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30 distinzione seconda. — cap. vi.

che è proprio di Dio, cioè il tempo che è a venire, l’uomo lo dispone e ordina, promettendosi lunga vita e la buona morte, con ciò sia cosa ch'egli se ne sia fatto indegno? Or come puote l’uomo ragionevolmente sperare che Iddio gli conceda il tempo che è a venire, graziosamente; con ciò sia cosa che quello che gli ha dato, abbia usato viziosamente contra lui e oltraggiosamente? Non è speranza, ma cieca presunzione, che quello del tempo ch'è a venire,1 l'uomo vanamente disponga. Contro a questi cotali mostra Iddio spesse volte giudicio visibile di giusta vendetta, togliendo loro il tempo che superbamente usavano contro a Dio, e che presuntuosamente isperavano di lunga vita.

Leggesi iscritto da Elinando, che in Matiscona fu uno conte, il quale era uomo mondano e grande peccatore, contro a Dio superbo, contro al prossimo spietato e crudele. Et essendo in grande stato, con signoria e colle molte ricchezze, sano e forte, non pensava di dovere morire, né che le cose di questo mondo gli dovessono venire meno, né dovere essere giudicato da Dio. Un dì di pasqua, essendo egli nel palazzo proprio attorniato di molti cavalieri e donzelli, e da molti orrevoli cittadini, che pasquavano con lui; subito uno uomo isconosciuto, in su uno grande cavallo, entrò per la porta del palazzo, sanza dire a persona niente; e venendo in sino dove era il conte colla sua compagnia, veggendolo tutti e udendolo, disse al conte: Su, conte, lévati su e séguitami. Il quale, tutto ispaurito, tremando si levò, e andava dietro a questo isconosciuto cavaliere, al quale niuno era ardito di dire nulla. Venendo alla porta del palazzo, comandò il cavaliere al conte, che montasse in su uno cavallo che ivi era apparecchiato; e prendendolo per le redine e traendolosi dietro, correndo alla distesa, lo menava su per l’aria, veggendolo tutta la città, traendo il conte dolorosi guai, gridando:

  1. Può spiegarsi: che quello che appartiene al tempo ec.