mai tante ne’ più gloriosi tempi dell’estinta repubblica. Passata così nel pugno di Augusto la somma delle cose romane, ridusse affatto al suo arbitrio quel popolo orgoglioso, che aveva già condotte tante nazioni all’estrema miseria, ed ora si faceva merito di servire sotto la sferza di un solo.
Per rimunerare i soldati veterani de’ gran servigli prestatigli nelle guerre contro Sesto Pompeo, e poi contro Antonio, dedusse in Italia ventotto colonie militari, fra le quali furono incluse parecchie ancora delle diciotto città, di che ragionammo, e che poi rimasero abbiette e spopolate nelle guerre succedentisi. Fra queste fu annoverata Reggio, la quale ebbe da Augusto il favore di una seconda colonia militare che rincalzasse la prima, e mettesse gente nelle sue desolate mura. E la mala fortuna de’ Reggini fu tanta che in quel torno un terribile incendio si appiccò alla lor città per distruggere quasi al tutto quanto ancora poteva restare illeso dalle orme del soldato romano.
L’Impero della Repubblica Romana, che così lo chiamavano, fu diviso in ventisei parti, delle quali quattordici restarono all’esclusivo governo di Augusto, e le dodici rimanenti a quello del Senato e del Popolo. Nelle parti da sè dipendenti Augusto collocò validissimi presidii, e ad amministrarvi ragione mandò suoi legati e procuratori. Ma per allontanar qualunque sospetto di voler aspirare al principato assoluto, dichiarò al Senato ed al Popolo, ch’egli per soli dieci anni avrebbe accettato il potere, cioè quanto bastava a rassettare le cose della repubblica, tanto sgominata e logora dalle interminate discordie degli ambiziosi ed inquieti cittadini.
II. Fra le quattordici parti dell’impero romano, che Augusto tenne a sè, era compresa l’Italia, la quale fu da lui suddivisa in undici regioni; e di queste la terza comprendeva Lucani, Bruttii, Calabri, Salentini, ed Apuli. Reggio col suo territorio fu aggregata a quello de’ Bruttii; mentre prima di questi tempi aveva formato sempre una regione appartata ed indipendente, della quale ì Bruttii, quand’erano nazione, avevano lungamente ambito il dominio; ma indarno. E ciò fece che Reggio, a par di Taranto e Napoli, potesse tuttavia sotto i primi tempi dell’impero romano (non ostante la sua condizione di colonia militare) conservare le sue greche fattezze, ed i suoi Pritani ed Arconti. Imperciocchè i Romani, con tutte le loro oppressioni, non vollero mai levarle, o alterarle la forma delle sue antiche istituzioni.
Della storia di Reggio sotto il romano impero sino all’invasione de’ Goti, nulla sappiamo; e quel pochissimo che abbiam potuto raccorre ci è argomento di quel molto che sfugge a qualunque indagine storica. Ci è noto soltanto che nell’anno di Roma settecento cinquantadue Augusto confinò in Reggio la sua figliuola Giulia, ove poscia morì. Ci è noto che quando Cajo Caligola uscito a un tratto da Roma «addolorato per la morta Drusilla, in lunga barba e crine scorreva ramingo, fatto misantropo, le coste d’Italia» passò da Reggio in Sicilia. «Ma arrivato in Siracusa, cangiatosi, a rompicollo tornò a Roma, fermo di non piangere, ma onorar Drusilla».
III. Era nato intanto (An. di R. 753) nella grotta di Betlemme quel vaticinato pargoletto che dovea rinnovare e redimere il mondo rivelando una religione di carità e di amore, la cui splendida verità avesse a dileguare gli errori degli antichi culti, e ricostruir la società sopra un patto novello. Dodici umili e poveri pescatori, fatta abnegazione di tutto, e seguendo i precetti di Cristo, loro divino Maestro, dovevano seminar per la terra i germi fecondi del Verbo di Dio. Fra gli altri primi seguaci del Redentore era Paolo da Tarso di Cilicia, il quale dopo la crocifissione è resurrezione di Gesù scorreva le regioni dell’Asia soggette all’impero Romano, predicando le dottrine del vero culto. Ma accusato d’insinuare una credenza contraria alla dominante, fu dal popolo sostenuto in Gerusalemme; e gli sarebbe stata tolta la vita, se alla furia popolare non lo avesse strappato il tribuno Claudio Lisia; il quale sapeva quanto fosse grave far mali tratti ad un cittadino Romano: chè tale era Paolo. Non potendone altro, il tribuno lo rimise al Preside in Cesarea, scortato da due Centurie. Ma vedendo il Preside Porzio Festo che le accuse dei Giudei contro Paolo non eran tali che potesse esser condannato nella testa, lo avviò all’Imperatore in Roma; a cui Paolo, come cittadino romano, si era appellato. Lo scortava il centurione Giulio colla corrispettiva milizia. E quando, navigando per il mare della Cilicia e della Pamfilia, giunsero a Listra; trovata ivi una nave alessandrina, che si metteva alla vela per l’Italia, in essa fu fatto imbarcar l’Apostolo. Dopo una lunga e penosa navigazione, la nave naufragò presso Malta, ove, salvatisi a grande stento, presero terra e svernarono. E ripigliato l’andare, dopo tre mesi da che erano partiti da Listra pervennero a Siracusa, ove dimorarono tre giorni. Quindi costeggiando l’Italia, toccarono Reggio, e trattenutisi quivi un sol giorno proseguirono per Roma. Dove poi l’Apostolo prigioniero fu dicollato nel decimoquarto ed ultimo anno dell’impero di Claudio Nerone.
IV. È pia tradizione che l’Apostolo giungesse in Reggio a tempo che i cittadini celebravano le solenni feste della loro dea protettrice Diana (An. di Cr. 56); e che in tal congiuntura avesse loro predicato le dottrine evangeliche, e lasciatovi per vescovo Stefano da Nicea che con lui veniva dalla Giudea.
Questo Santo vescovo, dopo diciassette anni dalla venuta di San Paolo in Reggio, (An. di Cr. 73) fu martirizzato nella generale persecuzione de’ cristiani, che seguì al tempo dell’imperatore Vespasiano. Imperciocchè sotto gl’imperatori romani il cristianesimo non era pubblico culto, ma veniva esercitato di segreto; essendo le religiose pratiche dei cristiani opposte alla religione dello stato. Poi andò a mano a mano pigliando terreno, e traforandosi nel popolo a traverso di tante fiere persecuzioni non fu osservato in palese, prima che Costantino lo avesse sollevato a religione dell’impero.
V. Nessun’altra notizia abbiamo di Reggio ne’ tempi degl’imperatori seguenti, da quella in fuori che sotto Trajano (An. di Cr. 98 a 117) i quatuorviri Licinio Sura, Giulio Frontone, Lelio Coccejano, e Flavio Faltone ebbero commissione di restaurare la via Appia che si stendeva da Roma a Capua; e di porre opera che fosse a pubbliche spese continuata da Capua in due braccia, l’uno per Brindisi, l’altro per Reggio. Questo braccio, che da Capua menava a Reggio era pur detto via Aquilia, e passando per Nola, Nocera, Marcelliana, Morano, Consensa, e per le altre principali città più propinque al Tirreno, capitava alla Colonna Reggina, ed a Reggio. Ambe le braccia erano anche dette via Appia Trajana, o via Trajana senza più.
Ne’ tempi posteriori ad Augusto fu eretto a Reggio un tempio ad Iside e Serapide; tempio che per sua particolar divozione consecrava a quelle deità egiziane Quinto Fabio Liberto, ingenuo di Tiziano Seviro Augustale, candidato del sacerdozio. Il culto d’Iside e Serapide s’era insinuato a poco a poco nella plebe romana sin da’ migliori tempi della repubblica; e preso aveva tanto spazio, che il Senato, a cui premeva che il patrio culto non fosse guasto dall’intromissione di nuovi riti, aveva ordinato una volta che fossero distrutti que’ monumenti della credenza egiziana ovunque si trovassero. Ma nessuno volle prestarsi a ciò; e fu forza che il console Paolo Emilio, deposta la toga consolare, abbattesse a colpi di scure que’ monumenti. In processo di tempo però cominciò ad esser tollerato, ma restò sempre a privata divozione. Dal vedersi in Reggio un Augustale fece presumere che qui dovesse essere un tempio dedicato ad Augusto. Oltre de’ Sacerdoti augustali vi erano ancora i Decurioni augustali, che nelle colonie formavano un ordine separato, ed eleggevano il Magister Augustalis. Nè tutti gli Augustali erano decurioni. Perciocchè siccome ai cittadini benemeriti si concedevano dagl’imperatori gli ornamenti consolari, così a que’ popolani che si distinguessero per il loro merito accordavansi gli ornamenti decurionali. E come chi otteneva i consolari ornamenti non era console, così nelle colonie non era decurione chi aveva gli ornamenti decurionali. E di cotesti tra i Reggini pare che fosse stata la famiglia Fabia, la quale nelle lapidi nostre occorre assai spesso.
Essendo Valeriano imperatore (An. di Cr. 253 a 260), una pesti lenza micidialissima mise in lutto gran parte di Europa, e desolò miseramente l’Italia. Narrano che Reggio fu allora travagliata di tal morbo per sei anni, con mortalità di ben cinquemila de’ suoi cittadini.
VI. La prima menzione de’ Magistrati, addetti a governar le regioni d’Italia sotto l’impero romano, interviene a’ tempi di Adriano: ed erano quattro Consolari. Vi ha pur memoria a quando a quando de’ Correttori della Toscana, dell’Umbria, e del Piceno da’ tempi di Adriano a quelli di Costantino, non che di Correttore di tutta l’Italia, e della Lucania in particolare. Ma sembra indubitato che questi magistrati, di cui si fa motto prima de’ tempi di Costantino, non fossero allora costituiti in determinata division di provincie; nè par che prima del detto imperatore fosse aggiustato il nome di provincia ad alcuna regione d’Italia. Erano piuttosto magistrati creati straordinariamente in certe occasioni, con missioni temporanee, e di varia durata, secondo che portavano le circostanze ed i bisogni speciali.
VII. Sotto Costantino l’impero romano fu spartito in quattro Prefetture del Pretorio (An. di Cr. 306 a 337.), mentre prima di lui, da Augusto a poi, Prefetto del Pretorio chiamavasi in Roma il magistrato che principava le coorti pretoriane. I quattro Prefetti del Pretorio istituiti da Costantino furono: quello di Oriente diviso in cinque Diocesi, dell’Illirico in due, della Gallia in tré, e dell’Italia in tre altre. Le tre diocesi del Prefetto d’Italia erano, Italia, Illirio occidentale, ed Affrica. La diocesi d’Italia si componeva di due Vicariati: Vicario della Città (Vicarius Urbis) che risedeva in Roma, e Vicario d’Italia, (Vicarius Italiae) che aveva sedia in Milano. Il Vicariato della Città comprendeva dieci provincie, e fra queste formavano la decima provincia la Lucania ed i Bruttii. Questa provincia era governata da un Correttore, la cui residenza era Reggio, e qualche volta Salerno. Italiche si nomavano le provincie del Vicariato d’Italia, ed Urbicarie quelle del Vicariato della Città: anzi quattro delle urbicarie, Toscana, Piceno, Valeria e Campania, dicevansi altresì suburbicarie. Dunque la Lucania ed i Bruttii erano una provincia urbicaria.
E siccome il Vicariato d’Italia abbracciava propriamente l’Italia superiore, così avvenne che il nome d’Italia sotto gli ultimi tempi dell’impero romano, ed anche ne’ susseguenti, fosse usurpato ad indicar quasi sempre la sola Italia settentrionale, ch’era già la Gallia Cisalpina della Repubblica Romana. Mentre questo nome, come abbiamo altrove dichiarato, ne’ tempi antichissimi non valeva a divisare che quella opposta regione meridionale quanta è circuita dal Tirreno e dall’Ionio, e chiusa tra i due golfi di Sant’ Eufemia e di Squillaci.
Il Correttore nella sua provincia, come Legato di Cesare, aveva tutta quella giurisdizione, che in Roma era annessa al Prefetto del Pretorio, a’ Consoli, ed a’ Pretori. E benchè la sua dignità si agguagliasse a quella del Consolare, era però molto da più del Preside, e rispondeva direttamente al Prefetto del Pretorio di Italia, ed al Vicario della Città. Al Correttore comunicava l’Imperatore le costituzioni che andavansi promulgando per i bisogni della provincia. Da’ suoi atti poteva farsi appello al Vicario della Città. Erano ministri del Correttore il Principe degli Uffizii, il Corniculario, il Tabulario, il Commentariense, l’Adjutore, gli Attuarii, gli Eccettori, ed i Coortalini. Durante l’impero di Costantino furono Correttori della Lucania e dei Bruttii: Claudio Ploziano, Michilio Ilariano, Ottaviano, ed Alpino Magno. E poi sotto Valentiniano I e Valente abbiamo notizia che furono Correttori della stessa provincia: Artemio, Quinto Aurelio Simmaco, Zenodoto, Fannio Vittorino, e Rullo Festo.
VIII. Cade qui a taglio dire alcun che de’ tributi che i Lucani ed i Bruttii pagavano a’ Romani. Sotto l’impero sin presso a’ tempi di Teodorico, le provincie pagavano i tributi non in danaro, ma in ispecie: e ciascuna provincia prestava quella specie, della quale più abbondasse. Così la Lucania ed i Bruttii, dove il vino era eccellente, ed entrava innanzi a qualunque altra derrata, pagavano in vino il tributo. Ma come il trasporto in Roma di questa specie di prodotto era fuor di maniera malagevole e dispendioso, ottenne questa provincia, per rescritto di Valentiniano I e Valente (An. di Cr. 367), di prestare in vece di vino l’equivalente in carne; la quale per l’appropriata qualità de’ pascoli era di un sapore squisito presso la Lucania ed i Bruttii. Il tributo de’ Lucani era in tanta carne di porco, quella de’ Bruttii in cotanta di pecora. E fu statuito che ogni anfora di ottanta libbre di vino dovesse tornare in settanta di carne. Di quante anfore poi fosse il tributo, questo ignoriamo.
I Reggini però pagavano la loro quota del tributo in lardo ed in frumento. Questa prestazione della specie venne poi convertita in quella di danaro a’ tempi che Cassiodoro fu preposto alla Correttura della Lucania e de’ Bruttii: di che diremo al suo luogo.
IX. Continuando in tanta caliginosa età a mettere insieme i monchi membretti della nostra storia, troviamo che violenti tremuoli scuotevano Reggio nel secondo anno dell’impero di Valentiniano I e Valente (An. di Cr. 365); che nel secondo anno di Massimo (An. di Cr. 385) San Girolamo, uscendo di Roma, e traversando la Lucania ed i Bruttii, recavasi a Reggio, e di quivi in Oriente.
Nel lungo periodo della decadenza e rovina del romano impero, queste nostre contrade erano cadute in una immobilità quasi di morte. Perduto ogni cosa, sino il nome, non conservavano forse che un’oscura memoria delle antiche prosperità. Cominciò solo a ridestarsi questa massa di esseri vitali, quando i Goti e gli altri Barbari, a modo di avoltoi gittatisi al fiuto dell’immenso cadavere dell’impero romano, ruppero la barriera delle Alpi, e si rovesciarono giù. Si ridestò, è vero, la nostra gente, ma per sentire il pesante calpestio dello straniero, che correva per sua, e desolava l’Italia.