Sole d'estate/Caccia all'uomo
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CACCIA ALL’UOMO
Da otto giorni Bernardo il Nero, nero, in verità, di pelle, di capelli, di peli fitti fin sulle mani grosse e nodose, si aggirava nei boschi di castagni e di quercie della sua regione, come un orso fuggito dalla gabbia. E a volte avrebbe ringhiato come un vero orso, di ira e di ferocia, se la sua missione non lo avesse costretto ad esplorare nel più perfetto silenzio le macchie e gli anfratti del luogo precipitoso. Cercava un nemico. Nemico in questo senso che egli, Bernardo, custode carcerario, padre di famiglia, integerrimo nelle sue funzioni di guardiano d’uomini, era stato sospeso per tre mesi dall’impiego, accusato di aver favorito, o almeno permesso, la fuga dal penitenziario, e precisamente dall’infermeria dove giaceva malato o finto malato, di un giovane pericolosissimo delinquente suo conterraneo.
Le ricerche delle autorità rimaste senza risultato, adesso egli le continuava per conto suo, e non tanto per riabilitarsi e riavere subito il posto, quanto per odio e desiderio di vendetta contro lo sciagurato per il quale aveva in realtà dimostrato qualche segno di benevolenza. Mai proposito d’uomo era stato più fermo del suo: di trovare cioè quello che oramai egli considerava come un nemico personale, e ricondurlo vivo o morto nel carcere.
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Vivo o morto: questo era il singulto esasperato del suo cuore, che rispondeva a quello del cuculo nascosto nel bosco. Armato di fucile e di rivoltella, di pugnale, di bastone, e di un nerbo di bue più temibile delle palle stesse, egli percorreva in lungo e in largo tutte le vene dei sentieri che serpeggiavano nei luoghi scoscesi e ombrosi. Belli, d’altronde, erano questi luoghi, allietati dalla primavera inoltrata: gli usignuoli vi cantavano come in tenzone, l’uno più melodioso dell’altro, con un accompagnamento corale di acque correnti; e lungo le fratte le aspre robinie e le miti ginestre, intrecciate in un eguale desiderio d’amore, mescolavano il bianco lunare e il chiarore di sole dei loro fiori.
Di tutto questo nulla importava a Bernardo: avrebbe anzi preferito un tempo invernale, con la neve che conserva le impronte delle bestie randagie; e l’ombra che, se nasconde il nemico, nasconde anche l’inseguitore: e nell’ombra egli cercava di camminare, rasentando i tronchi scavati da nicchie scure dentro ognuna delle quali pareva si celasse lo spirito di un eremita, o anche il suo corpo santo, poiché ne veniva fuori un misterioso profumo di solitudine e di purezza: ad ogni rumore che avesse un’eco di passaggio umano egli si buttava a terra, dietro i cespugli, e i suoi occhi luccicavano come quelli dei cani in agguato. Poi riprendeva disilluso a camminare, pronunziando entro di sé parole di scongiuro e di maledizione. Gli rispondevano, sbeffeggiandolo, i fischi delle gazze, sopra le capanne deserte dei cacciatori, intorno alle quali cresceva alta l’erba che egli scrutava quasi filo per filo.
Nessuno. Eppure egli non disperava ancora; anzi pareva si attardasse nelle sue vane ricerche per scrupolo verso sé stesso, o forse anche per gustare poi meglio la vittoria finale. Poiché sentiva bene, e lo sapeva inoltre per indizî altrui, che il punto buono per la sua caccia era più in alto, più lontano. Ed ecco che egli arriva finalmente al minuscolo pianoro che forma come la chierica del cocuzzolo del monte: intorno le querele si slanciano con più gioia verso il cielo tutto loro, e, sotto, i ciclamini e le genziane sembrano fiori di gemma. In mezzo allo spiazzo, una chiesetta col tetto spiovente, tutta in legno verniciato di scuro, spande anch’essa un odore di resina, come una cosa vegetale spuntata per miracolo della natura sulla sommità del monte. E intorno tutto ha, del resto, un senso di miracolo o almeno d’incantesimo. Il sole trasfonde una luce quasi mistica nell’atmosfera senza alito: e sotto quell’esaltazione di silenzio le cose pare s’ingrandiscano e mettano le ali. Ogni filo d’erba, ogni insetto riflette i colori dell’iride: ogni foglia ha una pupilla vivissima che risponde a quella del sole come all’occhio stesso di Dio.
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E Bernardo, senza volerlo, senza saperlo, rientrò in quel cerchio magico, preso da uno stordimento piacevole come quando beveva un bicchiere di vino forte. Era più che mai fermo nel proposito di catturare la bestia fuggita, ma senza massacrarla col suo nerbo inesorabile: e anzi prometteva di dire un paternostro al piccolo Cristo della chiesetta, se la sua pena riusciva ad aver fine.
Ma un po’ di sconforto lo provò ancora nell’accorgersi che la porta dell’oratorio era socchiusa: ne veniva fuori un mormorio di preghiere e quel l’odore d’incenso che imitava il profumo della resina. Egli capì che vi si celebrava la messa: scivolò quindi lungo il muro, fino alla piccola finestra della sagrestia. Era un po’ alta, la finestruola munita di una inferriata in croce; facile però fu all’uomo arrampicarvisi, come già molte volte lo aveva fatto da ragazzo, quando, pur sapendo che nella sagrestia non c’erano che un armadio e due panche, vi guardava dentro cercandovi misteri più profondi di quelili dei boschi intorno.
E ancora gli pare di esserlo, ragazzo agile e selvatico, figlio di cacciatori avventurosi dalla movimentata fantasia, e di trovare finalmente un mistero, grande e terribile nella sua trasparente rivelazione, nella piccola sagrestia dalla quale esce l’odore delle nicchie dei tronchi mescolato a quello dell’incenso che penetra dall’uscio aperto comunicante con l’oratorio. Attraverso quest’uscio si vedeva di scorcio l’altare, con due stelle di candele e, deposto ai piedi del Cristo nero e sanguinante, un piatto di fiori di genziana che pareva colmo di uva violetta. E vi si intravedevano anche due fraticelli, uno che celebrava, l’altro che assisteva la messa: calvi tutti e due, ma ancora uno biondo e l’altro bruno, simili a San Francesco e Sant’Antonio eremita.
Ma non era questo il mistero che colpiva Bernardo, e che egli già conosceva da lungo tempo: quello che non conosceva era lì, sotto i suoi occhi, dove l’ira si spegneva per dar posto a uno stupore infantile: poiché l’uomo che egli cercava, vivo o morto, gli si offriva docile e vinto, disteso sulle due panche riunite della sagrestia, come ucciso dal solo desiderio di lui. Scappando dall’infenneria, il prigioniero aveva avuto modo di penetrare nei magazzini del penitenziario, dove si conservano le vesti dei condannati, e si era camuffato con un pantalone e una giacca troppo larghi per lui: adesso il suo corpo stecchito vi si disegnava dentro come uno scheletro rivestito un po’ buffonescamente da qualche spirito mattacchione. E anche le scarpe, logore e fangose, ben vicine l’una all’altra, parevano messe apposta sotto l’orlo dei pantaloni. Il viso non si vedeva, poiché i fraticelli, come al solito saliti a celebrare la messa nella chiesetta, trovato l’uomo già morto nella sagrestia, lo avevano ricoperto con una tovaglietta d’altare. Sì, la stessa della quale si servivano per coprire il calice con l’offerta del sacrifizio. Solo le mani del morto rimanevano scoperte, incrociate sul petto: lunghe, pallide di prigione e di malattia, ma d’un pallore giallastro, con le unghie dure, le dita rigide scagliose come gli artigli degli uccelli di rapina.
E Bernardo guardava quelle mani con un senso quasi di fascino: ecco, erano quelle che avevano saputo infrangere anche le inferriate del penitenziario e per le quali egli portava in tasca le manette. Adesso il laccio che ne fermava i polsi in eterno era un rosario dei fraticelli, che pareva fatto di bacche di mirtillo.
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E quando ebbe finito le sue contemplazioni, ed anche certe sue speciali considerazioni filosofiche, il buon Bernardo saltò giù e si scosse tutto, aggiustando le sue armi. Si sentiva vuotato, e gli pareva quindi di avere anche lui gli abiti d’un tratto slargati. Si accorse, infatti, che in tutto quel tempo di ricerche, di rabbia, di fatica, si era dimagrito: e aveva fame, come quando da ragazzo scappava anche lui di casa per salire lassù alla ricerca di cose introvabili.
Ma prima di rifocillarsi volle compiere tutto il suo dovere: si accertò anzi tutto se la morte del condannato non era simulata: poi recitò il paternostro di ringraziamento a Cristo salvatore degli uomini; e infine discusse coi fraticelli sul miglior modo di ricondurre il morto fino al punto donde il vivo era fuggito.