Storia d'Italia/Libro X/Capitolo I

Capitolo I

../../Libro X ../Capitolo II IncludiIntestazione 13 dicembre 2020 75% Da definire

Libro X Libro X - Capitolo II
[p. 105 modifica]

I

Il re di Francia ordina che le milizie si ritirino nel ducato di Milano; suo contegno amichevole e di devozione al pontefice; i Bentivoglio imitano il re. Il Triulzio licenzia parte de’ soldati. Condizioni di pace del pontefice. Progetti di Massimiliano e sua impotenza d’effettuarli.

Aspettavasi, con grandissima sospensione degli animi di tutta Italia e della maggiore parte delle provincie de’ cristiani, quel che il re di Francia, ottenuta che ebbe la vittoria, deliberasse di fare; perché a tutti manifestamente appariva essere in sua potestá l’occupare Roma e tutto lo stato della Chiesa: essendo le genti del pontefice quasi tutte disperse e dissipate e molto piú quelle de’ viniziani, né essendo in Italia altre armi che potessino ritenere l’impeto del vincitore; e parendo che il pontefice, difeso solamente dalla maestá del pontificato, rimanesse per ogn’altro rispetto alla discrezione della fortuna. E nondimeno il re di Francia, o raffrenandolo la riverenza della religione o temendo di non concitare contro a sé, se procedeva piú oltre, l’animo di tutti i príncipi, deliberato di non usare l’occasione della vittoria, comandò, con consiglio per avventura piú pietoso che utile, a Giaiacopo da Triulzi che, lasciata Bologna in potestá de’ Bentivogli e restituito se altro avesse occupato appartenente alla Chiesa, riducesse subitamente l’esercito nel ducato di Milano. Aggiunse a’ fatti [p. 106 modifica]mansueti umanissime dimostrazioni e parole. Vietò che nel suo reame alcuno segno di publica allegrezza non si facesse; e affermò piú volte alla presenza di molti che, con tutto non avesse errato né contro alla sedia apostolica né contro al pontefice, né fatto cosa alcuna se non provocato e necessitato, nondimeno, che per riverenza di quella sedia voleva umiliarsi e dimandargli perdono; persuadendosi che certificato per l’esperienza, delle difficoltá che aveano i suoi concetti, e assicurato del sospetto avuto vanamente di lui, avesse a desiderare la pace con tutto l’animo: il trattato della quale non si era mai intermesso totalmente, perché il pontefice, insino innanzi si partisse da Bologna, aveva per questa cagione mandato al re lo imbasciadore del re di Scozia, continuando di trattare quel che, per il medesimo vescovo, si era cominciato a trattare col vescovo Gurgense. L’autoritá del re seguitando i Bentivogli, significavano al pontefice non volere essere contumaci o rebelli della Chiesa ma perseverare in quella subiezione nella quale aveva tanti anni continuato il padre loro: in segno di che, restituito il vescovo di Chiusi alla libertá, l’aveano, secondo l’uso antico, collocato nel palazzo come apostolico luogotenente.

Partí adunque il Triulzio con l’esercito, e si accostò alla Mirandola per ricuperarla; con tutto che, per i prieghi di Giovanfrancesco Pico, vi fusse entrato Vitfrust sotto colore di tenerla in nome di Cesare, e protestato al Triulzio che essendo giurisdizione dello imperio si astenesse da offenderla. Il quale alla fine, conoscendo che l’autoritá vana non bastava, se ne partí, ricevute da lui certe promesse, piú tosto apparenti per l’onore di Cesare che sostanziali; e il medesimo fece Giovanfrancesco, impetrato che fusse salvo l’avere e le persone: e il Triulzio, non avendo da fare altra espedizione, mandate cinquecento lancie e mille trecento fanti tedeschi, sotto il capitano Iacob, alla custodia di Verona, licenziò gli altri fanti, eccetto duemila cinquecento guasconi sotto Molard e Mongirone; i quali e le genti d’arme distribuí per le terre del ducato di Milano. [p. 107 modifica]

Ma al desiderio e alla speranza del re non corrispondeva la disposizione del pontefice; il quale ripreso animo per la revocazione dell’esercito, rendendolo piú duro quel che pareva verisimile lo dovesse mollificare, essendo ancora a Rimini oppressato dalla podagra e in mezzo di tante angustie, proponeva, piú tosto come vincitore che vinto, per mezzo del medesimo scozzese, che per l’avvenire fusse per il ducato di Ferrara pagato il censo consueto innanzi alla diminuzione fatta per il pontefice Alessandro, che la Chiesa tenesse uno visdomino in Ferrara come prima tenevano i viniziani, e se gli cedessino Lugo e l’altre terre che Alfonso da Esti possedeva nella Romagna: le quali condizioni benché al re paressino molto gravi, nondimeno, tanto era il desiderio della pace col pontefice, fece rispondere essere contento di consentire a quasi tutte queste dimande, pure che vi intervenisse il consentimento di Cesare. Ma giá il pontefice ritornato a Roma aveva mutata sentenza; dandogli ardire, oltre a quello che si dava da se stesso, i conforti del re d’Aragona: il quale, entrato per la vittoria del re di Francia in maggiore sospezione, aveva subito intermesso tutti gli apparati potentissimi che aveva fatti per passare personalmente in Affrica, ove continuamente guerreggiava co’ mori; e revocatone Pietro Navarra con tremila fanti spagnuoli lo mandò nel reame di Napoli, assicurando, in uno tempo medesimo, le cose proprie e al pontefice dando animo di alienarsi tanto piú dalla concordia. Rispose adunque non volere la pace se insieme non si componevano con Cesare i viniziani, se Alfonso da Esti, oltre alle prime dimande, non gli restituiva le spese fatte nella guerra, e se il re non si obligava a non gli impedire la recuperazione di Bologna: la quale cittá, come ribellata dalla Chiesa, aveva giá sottoposta allo interdetto ecclesiastico e, per dare il guasto alle biade del contado loro, mandato nella Romagna Marcantonio Colonna e Ramazzotto; benché questi, affatica entrati nel bolognese, furno facilmente scacciati dal popolo. Aveva nondimeno il pontefice, vinto da’ prieghi de’ cardinali, quando ritornò a Roma, consentito alla liberazione del cardinale d’Aus, [p. 108 modifica]il quale era stato insino a quel dí custodito in Castel Sant’Angelo; ma con condizione che non uscisse del palagio di Vaticano insino a tanto non fussino liberati tutti i prelati e ufficiali che erano stati presi in Bologna, e che dipoi non potesse sotto pena di quarantamila ducati, per la quale desse idonee sicurtá, partirsi di Roma: benché non molto poi gli consentí il ritornarsene in Francia, sotto la medesima pena di non intervenire al concilio. Commosse la risposta del pontefice tanto piú l’animo del re quanto piú si era persuaso, il pontefice dovere consentire alle condizioni che esso medesimo aveva proposte: onde deliberando impedire che non recuperasse Bologna vi mandò quattrocento lancie, e pochi dí poi prese in protezione quella cittá e i Bentivogli senza ricevere da loro obligazione alcuna di dargli o gente o danari; e conoscendo essergli piú necessaria che mai la congiunzione con Cesare, ove prima (benché per aspettare i progressi suoi fusse venuto nella provincia del Dalfinato) aveva qualche inclinazione di non gli dare le genti promesse nella capitolazione fatta con Gurgense, se egli non passava personalmente in Italia (perché sotto questa condizione aveva convenuto di dargliene) comandò che dello stato di Milano vi andasse il numero delle genti convenuto: sotto il governo del la Palissa, perché ’l Triulzio, il quale Cesare aveva domandato, ricusava di andarvi.

Era Cesare venuto a Spruch, ardente da una parte alla guerra contro a viniziani, dall’altra combattuto nell’animo suo da diversi pensieri. Perché considerando che tutti i progressi che e’ facesse riuscirebbeno alla fine di poco momento se non si espugnava Padova, e che a questo bisognavano tante forze e tanti apparati che era quasi impossibile il mettergli insieme, ora si volgeva al desiderio di concordare co’ viniziani, alla quale cosa molto lo confortava il re cattolico, ora traportato da’ suoi concetti vani pensava di andare personalmente con lo esercito a Roma, per occupare, come era suo antico desiderio, tutto lo stato della Chiesa; promettendosi, oltre alle genti de’ franzesi, di condurre seco di Germania potente esercito: [p. 109 modifica]ma non corrispondendo poi, per l’impotenza e disordini suoi, l’esecuzioni alle immaginazioni, promettendo ora di venire di giorno in giorno in persona ora di mandare gente, consumava il tempo senza mettere in atto impresa alcuna. E perciò al re di Francia pareva molto grave d’avere solo a sostenere tutto il peso: la quale ragione, conforme alla sua tenacitá, poteva spesso piú in lui che quello che gli era da molti dimostrato in contrario, che Cesare se da lui non fusse aiutato potentemente si congiugnerebbe finalmente con gli inimici suoi; dalla qual cosa, oltre al sostenere per necessitá spesa molto maggiore, gli stati suoi di Italia cadrebbeno in gravissimi pericoli.