Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo VI/Tebet e Giappone
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35. Tebet e Giappone. — La provincia che Marco Polo chiama Tebet incomincia, secondo lui, a cinque giornate dalla città di Tscingtu, e vi si giunge dopo aver percorso una regione di pianure e di valli, nella quale si trovano molti villaggi popolati da famiglie agricoltrici. Il Tebet è descritto da Marco come un paese desolato: «molte città e castella vi si veggono ma tutte rovinate e deserte: per la lunghezza di venti giornate non si trovano alloggiamenti nè vettovaglie se non forse ogni terza o quarta giornata, in capo delle quali giornate sì comincia pur a vedere qualche castello e borgo che sono fabbricati sopra dirupi, e sommità dei monti, e si entra in paese abitato e coltivato, dove non è più pericolo di animali selvatichi..... Queste genti adorano gli idoli, e sono perfidi e crudeli, e non tengono a peccato il rubare, nè il far male, e sono i maggiori ladri che siano al mondo. Vivono di cacciagioni e d’uccellare, e di frutti della terra. Quivi si trovano di quelle bestie che fanno il muschio, e in tanta quantità, che per tutta quella contrada si sente l’odore perchè ogni luna una volta spandono il muschio... Essi non hanno monete, nè anche di quelle di carta del Gran Can, ma usano sale in luogo di moneta. Vestono poveramente, giacchè si avvolgono solamente in pelli di animali od in rozze tele di lino e di cotone. Hanno linguaggio di per sè, e sono detti Tebet»1.
L’illustre Richthofen, commentando i passi, testè citati, di Marco Polo, dimostra, contrariamente a quanto asserirono molti interpreti del Milione che il paese conosciuto dal viaggiatore veneziano col nome di Tebet, non è già la regione elevatissima che si estende al Nord dell’Himalaia e al Sud del Kuenluen, ma bensì il paese montagnoso dei Lolo, il quale, incominciando al Sud di Ja-tsciau, si estende, per quattro gradi di latitudine lungo il lembo più esterno del sollevamento tibetano, formando una zona che rende impossibile, per la natura feroce e selvaggia de’ suoi abitanti, qualunque comunicazione tra i paesi orientali ed occidentali. Ai Lolo conviene perfettamente ciò che Marco Polo dice degli abitanti del Tebet. Essi vivono di mais e di orzo, come anche di cacciagione. La loro lingua è affatto diversa sia dalla cinese, come da quelle delle altre tribù. Gli uomini si vestono di pelli di animali, le donne di rozzi abiti di cotone. Non conoscono metalli nobili, ma danno grandissimo valore al sale, ed anzi a far bottino di questa preziosa derrata sono dirette le loro frequenti razzie contro i villaggi dei Cinesi. Tutte queste particolarità convengono ai Lolo, ma punto ai Man-tse e ai Tibetani. E giusta è pure la denominazione di Tebet che il Polo dà a quel paese selvaggio ed inospitale, giacchè, in quei tempi il limite tra la Cina e il Tibet passava a poche miglia da Ja-tsciau nella direzione di occidente2.
Marco Polo fu il primo che facesse conoscere agli Europei le isole del Giappone, e questa notizia di terre situate molto lungi nell’oriente ebbe un’influenza grandissima sulle imprese marittime del secolo decimoquinto, «Zipangu, egli dice, è una isola in Oriente, situata alla distanza di millecinquecento miglia dalla terra e dai lidi di Mangi». Il nome Zipangu corrisponde al cinese Sci-pen-Kue, che significa Paese del Sole Levante. Dopo avere discorso delle grandi ricchezze naturali del Giappone, specialmente in oro ed in perle preziose, e del tentativo fatto nell’anno 1264 da Kublai per conquistarlo. Marco Polo viene a trattare del Mare Cin, cioè del mare che è contro Mangi, poichè nella lingua degli isolani del Giappone Mangi si chiama Cin. «E questo mare Cin, che è in Levante, è così lungo e largo, che i suoi piloti e marinari, che per quello navigano, a conoscono la verità, dicono che in quello vi sono settemila quattrocento e quaranta isole, e per la maggior parte abitate e che non vi nasce arbore alcuno, dal quale non esca un buona e gentil odore, e vi nascono molte spezie di diverse maniere e massime legno aloe, il pepe in grande abbondanza, bianco a nero». Le navi di Zaiton e di Quinsai frequentano quelle isole, ma impiegano nel viaggio un anno intero, perchè vanno nell’inverno e ritornano nella state, a cagione dei venti periodici (monsoni), dei quali uno regna nella state e l’altro nell’inverno. Nè manca di far notare il nostro viaggiatore che il Mare di Cin non è che una parte della grande massa continua dell’Oceano, là, ove dice: «E perchè dicemmo, che questo mare si chiama Cin, è da sapere, che questo è il mare Oceano. Ma come noi chiamiamo il mare Anglico e il mare Egeo, così loro dicono il mare Cin e il mare Indo. Ma tutti questi nomi si contengono sotto il mare Oceano».
Note
- ↑ Testo Ramusiano, Lib. 2° Cap. XXXVII.
- ↑ Richthofen, Das Land und die Stadt «Caindu» von Marco Polo nelle Verhandlungen della Società geografica di Berlino, 1874, pag. 33 e seg.