Specchio di vera penitenza/Distinzione seconda/Capitolo sesto

Distinzione seconda - Capitolo sesto

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CAPITOLO SESTO.


Dove si dimostra che a fare penitenzia c'induce, che non facendola, si fa ingiuria a Dio.


La sesta cosa che c’induce a fare penitenzia tosto, si è che non facendola, o indugiandola, si fa offesa e ingiuria a Dio in ciò, che ’l tempo ch’egli ha noll’aopera bene. In prima, che l’uomo è infedele e sleale a Dio, chè ’l tempo che gli è dato acciò che lo spenda nel suo servigio, egli lo spende nel servigio del suo avversario; e dà al diavolo el fiore della sua gioventudine, e a Dio serba la morchia della sua vecchiezza. E se al servo che nascose il talento del suo Signore, perché non guadagnò con esso, fu tolto il talento, e giudicato infedele e sleale; quanto maggiormente sarà giudicato infedele e isleale servo colui che ’l talento perderà, e vie più colui che lo spenderà in offesa e in disonore del suo Signore? E intendesi per lo talento commesso al servo, col quale Iddio vuole che si guadagni e facciasi pro, la grazia, il conoscimento, il tempo e ’l buon volere che Dio dà all’uomo, acciò che l’usi bene e virtuosamente, sempre meritando a onore e gloria del Signore che dà, e a sua propria utilità. Il cui contrario fa il peccatore indurato, del quale dice santo Iob: Dedit ei Dominus locum poenitentioe, et ipse abutitur eo in superbiam: Iddio dà all’uomo luogo di penitentia, ed egli per contrario l’usa in superbia. Vuol dire che Dio dà all’uomo tempo, nel quale egli possa fare penitenzia e tornare a lui; ed egli l’usa in1 superbiamente peccando e disubbedendo a Dio. Or non è egli grande superbia e prosunzione, che quello [p. 30 modifica]che è proprio di Dio, cioè il tempo che è a venire, l’uomo lo dispone e ordina, promettendosi lunga vita e la buona morte, con ciò sia cosa ch'egli se ne sia fatto indegno? Or come puote l’uomo ragionevolmente sperare che Iddio gli conceda il tempo che è a venire, graziosamente; con ciò sia cosa che quello che gli ha dato, abbia usato viziosamente contra lui e oltraggiosamente? Non è speranza, ma cieca presunzione, che quello del tempo ch'è a venire,2 l'uomo vanamente disponga. Contro a questi cotali mostra Iddio spesse volte giudicio visibile di giusta vendetta, togliendo loro il tempo che superbamente usavano contro a Dio, e che presuntuosamente isperavano di lunga vita.

Leggesi iscritto da Elinando, che in Matiscona fu uno conte, il quale era uomo mondano e grande peccatore, contro a Dio superbo, contro al prossimo spietato e crudele. Et essendo in grande stato, con signoria e colle molte ricchezze, sano e forte, non pensava di dovere morire, né che le cose di questo mondo gli dovessono venire meno, né dovere essere giudicato da Dio. Un dì di pasqua, essendo egli nel palazzo proprio attorniato di molti cavalieri e donzelli, e da molti orrevoli cittadini, che pasquavano con lui; subito uno uomo isconosciuto, in su uno grande cavallo, entrò per la porta del palazzo, sanza dire a persona niente; e venendo in sino dove era il conte colla sua compagnia, veggendolo tutti e udendolo, disse al conte: Su, conte, lévati su e séguitami. Il quale, tutto ispaurito, tremando si levò, e andava dietro a questo isconosciuto cavaliere, al quale niuno era ardito di dire nulla. Venendo alla porta del palazzo, comandò il cavaliere al conte, che montasse in su uno cavallo che ivi era apparecchiato; e prendendolo per le redine e traendolosi dietro, correndo alla distesa, lo menava su per l’aria, veggendolo tutta la città, traendo il conte dolorosi guai, gridando: [p. 31 modifica]Soccorretemi, o cittadini, soccorrete il vostro conte misero, isventurato. E così gridando, sparì degli occhi degli uomini, e andò a essere3 sanza fine nello 'nferno co'demonii. È ancora offesa e ingiuria dell’Angiolo ch’è dato all’uomo che ’l guardi, il perseverare nel peccato, e lo ’ndugiare della penitenzia. Onde dice san Bernardo: Abbi reverenza in ogni luogo, quantunque sia segreto, all'Angiolo tuo guardiano, e non ardire di fare in sua presenzia quello che tu non faresti nella mia. E se l’Angiolo, anzi gli Angioli di Dio, hanno allegrezza, come dice Iesu Cristo nel Vangelo, del peccatore che fa penitenzia, così è da credere che hanno a spiacere coloro che, perseverando nel peccato, offendono a Dio e non ne fanno penitenzia. E di ciò si potrebbono contare certi essempli scritti altrove; ma per non iscrivere troppo lungo, gli lascio stare. Adunque, per le ragioni dette di sopra, e per molte altre che si potrebbono dire, ma per brevità si lasciano, dobbiamo fare penitenzia, e dèsi fare tosto, sanza indugio. E dee essere intera, cioè ch'altri si penta e dolga di tutti i suoi peccati, e di ciascuno per sé spezialmente, se se ne ricorda. E dêsi ingegnare di ricordarsene, acciò che, come la volontà della persona in ciascuno peccato disordinò, non dovutamente dilettandosi, così si riordini, debitamente di ciascuno peccato dolendosi. E di questo parlerò più distesamente quando parleremo della contrizione. Dee ancora la penitenzia essere continova insino alla morte: e se non quanto all'atto di fuori, come il digiuno, ciliccio, lagrime, discipline e simili cose che fanno coloro che stanno in penitenzia, o che sieno loro imposte dal confessoro, o che volontariamente la si prenda a fare, le quali si possono interamente lasciare, e riprendere più e meno, a luogo e tempo, secondo la condizione delle persone; ma quanto all'atto dentro, ch'è dolersi e pentersi de'peccati commessi, dee la persona [p. 32 modifica]continovamente e sempre infino alla morte essere disposta, che quante volte le viene a mente d’avere offeso Iddio peccando, tante volte se ne penta e dolga. E a ciò s’accorda il detto di san Tommaso e degli altri dottori, i quali non pongo ora qui per iscrivere brieve.

Essemplo abbiamo di ciò di san Piero, del quale si legge che quante volte si ricordava d’avere negato Cristo, che spezialmente intervenía quando udiva cantare il gallo, tante volte duramente e dirottamente piangea; e per le molte lagrime che piangendo gittava, portava uno sudario in seno, col quale l’asciugava; onde avea tutte le guancie riarse per le molte lagrime. Deh cristiano, del sangue di Cristo ricomperato e mondato, non ti sia rincrescimento di spesso ricordarti e dolerti de’ peccati commessi, acciò che riconcilii Iddio e gli Angioli suoi, i quali peccando offendesti! Troppo è grande pericolo averli per nimici.

Note

  1. L' in può essere dell'autore; ammesso, come facevasi, ai gerundi. Superbiamente sarà forse plebeismo del copista. L'edizione del 95 e quella del Salviati leggevano: l'usa superbamente, peccando e disubbediendo ec.
  2. Può spiegarsi: che quello che appartiene al tempo ec.
  3. Nel senso, o per iscambio di stare (andò a istare.)