Sofonisba (Alfieri, 1946)/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Massinissa, Soldati Numidi.
co’ lor destrieri; e taciti si appiattino
dov’io ti dissi, o Bocar. — Tu, mio fido
Guludda, intanto ad ogni evento in pronto
tieni il fatal mio nappo. È il solo usbergo
d’ogni re, che nemico o amico fassi
della esecrabil Roma. — Itene; e nulla
di ciò traspiri.
SCENA SECONDA
Massinissa.
scender tu dei, per sostener tuo dritto?...
Mai per me nol farei; ma in salvo porre
io deggio pur chi nel periglio ho posto,
o perir seco. — In questo luogo, e a stento,
breve udíenza ottengo?... Oh ciel! cangiata
ella è dunque del tutto?... Eccola... Io tremo.
SCENA TERZA
Sofonisba, Massinissa.
piú nol dovea: ma il volle (il crederesti?)
Siface istesso...
Massin. E fu pietade, o scherno?
Sofon. Grandezza ell’era; e, a ridestare in noi
ogni alto senso, è troppa. Ei stesso teco
vuolsi abboccar: ma ch’io il preceda impone;
e che...
Massin. Tal vista io sostener?...
Sofon. Men grande
sei tu di lui? Teme ei la tua?
Massin. Né posso
dirti pria...?
Sofon. Che dirai, che udire io ’l possa?
Massin. Nuovo martíre invan mi dai: vo’ dirti,
ch’io quí ti trassi, e che sottrarten voglio,
ad ogni costo, io stesso.
Sofon. A te mi diedi
io stessa, il sai; da te mi tolgo io stessa.
Funesto a me il comanda alto dovere:
ma, da ogni mal sottrarmi, in me son certa,
seguitando Siface. Ad esser forte,
dunque apprendi or da me. Di Roma è il campo
questo: Scipion vi sta; tu, re, vi stai:
ed io vi sto, d’Asdrúbal figlia: or dimmi;
vuoi forse tu che amor volgar sia il nostro?
Massin. Ah! di ben altra fiamma arde il mio core,
che non il tuo... Grandezza e gloria e fama,
tutto in te sola io pongo... Esser dei mia;
pera il mio regno; intero pera il mondo;...
tu mia sarai. Perigli omai, né danni,
fuor che a perderti, sono; e pria...
Sofon. Ti basti
d’aver tu sol tutto il mio core... Indegno
non ten mostrar... Ma, che dich’io? la vista,
la sola vista di Siface inerme,
vinto, e cattivo, eppur sereno e forte,
fia bastante a tornarti ora in te stesso.
Massin. Misero me!... Se almen potessi io solo!... —
Ma, di voi non son io men generoso;
ben altro amante io sono: e nobil prova
darne mi appresto...
Sofon. Ecco Siface.
Massin. — Udirmi
anch’ei potrá; né di spregiarmi ardire
avrete voi.
SCENA QUARTA
Siface, Sofonisba, Massinissa.
or si appresenta il tuo mortal nemico;
ma in tale stato il vedi, ch’ei non merta
nullo tuo sdegno omai.
Siface D’un re fra ceppi
stolto fora ogni sdegno. A me davanti
se appresentato il mio rival si fosse
mentr’io brando cingeva, allor mostrargli
potuto avrei furor non vano: or altro
a me non lascia la crudel mia sorte,
che fermo volto e imperturbabil core.
Quindi or pacato mi udrai favellarti.
Massin. Il disperato mio dolore immenso
a te ristoro esser pur dee non lieve:
piú inerme assai di te, piú vinto e ignudo
di senno io sono, e assai men re. Giá tolto
mi avevi il regno tu, ma allor per tanto
tu vincitor di me non eri: ardente,
instancabil nemico io risorgeva
piú fero ognor dalle sconfitte mie;
fin che a vicenda io vincitor tornato,
il mio riebbi, e a te il tuo regno io tolsi. —
Ma godi tu, trionfa; intera palma
di me ti dá questa sublime donna,
ch’or ben due volte a Massinissa hai tolta.
Sofon. E vuoi, ch’io pur del debil tuo coraggio
arrossisca?...
Massin. Non diedi a voi per anco
del mio coraggio prova: ei pur fia pari
al dolor mio. — Voi state (io ben lo veggo)
securi in voi, per la prefissa morte.
Degno è d’ambo il proposto; ed io l’intendo
quant’altri; e a voi, ciascun per se, conviensi.
Tu, prigioniero re, non vuoi, né il dei,
viver piú omai: tu, di Siface moglie,
e di Asdrubale figlia, in faccia a Roma
pompa vuoi far d’intrepid’alma ed alta;
né affetto ascolti, altro che l’odio e l’ira.
Ma Siface, che t’ama; ei, che all’intera
rovina sua per te, per te soltanto,
s’è tratto; ei ch’alto e nobil cor, non meno
che infiammato, rinserra; oh ciel! deh!... come,
come può udir, che l’amata sua donna
abbia a perire?...
Sofon. E potrebb’egli or tormi
dal mio dover, s’anco il volesse?
Siface E donde
noto esser puovvi il pensier mio?
Massin. Guidato
il mio non posso; né cangiare io ’l voglio,
se pria spento non cado. Ad ogni costo
salvare io voglio or Sofonisba; e salva
ella (il comprendo) esser non vuol, né il puote,
se non è salvo anco Siface. — In sella
giá i miei Numídi stanno: al sorger primo
della vicina notte, ove tu vogli,
Siface, un d’essi fingerti, a te giuro
d’esserti scorta io stesso, e illeso trarti
con Sofonisba tua, fino alle porte
di Cartagine vostra. Ivi tu gente,
armi, e cavalli adunerai: né vinto
egli è un re mai, cui libertá pur resta.
Abbandonar queste abborrite insegne
di Roma io voglio; e per Cartagin io,
e per l’Affrica nostra, e per te forse,
d’ora in poi pugnerò. Qualor tu poscia
regno e possanza ricovrato avrai,
sí che venirne al paragon del brando
re potrem noi con re, col brando allora
ti chiederò questa adorata donna;
ch’or non per altro a te pur rendo io stesso,
che per sottrarla a misera immatura
orribil morte.
Sofon. Ineseguibil cosa
proponi, e invano...
Siface Ei d’alto cor fa fede;
me non offende: anzi, a propor mi sprona
ben altro un mezzo, assai piú certo; e fia
piú lieve a lui, men di Siface indegno;
e in un...
Massin. Voi, domi dalla sorte avversa,
ineseguibil ciò che a me fia lieve,
stimate or forse; ma, se onor vi sprona,
meco ardite e tentate. Ultimo, e sempre
ai forti è mai: ma a tutti noi, per ora,
necessario ei non è. Scipion deluso,
sol coll’alba sorgente il fuggir nostro
saprá; fors’egli umano e giusto in core,
rispetterá miei dritti: ad ogni guisa,
mercé i ratti corsier, sarem coll’alba
lontani assai. Ma, se inseguirci pure
si attenta alcun, giuro che il brando io pria
a Scipio istesso immergerò nel petto,
che a lui rendervi mai. Questa mia spada,
che me salvò giá tante volte; questa,
onde il mio regno e in un l’altrui riebbi,
non fia bastante a porvi entro a Cartago
in salvo entrambi? Or, deh! per poco cedi;
cedi, o Siface, alla fortuna: in sommo
puoi ritornare ancor; né cosa al mondo
tu mi dovrai. Nemici fummo; e in breve,
di bel nuovo il saremo; il sol periglio
di cosa amata al par da noi, fa muto
l’odio e lo sdegno in noi. Supplice m’odi
parlarti; in te la tua salvezza è posta.
Ma se pur crudo il tuo nemico abborri
piú che non ami la tua donna, intera
abbine almen pria di morir vendetta.
Ecco ignudo il mio brando; in me il ritorci. —
O me uccidi, o me segui.
Siface Oh Massinissa!...
Infra il bollor della feroce immensa
tua passíon, raggio di speme ancora
traluce a te; vinto non sei, né inerme,
né prigioniero: or tu d’altr’occhio quindi
le umane cose miri. Ma, si asconde
sotto serena imperturbabil fronte,
entro il mio cor, piú strazíato assai
del tuo, si asconde tal funesta fiamma,
i detti appieno... A riamato amante
ignoti sono i miei martirj... Ah! crude
tanto or son piú le mie gelose serpi,
quanto piú veggio Sofonisba intenta
a smentire magnanima gli affetti
del piagato suo core. A duro sforzo
il suo coraggio indomito mi tragge;
ma, degno sforzo. — Ambizíon, vendetta,
gelosa rabbia, ogni furor mio ceda
al solo amore. — Or, piú che a mezzo il nodo
è sciolto giá. Donna, mi ascolta. Io t’amo,
per te soltanto, e non per me: ti voglio
quindi pria sposa ad altri dare io stesso,
pria che per me vederti estinta invano.
Sofon. Che ascolto? Oimè!... Ch’osi tu dirmi?...
Siface I preghi,
spero, udrai tu del tuo consorte: e dove
non bastin preghi, gli ultimi comandi
n’eseguirai. — Di Massinissa sposa
tu quí venisti:... a Massinissa sposa
io quí ti rendo.
Sofon. Ah! no...
Siface Tu, che salvarla
non tua potevi, or che l’ho fatta io tua,
meglio il potrai. — Per sempre, addio. Seguirmi
nullo ardisca di voi.
SCENA QUINTA
Massinissa, Sofonisba.
che me rattenga or dal seguirti. — Addio,...
Massinissa...
SCENA SESTA
Massinissa.
antivenir voglionsi entrambi... Oh cielo!
Io temo sol d’esser di lor men ratto.