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non sono villaggi, e che le città siano lontane, il Gran Can ha ordinato, che vi siano fatte le poste, ovvero palazzi similmente fomiti di tutti gli apparecchi, cioè di cavalli quattrocento per posta, e di tutte le altre cose necessarie..... E questa è la maggiore eccellenza e altezza che giammai avesse alcun imperatore re ovvero altro uomo terreno, perchè più di dugentomila cavalli stanno in queste poste per le sue provincie, e più di diecimila palazzi forniti di così ricchi apparecchi».

35. Tebet e Giappone. — La provincia che Marco Polo chiama Tebet incomincia, secondo lui, a cinque giornate dalla città di Tscingtu, e vi si giunge dopo aver percorso una regione di pianure e di valli, nella quale si trovano molti villaggi popolati da famiglie agricoltrici. Il Tebet è descritto da Marco come un paese desolato: «molte città e castella vi si veggono ma tutte rovinate e deserte: per la lunghezza di venti giornate non si trovano alloggiamenti nè vettovaglie se non forse ogni terza o quarta giornata, in capo delle quali giornate sì comincia pur a vedere qualche castello e borgo che sono fabbricati sopra dirupi, e sommità dei monti, e si entra in paese abitato e coltivato, dove non è più pericolo di animali selvatichi..... Queste genti adorano gli idoli, e sono perfidi e crudeli, e non tengono a peccato il rubare, nè il far male, e sono i maggiori ladri che siano al mondo. Vivono di cacciagioni e d’uccellare, e di frutti della terra. Quivi si trovano di quelle bestie che fanno il muschio, e in tanta quantità, che per tutta quella contrada si sente l’odore perchè ogni luna una volta spandono il muschio... Essi non hanno monete, nè anche di quelle di carta del Gran Can, ma usano sale in luogo di moneta. Vestono poveramente, giacchè si avvolgono solamente in pelli di animali od in rozze tele di lino e di cotone. Hanno linguaggio di per sè, e sono detti Tebet»1.

L’illustre Richthofen, commentando i passi, testè citati, di Marco Polo, dimostra, contrariamente a quanto asserirono molti interpreti del Milione che il paese conosciuto dal viaggiatore

  1. Testo Ramusiano, Lib. 2° Cap. XXXVII.