Storia d'Italia/Libro VII/Capitolo II
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II
In questo stato adunque e in tanta sospensione delle cose, fu il primo movimento dell’anno mille cinquecento sei la partita di Fiandra del re Filippo per passare per mare in Spagna, con grande armata. La quale andata per facilitare, temendo pure che ’l suocero non gli facesse con gli aiuti del re di Francia resistenza, si era, governandosi con l’arti spagnuole, convenuto con lui di rapportarsi nella maggiore parte delle cose al suo governo: che avessino a comune il titolo de’ re di Spagna, come era stato comune tra lui e la reina morta; e che l’entrate si dividessino in certo modo: per il quale accordo il suocero, ancora che non bene sicuro dell’osservanza, gli aveva mandato in Fiandra per levarlo molto navi. Però imbarcato con la moglie e con Ferdinando suo secondogenito, prese con venti prosperi il cammino di Spagna; i quali essendo, in capo di due dí della sua navigazione, convertiti in venti avversissimi, travagliata da grandissima fortuna l’armata sua, dopo lunga resistenza fatta al furore del mare, si disperse in varie parti della costa d’Inghilterra e di Brettagna: ed egli con due o tre legni fu con grandissimo pericolo traportato in Inghilterra, nel porto d’Antona: la quale cosa intesa da Enrico settimo re di quella isola, che era a Londra, mandato subito molti signori a riceverlo con grandissimo onore, lo ricercò venisse a Londra; il che in potestá di Filippo, che si trovava quasi solo e senza navi, non era di negare. Soprastette appresso a lui insino che l’armata si riducesse insieme e riordinasse; e in questo mezzo fra loro furno fatte nuove capitolazioni. E nondimeno Filippo trattato in tutte l’altre cose come re fu in una sola trattato da prigione, che ebbe a consentire di dare in mano a Enrico il duca di Sufforth tenuto da lui nella rocca di Namur; il quale, perché pretendeva ragione al regno d’Inghilterra, Enrico sommamente d’avere in sua potestá desiderava: dettegli però la fede di non privarlo della vita; donde, custodito in carcere mentre Enrico visse, fu dipoi, per comandamento del figliuolo, decapitato. Passò dipoi Filippo con navigazione piú felice in Ispagna; dove concorrendo a lui quasi tutti i signori, il suocero, il quale per non essere da sé potente a resistergli, e che non giudicava essere sicuro fondamento le promesse de’ franzesi, non aveva pensato mai ad altro che alla concordia, rimanendo abbandonato quasi da tutti, né avendo se non con molto tedio e difficoltá potuto avere il cospetto del genero, bisognò che cedesse alle condizioni che, sprezzato il primo accordo fatto tra loro, gli furono date: benché in questo non si procedé rigidamente, per la benignitá della natura di Filippo e molto piú per i conforti di coloro che si erano dimostrati acerbissimi inimici a Ferdinando, perché dubitando continuamente che egli, con la prudenza e con l’autoritá sua, non ripigliasse fede appresso al genero, sollecitavano quanto potevano la partita sua di Castiglia. Fu convenuto che Ferdinando, cedendo alla governazione lasciatagli per testamento dalla moglie e a tutto quello che perciò potesse pretendere, si partisse incontinente di Castiglia, promettendo di piú non vi tornare: che Ferdinando avesse proprio il regno di Napoli; non ostante che, con la medesima ragione con la quale era solito pretendere a quel reame allegando essere stato acquistato con l’armi e con le forze di Aragona, non mancasse chi mettesse in considerazione, e forse piú giustamente, appartenersi a Filippo per essere stato acquistato con l’armi e con la potenza del regno di Castiglia: furongli riservati i proventi dell’isole dell’India durante la sua vita, e i tre maestralghi di Santo Iacopo, Alcantara e Calatrava, e che delle entrate del regno di Castiglia avesse ciascuno anno venticinquemila ducati. La quale capitolazione fatta, Ferdinando, che da qui innanzi chiameremo o re cattolico o re di Aragona, se ne andò subito in Aragona, con intenzione di andarne, quanto piú prestamente potesse, per mare a Napoli; non tanto per desiderio di vedere quel regno e riordinarlo quanto per rimuoverne il gran capitano, del quale dopo la morte della reina aveva piú volte sospettato che non pensasse a trasferire quel regno in sé proprio o fusse piú inclinato a darlo a Filippo che a lui: e avendolo richiamato in Spagna invano, ed egli con varie scuse e impedimenti differita l’andata, dubitava, non vi andando in persona, avere difficoltá di levargli il governo, non ostante che, fatto l’accordo, il re Filippo gli facesse intendere che aveva totalmente a ubbidire al re d’Aragona.
Nel quale tempo erano nel petto del re di Francia, sollevato giá molto della sua infermitá, vari anzi contrari pensieri: inclinazione contro a’ viniziani, per lo sdegno conceputo nel tempo della guerra di Napoli, per il desiderio di recuperare le appartenenze antiche dello stato di Milano e per giudicare che per molti accidenti gli potesse essere a qualche tempo pericolosa la loro potenza; la quale cagione trall’altre l’avea indotto a confederarsi col re de’ romani e con Filippo suo figliuolo: da altra parte non gli era grata la passata di quel re in Italia, il quale si intendeva giá che si preparava a passare con forze grandi; perché ne temeva piú che ’l solito, per la potenza che cresceva in Filippo successore di tanta grandezza, e dubitandosi che quando fu in Inghilterra avesse fatto con quel re nuove e strette congiunzioni; e perché era cessata, per la pace fatta col re cattolico (per la quale aveva deposto i pensieri del regno di Napoli) una delle cagioni principali per le quali si era confederato con loro. Nella quale varietá e fluttuazione di animo mentre stava vennono a lui imbasciadori di Massimiliano a significargli la deliberazione sua del passare in Italia e ricercarlo mettesse in ordine le cinquecento lancie che aveva promesso dare in suo favore, restituisse secondo la promessa fatta i fuorusciti dello stato di Milano, e a pregarlo anticipasse il pagamento de’ danari che se gli dovevano pochi mesi poi: alle quali dimande ancorché il re non fusse inclinato a consentire fece dimostrazione di essere inclinato al contrario, non perciò se non a quelle che allora non ricercavano altro che parole; perché dimostrò desiderio grande che si mandassino a esecuzione le cose convenute, offerendosi prontamente a adempiere al tempo tutto quello a che era tenuto, ma negò con varie scuse l’anticipazione del pagamento. Da altra parte il re de’ romani, non confidando piú dell’animo del re di Francia che ’l re si confidasse del suo, e desiderando con grande ardore il passare a Roma principalmente per prendere la corona dello imperio, per procurare poi l’elezione del figliuolo in re de’ romani, tentava nel tempo medesimo di pervenire con altri mezzi allo intento suo. Perciò faceva instanza co’ svizzeri di unirgli a sé; i quali dopo molte dispute fatte tra loro determinorno osservare l’accordo, che ancora durava col re di Francia per anni due; e a’ viniziani aveva dimandato il passo per le terre loro: a’ quali essendo molestissima la passata sua con esercito potente, dettono animo a rispondergli generalmente l’offerte del re di Francia, che gli confortò a apporsegli insieme con lui. E giá il re, dimostrandosi alieno apertamente dalla confederazione fatta con lui e con Filippo, sposò Claudia sua figliuola a Francesco monsignore di Angulem, al quale dopo la morte sua senza figliuoli maschi perveniva la corona; simulando però farlo per i prieghi de’ sudditi suoi, avendo prima a questo effetto ordinato che tutti i parlamenti e tutte le cittá principali del reame di Francia gli mandassino imbasciadori a supplicarnelo come di cosa utilissima al regno, poiché in lui mancava continuamente la speranza di procreare figliuoli maschi: la quale cosa significò subito per imbasciadori propri al re Filippo; escusandosi di non avere potuto repugnare al desiderio sí efficace di tutto ’l regno e di tutti i popoli suoi. Mandò ancora gente in aiuto al duca di Ghelleri contro a Filippo, per divertire Massimiliano dal passare in Italia. Ma aveva giá da se medesimo interrotti questi pensieri; perché avendo inteso Uladislao re di Ungheria essere oppresso da gravissima infermitá si era approssimato a’ confini di quel regno, seguitando l’antico desiderio paterno e suo di insignorirsene, per le ragioni le quali affermavano d’avervi. Perché essendo morto moltissimi anni innanzi senza figliuoli Ladislao re di Ungheria e di Boemia, figliuolo di Alberto, che era stato fratello di Federigo imperadore, gli ungheri, pretendendo che morto il suo re senza figliuoli non avesse luogo la successione de’ piú prossimi ma aspettasse a loro la elezione del nuovo re, avevano eletto, per la memoria delle virtú paterne, per loro re Mattia, quello che dipoi, con tanta gloria di regno sí piccolo, molestò tante volte lo imperio potentissimo de’ turchi. Il quale, per fuggire nel principio del regno suo la guerra con Federigo, si convenne seco di non pigliare moglie, acciò che dopo la vita sua pervenisse quel reame a Federigo o a’ figliuoli, il che benché non osservasse, morí nondimeno senza figliuoli. Né per questo adempié Federigo il desiderio suo, perché gli ungheri elessono in nuovo re Uladislao re di Pollonia: donde essendo ricominciate nuove guerre da Federigo e Massimiliano con loro, si erano finalmente convenuti, e statone prestato solennemente giuramento da i baroni del regno, che qualunque volta Uladislao morisse senza figliuoli riceverebbono per re Massimiliano. Onde egli aspirando a questa successione, intesa la infermitá di Uladislao, si approssimò a’ confini della Ungheria, omettendo per allora i pensieri del passare in Italia.