Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi/24
Questo testo è completo. |
◄ | 23 | 25 | ► |
24
24.1 - Il prof. Capaldo aveva in effetti conferito all’Avv. Casella, professionista particolarmente esperto di procedure concorsuali, l’incarico di studiare la fattibilità di un’operazione incentrata sull’acquisizione in massa del patrimonio di Federconsorzi da parte dei creditori.
Quest’ultimo si era dunque posto al lavoro mentre il Capaldo aveva preso a tessere le necessarie relazioni con le altre componenti del ceto bancario che figuravano tra i creditori. La nascita, l’elaborazione e lo sviluppo del piano appaiono particolarmente illuminanti.
Va premesso che ogni ipotesi fino ad allora formulata, a cominciare da quella di costituzione di una società di creditori evocata dal Ministro Goria, postulava l’unanimità dei consensi e il conferimento dei crediti per la partecipazione all’iniziativa.
Ancora nel maggio del 1992 i commissari governativi, prima che il piano Capaldo fosse ufficialmente presentato, annotavano che sarebbe stata necessaria un’offerta proveniente dal 100% dei creditori (o quasi) ovvero un’offerta al tribunale accompagnata da offerta pubblica a tutti i creditori, implicante la possibilità di conferimento dei crediti.
Orbene l’Avv. Casella nel marzo 1992 inviava al proprio committente una missiva nella quale illustrava le linee di un possibile piano, concernente tanto il concordato Fedit quanto quello Agrifactoring, a dimostrazione del collegamento esistente tra le procedure.
In particolare si muoveva dall’esigenza che la liquidazione fosse rapida e che nel frattempo fossero impediti “travasi” di attività da una massa creditoria all’altra.
Si esaminava quindi l’ipotesi della costituzione di una nuova società e del conferimento ad essa dei crediti, da utilizzarsi per l’acquisto dei beni.
Si rilevavano al riguardo numerose difficoltà, primariamente connesse alla difficile valutabilità dei crediti, a fronte dell’incertezza dei crediti vantati dalle due società verso i consorzi agrari.
Inoltre si osservava che non sarebbe stata possibile alcuna compensazione tra crediti verso soggetti in bonis e debiti verso procedure, con la conseguenza che i crediti conferiti sarebbero dovuti essere a loro volta ceduti o fattorizzati.
Piuttosto si proponeva la via dell’assunzione del concordato, prevista per il concordato fallimentare ma ritenuta applicabile anche a quello preventivo.
La nuova società, formata dai maggiori creditori, avrebbe dovuto dunque rendersi assuntrice dei due concordati, purché una data percentuale di creditori si fosse dichiarata disponibile a cedere i propri crediti ad un prezzo corrispondente, pro quota, a quello realizzato attraverso la vendita dei beni acquisiti dal concordato, dedotto l’importo dei crediti privilegiati e delle spese in prededuzione.
La società avrebbe poi dovuto offrire ai creditori non aderenti all’iniziativa il pagamento, se del caso dilazionato, di una percentuale dei loro crediti, variabile tra il 40% e la percentuale indicata dal commissario giudiziale, giustificandosi l’eventuale riduzione rispetto alla quota stimata dal commissario con la certezza dell’impegno, all’uopo garantito.
Non v’è dubbio che una siffatta soluzione, pur non pacificamente ammissibile, avrebbe comunque potuto soddisfare una pluralità di esigenze, a cominciare da quella di assicurare tempi rapidi e piena libertà di scelta da parte di tutti i creditori, garantiti dal pagamento di una percentuale minima, comunque superiore al limite di legge.
Ma in realtà, all’esito delle trattative intercorse tra i soggetti interessati, il piano avrebbe assunto ben diversa fisionomia. Il 22 aprile 1992 l’Avv. Casella inviava al prof. Capaldo una bozza della possibile missiva destinata agli organi della procedura . Dalle differenze intercorrenti tra la bozza e la versione ufficiale che sarebbe stata effettivamente inviata il 27-5-1992 è agevole desumere gli intendimenti dei proponenti.
Nella prima e non nella seconda compaiono infatti riferimenti al “riassetto e alla riorganizzazione del sistema dei Consorzi Agrari Provinciali, in modo da conservare e rivitalizzare strumenti idonei di consulenza e di cooperazione a favore degli agricoltori, in una prospettiva di solidarietà e di salvaguardia di pubblici interessi, in sintonia con gli orientamenti manifestatisi in sede governativa” ed ancora solo nella prima è prospettata la possibilità di aggiungere che il prezzo proposto “è allo stato sufficiente a garantire l’integrale pagamento dei creditori privilegiati e in prededuzione, nonché l’attribuzione ai creditori chirografari della percentuale di cui all’art. 160 L.F.....”.
Pertanto già nel mese di aprile, contrariamente alle aspettative dei commissari governativi, era stata scartata l’ipotesi di una società formata attraverso il conferimento dei crediti nonché quella di una società disposta ad assumere tanto il concordato Fedit quanto quello Agrifactoring, ed era residuata l’ipotesi della costituzione di una società formata dai maggiori creditori con capitale determinato, aperto alla partecipazione degli altri creditori, e destinata a rendersi cessionaria dell’attivo di Fedit ad un dato prezzo.
D’altro canto risulta chiaramente che i proponenti non intendevano garantire né il rispetto di percentuali minime in favore dei chirografari né effettive prospettive di rivitalizzazione del sistema della cooperazione a favore degli agricoltori. Così va intesa la proposta Capaldo, finalmente venuta alla luce il 27-5-1992.
Ed in realtà i termini della proposta, già in precedenza riassunti, non potevano che deludere le speranze di quanti l’avevano attesa, confidando al tempo stesso in una rapida definizione della procedura con sufficiente realizzo e in una ripresa dell’attività di commercializzazione a sostegno dell’agricoltura, fin dall’inizio auspicata, almeno a parole, dal Ministro Goria.
Non sorprendono dunque le reazioni degli ex commissari governativi e dello stesso Ministro alla presa d’atto ufficiale del piano. Le critiche erano motivate innanzi tutto dal prezzo, manifestamente inferiore al valore stimato fino ad allora dagli organi della procedura e ad esso non rapportabile in alcun modo.
24.2 - Ma è interessante a questo punto rilevare come quel prezzo fosse stato determinato.
Premesso che per sua stessa ammissione fu il Capaldo a fissarne l’ammontare, risulta con chiarezza che il predetto aveva conferito ad alcuni tecnici del Banco di S.Spirito, futuro partner della fusione in Banca di Roma, l’incarico di elaborare delle simulazioni sulla base di diverse percentuali del valore del patrimonio, stimato dal commissario giudiziale.
Risulta documentalmente che il lavoro si risolse nel mettere a confronto gli effetti per la procedura e per i proponenti di soluzioni diverse, incentrate su percentuali a seconda dei casi del 50%, del 55% e del 60% e su una diversa dilazione di pagamento.
In particolare dai prospetti elaborati emerge che, a fronte dei crediti privilegiati e chirografari, indicati dal commissario giudiziale, le prededuzioni erano calcolate in soli 40 miliardi, invece di 403, e che in tale prospettiva ai chirografari sarebbe potuta spettare una percentuale del 37,5% nel caso di pagamento di una somma pari al 50% del patrimonio come stimato nella relazione particolareggiata, una percentuale del 41% in caso di pagamento di una somma pari al 55% e una percentuale del 46,5% nel caso di pagamento di una somma pari al 60%.
La soluzione prescelta corrisponde di fatto all’ipotesi intermedia, solo teoricamente destinata ad assicurare il 40% nel presupposto della rispondenza al vero delle prededuzioni ipotizzate.
Ed allora deve osservarsi come, al di là di quanto poi dedotto dal Capaldo in sede di interrogatorio dinanzi al P.M. e al GIP nonché al dibattimento, il prezzo non costituisse il frutto di sofisticate elaborazioni e valutazioni, del resto mai esplicitate, bensì una semplice percentuale, riferita indistintamente a tutti i cespiti, del patrimonio così come stimato nella relazione particolareggiata.
24.3 - E’ peraltro significativo osservare come una siffatta iniziativa, che pur determinò una presa di distanza da parte degli ex-commissari, non fosse valsa a ridimensionare l’interesse del Presidente Greco, il quale, proprio come promesso, avrebbe depositato la sentenza di omologa a ottobre, dopo aver atteso la formazione della cordata, e in detta sentenza non solo avrebbe rilevato la sussistenza delle condizioni per l’omologa, ma avrebbe anche fatto cenno della proposta Casella.
E non basta.
Infatti i commissari avevano da tempo nominato una commissione avente il compito di verificare i bilanci di Federconsorzi dell’ultimo quinquennio.
Si trattava di una mossa da un lato doverosa, a fronte dell’azione di responsabilità da taluno intrapresa contro i precedenti amministratori, e dall’altro scivolosa, giacché rischiava di porre in luce la cattiva pregressa gestione e l’inattendibilità della contabilità, ciò che avrebbe potuto far venire meno le condizioni di meritevolezza e di corretta tenuta della contabilità necessarie per l’omologa.
Orbene, in tale prospettiva la nomina di un ulteriore componente della commissione da parte degli organi della procedura non avrebbe potuto che agevolare il differimento delle conclusioni: ed in effetti, in conseguenza della nomina del prof. Carbonetti, avvenuta nel mese di maggio del 1992, i lavori della commissione si sarebbero protratti fino al marzo del 1993.
Ciò vale a delineare un ulteriore collegamento tra lo sviluppo favorevole della procedura, incamminata ineluttabilmente verso la vendita in blocco, e il Presidente Greco, che fungeva da giudice delegato.