Pagina:Fantoni, Giovanni – Poesie, 1913 – BEIC 1817699.djvu/462: differenze tra le versioni

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in diversi tempi, onde rapirle, se mi fosse stato possibile, alla mediocritá, ho prescelto di darle alla luce in quinternetti separati, contenenti ciascheduno di essi dieci odi di un genere differente. L’ultimo, oltre le dieci odi, conterrá una breve lettera a Melchiorre Cesarotti, in cui l’autore mostrerá sinceramente al pubblico qual metodo ha tenuto in tentare questo genere di lirica, quali errori ha commessi, come ha procurato correggersene, quanto potrebbe questo ancora perfezionarsi, quali nuove strade restano da calcarsi ai lirici italiani onde rendere questo genere di poesia perfetto, degno di servire alla pubblica istruzione, e capace di formare il popolo alla compassione ed alla generositá, non meno che al disprezzo della morte ed al sacro entusiasmo dell’amor della patria. Non dubito che la critica, resa piú atrabiliare da qualche anno dalle passioni messe in fermento dalle vicende politiche, troverá da pascersi nelle mie odi: mi credo quindi in debito di prevenire tutti coloro che mi leggeranno, che ho per massima il non rispondere in iscritto alle calunnie e alle critiche. L’unica risposta, che, a mio credere, può loro darsi, è alla prima quella di una condotta irreprensibile: alla seconda di correggersi, s’è giusta; di disprezzarla, s’è stolta. Qualunque Aristarco o Quintilio vorrá dunque degnarsi di rendermi migliore, troverá sempre in me un amico docile e senza egoismo. I Mevi poi ed i Zoili gracchino pure quanto loro fa d’uopo per isfogare la bile: mentr’io tacerò, essi udranno dai saggi ripetersi quello che io scrissi sono quasi vent’anni:


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in diversi tempi, onde rapirle, se mi fosse stato possibile, alla mediocritá,
ho prescelto di darle alla luce in quinternetti separati, contenenti ciascheduno di essi dieci odi di un genere differente. L’ultimo, oltre le dieci odi,
conterrá una breve lettera a Melchiorre Cesarotti, in cui l’autore mostrerá
sinceramente al pubblico qual metodo ha tenuto in tentare questo genere
di lirica, quali errori ha commessi, come ha procurato correggersene,
quanto potrebbe questo ancora perfezionarsi, quali nuove strade restano
da calcarsi ai lirici italiani onde rendere questo genere di poesia perfetto,
degno di servire alla pubblica istruzione, e capace di formare il popolo
alla compassione ed alla generositá, non meno che al disprezzo della morte
ed al sacro entusiasmo dell’amor della patria. Non dubito che la critica,
resa piú atrabiliare da qualche anno dalle passioni messe in fermento
dalle vicende politiche, troverá da pascersi nelle mie odi : mi credo quindi
in debito di prevenire tutti coloro che mi leggeranno, che ho per massima
il non rispondere in iscritto alle calunnie e alle critiche. L’unica risposta,
che, a mio credere, può loro darsi, è alla prima quella di una condotta
irreprensibile: alla seconda di correggersi, s’è giusta; di disprezzarla, s’è
stolta. Qualunque Aristarco o Quintilio vorrá dunque degnarsi di rendermi
migliore, troverá sempre in me un amico docile e senza egoismo. I Mevi
poi ed i Zoili gracchino pure quanto loro fa d’uopo per isfogare la bile:
mentr’io tacerò, essi udranno dai saggi ripetersi quello che io scrissi sono
quasi vent’anni :

Il vostro biasimi la virtú non morde:
Il vostro biasimi la virtú non morde:

muore nascendo, e fredd’oblio l’assale.
muore nascendo, e fredd’oblio l’assale.
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Dal 1800 in poi le edizioni delle poesie di Labindo si moltiplicano: due a Pisa, nel 1800, dedicate ambedue da Giovanni Rosini alla signora Teresa de Rossi; una a Parma, pel Bodoni, nel 1801; un’altra a Pisa, nel 1803, con l’aggiunta delle nuove odi stampate a Genova nel 1800; una quinta in 2 voli, a Milano nel 1809 (due anni dopo la morte del Fantoni), per Giovanni Silvestri, degna di speciale menzione, perché le odi in essa sono divise in tre libri invece che in due; una sesta, in 2 voll., a Firenze, nel 1817, per iniziativa di Giuseppe di Giov. Pagani; una settima di poesie inedite, a Pisa, nel 1819, per Niccolò Capurro; un’ottava a Prato nel 1820, a cura di Luigi Vannini; una nona nel 1821 a Milano, ove Pietro Agnelli ristampava l’ediz. Silvestri del 1809; una decima, anche a Milano, nel 1823, vol. 126 della Biblioteca di opere italiane antiche e moderne, in cui il Silvestri rifondeva le due edizz. pisane di poesie edite e inedite.
Dal 1S00 in poi le edizioni delle poesie di Labindo si moltiplicano: due a Pisa, nel 1800, dedicate ambedue da Giovanni
Rosini alla signora Teresa de Rossi; una a Parma, pel Bodoni,
nel 1801; un’altra a Pisa, nel 1803, con l’aggiunta delle nuove
odi stampate a Genova nel 1800; una quinta in 2 voli, a Milano
nel 1809 (due anni dopo la morte del Fantoni), per Giovanni
Silvestri, degna di speciale menzione, perché le odi in essa sono
divise in tre libri invece che in due; una sesta, in 2 voli., a Firenze, nel 1817, per iniziativa di Giuseppe di Giov. Pagani; una
settima di poesie inedite, a Pisa, nel 1819, per Niccolò Capurro;
un’ottava a Prato nel 1820, a cura di Luigi Vannini; una nona
nel 1821 a Milano, ove Pietro Agnelli ristampava l’ediz. Silvestri
del 1S09; una decima, anche a Milano, nel 1823, voi. 126 della
Biblioteca di opere italiane antiche e moderne, in cui il Silvestri
rifondeva le due edizz. pisane di poesie edite e inedite.


Ed eccoci finalmente all’edizione curata da Agostino Fantoni,
Ed eccoci finalmente all’edizione curata da Agostino Fantoni, nepote di Labindo (Italia, 1823); ediz. di capitale importanza (quantunque non esente da pecche), perché, come giá notava il {{AutoreCitato|Giosuè Carducci|Carducci}},
nepote di Labindo (Italia, 1823); ediz. di capitale importanza (quantunque non esente da pecche), perché, come giá notava il Carducci,