Sermoni (Chiabrera)/XXV
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XXV
AL SIG. NICCOLO’ GAVOTTO
DEL SIG. LORENZO.
Niccolò, mio signor, l’altr’jeri in loggia
Udia parlamentar fra’ cittadini,
Sulla bussola prima, e far schiamazzi:
Era vil fango ogni altra cosa al mondo,
5La nobiltate sommo pregio; alcuni
Così diceano, e soggiungean, suprema
Ventura poter dirsi a bocca aperta,
La bisavola mia stata è figliuola
O del Commendator di Calatrava,
10O pur del Marescial di Santandrea.
Io non oso negar che il sangue illustre,
E la chiarezza della schiatta onori
L’umana vita; ho ben fermato in petto,
Esser la nobiltà, come un fiscale,
15Che acerbissimamente altrui condanna,
S’amiamo traboccar nelle sozzure.
Qual cervo io fuggirò dalla muraglia,
E giurerò la fè di gentiluomo,
Ne crederò che l’uditor sogghigni?
20Farò forza all’onor d’una fanciulla,
Darò delle mazzate al bottegajo,
S’ei chiede sua mercè; santo nel cielo
Sì grande non sarà che io non bestemmi,
E poi toccando gli elsi della spada,
25Io dirò son ben nato? Io se nipote
D’Eaco fossi, o se fasciato in culla
Fossi, come un Arsacide, non sono,
Non son, così vivendo, altro che un Iro,
Non altro che un Tersite. È nobil Curzio,
30Che spronando gittossi entro lo speco,
E la patria salvò: nobile è Decio,
Che offerse la sua testa, e trovò scampo,
Alla superba rupe di Tarpea:
Ma chi vien dalle reni d’un eroe,
35Nè sa fare azïon, salvo plebea,
Castra sua nobiltà. Regna una scuola,
O Gavotto, oggidì, che nobiltate
Sia non far nulla in sulla terra; basta
Da che la bionda Aurora esce dal cielo,
40Finchè Febo si tuffi in grembo a Teti,
Battere il becco, e ben grattar la pancia;
E però fa ritorno il secol d’oro.
Ho detto assai, perchè scherzando io vergo
Un domestico foglio, e frodo il sonno;
45Ma se corressi l’altra via, che corse
Quel da Venosa, io chiamerei gli scettri,
Chiamerei le corone; e chiederei,
Chi del Figliuol di Dio guarda la tomba?
Chi bee dentro il Giordano, e chi riposa
50Del gran Sïonne e del Carmelo all’ombra?