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del chiabrera 199

Cresca confin, ma perchè tua bontade
Sia sempre seco a sostener lo scettro,
120Sicchè siano felici i suoi fedeli,
Nè pietade immortale unqua disfida
Speranze umane. Or sian felici appieno,
Orso, l’alme stagion del suo ritorno:
Volino verso il ciel fumando incensi,
125E del bell’Arno la città festeggi:
Sempre lieta per lui sorga l’Aurora,
Nè rieda Espero mai, salvo sereno.
Larga messe ad ognor, larga vendemmia
Le brame adempia della plebe; ed egli
130Fermi in terra del cielo aurei decreti,
Vibrando rai fra lo splendor degli avi.

XXV

AL SIG. NICCOLO’ GAVOTTO

DEL SIG. LORENZO.

     Niccolò, mio signor, l’altr’jeri in loggia
Udia parlamentar fra’ cittadini,
Sulla bussola prima, e far schiamazzi:
Era vil fango ogni altra cosa al mondo,
5La nobiltate sommo pregio; alcuni
Così diceano, e soggiungean, suprema
Ventura poter dirsi a bocca aperta,
La bisavola mia stata è figliuola
O del Commendator di Calatrava,
10O pur del Marescial di Santandrea.
Io non oso negar che il sangue illustre,
E la chiarezza della schiatta onori
L’umana vita; ho ben fermato in petto,
Esser la nobiltà, come un fiscale,
15Che acerbissimamente altrui condanna,
S’amiamo traboccar nelle sozzure.
Qual cervo io fuggirò dalla muraglia,
E giurerò la fè di gentiluomo,
Ne crederò che l’uditor sogghigni?
20Farò forza all’onor d’una fanciulla,
Darò delle mazzate al bottegajo,
S’ei chiede sua mercè; santo nel cielo
Sì grande non sarà che io non bestemmi,
E poi toccando gli elsi della spada,
25Io dirò son ben nato? Io se nipote
D’Eaco fossi, o se fasciato in culla
Fossi, come un Arsacide, non sono,
Non son, così vivendo, altro che un Iro,
Non altro che un Tersite. È nobil Curzio,
30Che spronando gittossi entro lo speco,
E la patria salvò: nobile è Decio,
Che offerse la sua testa, e trovò scampo,
Alla superba rupe di Tarpea:
Ma chi vien dalle reni d’un eroe,
35Nè sa fare azïon, salvo plebea,
Castra sua nobiltà. Regna una scuola,
O Gavotto, oggidì, che nobiltate
Sia non far nulla in sulla terra; basta
Da che la bionda Aurora esce dal cielo,
40Finchè Febo si tuffi in grembo a Teti,
Battere il becco, e ben grattar la pancia;
E però fa ritorno il secol d’oro.
Ho detto assai, perchè scherzando io vergo
Un domestico foglio, e frodo il sonno;
45Ma se corressi l’altra via, che corse
Quel da Venosa, io chiamerei gli scettri,
Chiamerei le corone; e chiederei,
Chi del Figliuol di Dio guarda la tomba?
Chi bee dentro il Giordano, e chi riposa
50Del gran Sïonne e del Carmelo all’ombra?

XXVI

AL SIG. VINCENZO VERZELLINO.


     In spalmata galera io me ne giva,
Vincenzo, a mezzo april verso Livorno.
Nella poppa sedea gente diversa,
Ma duo romani facean gran contrasti,
5Sopra le cose da pregiarsi in terra
Fra i popoli formati da Giapeto.
Dicea Gualtier: Posso portare in petto
La croce bianca e la vermiglia, provi
Col suo tesor Gisgon di gire a Malta,
10Nato di terra come un fungo: scosse
Le tempie Iroldo, indi soggiunse: Illustre
Sarò, se dotto spenditor, se cuoco,
E se dotto ruffian non mi vien meno.
O tordi, o baccelloni! argento ed oro,
15Oro ed argento fanno l’uomo altero.
Sorga del re lo sdegno, e caschi un grande
Della gran Spagna, e dipelato vada,
Poi trovi un ganapan, che pur gli dica,
Vuestra mercè. Così diceva Iroldo.
20Quivi mi venne in cor che quel gran Fante
Dopo date le leggi a tante genti
Fu rimandato a pasturar sua greggia,
Allor ciascuno si guatava in viso,
E dicea: qual misfatto? Ha per ventura
25Costui manifestati i gran segreti?
O falsamente impressi i gran sigilli,
Come Mazzocchio? No: sua colpa è scura,
Ma dal terreno Giove egli è percosso
Colla folgore acuta; ei n’era degno:
30Avea fumo più ch’Etna; un pentolino.
Già lo sfamava il dì di Pasqua, ed ora
Al briccone putivano i fagiani:
Posso memoria far del gran Pasquale,
Custode de i tesor; costui bramoso
35Pur d’avanzarsi e di vestirsi d’ostro,
S’avvenne in un cortese manigoldo,
Che il nudo tergo gli coperse a rosso;
Porpora d’una scopa, è fragil vetro
Ove s’appoggia la grandezza umana.
40Vendo io menzogne? Se io le vendo, dica,
Dica la veritate il Dragoniero:
Non portava costui fronte rugosa?
Ciglio aggrottato? Non vibrava guardi
Torbidi di venen, qual basilisco?
45Vedeasi passeggiare intra due fila
Di trenta alabardieri, e col sembiante
Sentir facea ribrezzo a mezzo mondo;
Ma tanta tracotanza e tanto orgoglio,
Qual fine ebb’egli? Un colpo di mannaja
50Troncogli il collo, ed insegnò siccome
Apprende senno in sul morir chi vive
Senza cervello. Or se quaggiù ricchezza,
E nobiltà non son veraci scorte
Da condur l’uomo alla magion felice;
55Che rimane a seguir, salvo Virtude?
Virtute amabilissima donzella,