Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi/25

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- La decisiva riprova di ciò si trae dalla vicenda, in apparenza insignificante, ma per questo tanto più inquietante, dell’istanza del 27-5-1992, presentata al dott. Greco dai commissari governativi. Costoro, pur avendo compreso quale piega stava prendendo la procedura e valutato l’opportunità di “uscire in bellezza”, dovevano pur sempre approvare un bilancio che avrebbe sancito la perdita del capitale.

Essi si posero dunque il problema se far luogo o meno alla convocazione di un’assemblea ai fini della messa in liquidazione della Federconsorzi.

Si è già visto in precedenza come dopo qualche oscillazione essi avessero deciso alla fine di rimettersi alla decisione del giudice delegato, inoltrandogli l’istanza con la quale, pur prospettando di non ritenere necessaria la convocazione di un’assemblea, chiedevano nondimeno l’autorizzazione del magistrato per l’eventualità che quest’ultimo avesse invece reputato doverosa l’assunzione di provvedimenti liquidatori.

Peraltro contestualmente all’approvazione del bilancio essi si dimisero dall’incarico, ritenendo esaurito il loro compito, per cui non si interessarono più della risposta del dott. Greco. Lo stesso 27-5-1992 veniva ufficialmente presentato il piano Capaldo. In questo modo venivano ad intersecarsi due diverse situazioni: da un lato si esauriva la prima fase del commissariamento con le dimissioni degli originari commissari, che avevano condotto Federconsorzi all’ammissione al concordato e che tra molteplici difficoltà l’avevano gestita per circa un anno; dall’altro si delineavano gli scenari futuri della procedura, implicanti l’omologa del concordato.

In tale quadro il Presidente Greco, che, avendo atteso la cordata, aveva mostrato di ritenere l’omologa un approdo sicuro, essendo altrimenti un fuor d’opera qualsiasi indugio, si trovò nelle mani l’insidiosa istanza dei commissari, incentrata sulla necessità o meno di provvedimenti liquidatori in pendenza di concordato, la quale avrebbe potuto compromettere qualsivoglia progetto. Il problema non era tanto quello puramente accademico della necessità di un’assemblea, quanto quello di scongiurare la denuncia ufficiale di una situazione finanziaria tale da imporre provvedimenti liquidatori.

Ed invero in sede di assemblea si sarebbero potuti profilare gravi contrasti tra i soci, i Consorzi Agrari, non tutti nelle medesime condizioni.

Ma insidie ben maggiori sarebbero potute annidarsi nel fatto che Federconsorzi già si trovava in stato di commissariamento, in quanto il Ministro aveva a suo tempo ritenuto di dover esercitare i poteri a lui demandati, cosicché sarebbe stato coerente che lo stesso Ministro decidesse di disporre autonomamente la messa in liquidazione, dando così corso, in virtù di quanto previsto dalla legge 400/75, ad una procedura di liquidazione coatta amministrativa. Per proprio convincimento, espresso in altre circostanze, il Presidente Greco mostrava di condividere l’opinione di quanti, anche in pendenza di concordato preventivo, ritenevano necessaria la concomitante delibera assembleare di messa in liquidazione. Ed allora qualsivoglia sua pronuncia sarebbe potuta risultare assai pericolosa, per lo meno fino alla sentenza di omologa, allorché la procedura di concordato avrebbe assunto stabilità ed ogni doglianza si sarebbe potuta se mai dedurre con l’impugnazione della sentenza. Il risultato di tutto ciò fu che per intanto il dott. Greco omise di provvedere.

Quando nel mese di luglio il nuovo commissario Piovano, avendo appreso dell’esistenza dell’istanza, si presentò al magistrato per chiedere lumi, il dott. Greco la estrasse dalla borsa, priva di attestazioni di avvenuto deposito, e gliela restituì, accompagnando il gesto con la frase: ”istanza riconsegnata istanza ritirata” e sollecitando il commissario a ripresentarla in futuro, corredata dal parere di un esperto, che egli stesso, come detto, indicò nel prof. Floriano D’Alessandro.

Il dott. Piovano, la cui attendibilità sul punto è indiscutibile, posto che lo stesso Greco, dopo aver sostenuto nel corso del primo interrogatorio di non ricordare l’episodio, in una successiva circostanza e anche al dibattimento lo ha nella sostanza confermato, prese atto di quanto indicatogli dal magistrato e formulò richiesta di parere al prof. D’Alessandro, il quale solo nel mese di settembre depositò un proprio elaborato, contenente una dotta risposta al quesito proposto.

Ma a questo punto la causa di omologa era ormai stata trattenuta in decisione e la sentenza stava per essere pubblicata né in futuro si sarebbe più posto il problema della convocazione dell’assemblea. Ora, se il dott. Greco preferì non pronunciarsi, ciò significa che avvertiva un pericolo, il che val quanto dire che temeva di non poter giungere all’omologa.

D’altro canto un siffatto timore può spiegarsi solo in quanto l’omologa costituisse per lui un obiettivo programmato e auspicato, ciò che certamente non può farsi rientrare nella fisiologia dell’esercizio della funzione giudiziaria, neutra nei fini. Ma se il dott. Greco tendeva all’omologa, altrettanto deve dirsi per il prof. Capaldo, il cui piano in tanto avrebbe potuto attuarsi in quanto il concordato avesse seguito il suo corso.

La convergenza di interessi tra i due non rappresenta, come si è visto, una novità, essendolasi già riscontrata in ogni fase e permanendo anche in questa, in cui pure i commissari uscenti avevano assunto una diversa posizione.