Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi/11
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11.1 - Il dott. Piovano si mise dunque al lavoro in questa direzione, forte anche delle richieste di acquisto che gli provenivano da più parti, fra l’altro riguardanti beni importanti, come l’immobile di via Curtatone, sede di Federconsorzi, per il quale vi era l’interessamento delle Ferrovie dello Stato .
Ma nessun bene sarebbe stato in prosieguo venduto.
Cominciò invece una serie di contatti e di incontri tra gli organi della procedura e l’avv. Casella o i suoi collaboratori, in primis l’avv. Maugeri, volti a mettere a fuoco la definitiva proposta di acquisto, destinata a colmare le lacune di quella precedente. Il 27-10-1992 nel corso di una riunione con l’avv. Casella il Collegio composto dal Presidente Greco e dagli stessi magistrati, Celotti e De Vitis, che avevano concorso all’omologa del concordato, chiese che fossero specificati i criteri in forza dei quali si era ritenuto di poter colmare il divario tra il prezzo e il valore del patrimonio, come stimato nella sentenza di omologazione.
Con nota del 28-12-1992 l’Avv. Casella ribadì la disponibilità dei soci promotori dell’iniziativa a rendersi cessionari delle attività di Federconsorzi ad un prezzo non superiore a 2.150 miliardi di lire, salva la necessità di una rapida definizione dei tempi e delle modalità operative
Il giorno 15-1-1993 il Tribunale invitò formalmente l’avv. Casella, in qualità di rappresentante dei promotori, a fornire alcuni specifici chiarimenti in ordine all’esatta individuazione dei soci fondatori ed ai poteri a lui da questi conferiti, in ordine all’esatto e definitivo importo dell’offerta, precisandosi le ragioni del divario rispetto alla stima del patrimonio fatta in sentenza, e in ordine alla disponibilità o meno a farsi carico del problema occupazionale .
In data 28-1-1993 i promotori deliberarono di inviare agli organi della procedura una lettera contenente i termini pressoché definitivi della proposta.
Al riguardo veniva precisato che il prezzo di 2.150 miliardi di lire era da ritenersi congruo in considerazione di tre ordini di fattori: 1) i costi dell’operazione, data la necessità di pagare anticipatamente il ceto creditorio e di far fronte al pagamento in tempi contenuti rispetto a quelli richiesti per la liquidazione; 2) l’aleatorietà dell’operazione, stante l’incertezza dell’esito e dei tempi di realizzo, soprattutto per l’incerta esigibilità dei crediti e per le difficoltà del mercato immobiliare; 3) la disomogeneità tra valori presi a riferimento, essendo il prezzo certo e le valutazioni fatte nell’ambito della procedura riferibili a valori di mercato di puro riferimento, stimati senza considerare le molteplici variabili indipendenti.
Circa il problema occupazionale si dava atto che l’omologa postulava di per sé l’estinzione dei rapporti di lavoro, ma si prevedeva la possibilità di far ricorso a forme di esodo incentivato. Nel ribadire la struttura della costituenda società, si precisava che questa sarebbe stata sostenuta finanziariamente dai soci in proporzione delle quote di partecipazione, anche mediante rilascio di garanzie.
L’impegno era dunque quello di acquistare le attività patrimoniali risultanti dalla relazione particolareggiata del commissario giudiziale alle pagg. 68 a 115, al prezzo e con le rateizzazioni già indicati, ferma restando la disponibilità ad onorare per intero i crediti minori.
L’acquisto sarebbe potuto avvenire anche mediante più atti e in più tempi e mediante rilascio di procure irrevocabili a vendere.
Per le attività nel frattempo cedute o realizzate dagli organi della procedura il relativo prezzo sarebbe dovuto portarsi in detrazione dal corrispettivo complessivamente offerto.
11.2 - Il commissario governativo formulava al riguardo osservazioni critiche in tre diverse circostanze .
Il 12-1-1993 il dott. Piovano faceva rilevare come alla data del 28-12-1992 permanesse incertezza sul grado di adesione del ceto creditorio al progetto, segnalava la necessità di regolare i casi di dismissioni già avvenute, stigmatizzava il possibile impatto della proposta sulle società partecipate creditrici e sottolineava la mancata considerazione del problema occupazionale.
Il successivo 5-2-1993, in occasione di una riunione dinanzi al Presidente delegato, cui partecipavano anche l’Avv. Casella, il prof. Capaldo e il comitato dei creditori , il predetto si dichiarava favorevole in linea di principio alla cessione in massa dell’attivo, ma reputava opportuno rimettere la valutazione definitiva al comitato dei creditori, riproponeva il problema del personale e suggeriva di verificare, a tutela dei creditori non aderenti all’iniziativa, la disponibilità del mercato ad acquisire singoli ma significativi cespiti. Infine il 22-2-1993 il dott. Piovano segnalava la necessità di definire meglio l’oggetto della cessione, con apposita specificazione della sorte del contenzioso e delle posizioni di debito/credito legate alle gestioni per conto dello Stato, evidenziate nei conti d’ordine. In data 17-2-1993 formulò il proprio parere il comitato dei creditori.
In esso, datosi atto che la proposta garantiva di acquisire entro un tempo ragionevole l’intero corrispettivo, in aggiunta al pagamento dei crediti minori, si segnalava che a seguito della riunione del 5-2-1993 era stato assicurato l’impegno della costituenda società ad accollarsi l’onere dell’esodo incentivato di una parte del personale e ad assumere 60-70 unità di personale.
Inoltre si faceva presente la possibilità di individuare soluzioni finanziarie atte ad assicurare il pagamento immediato dei creditori privilegiati.
Sotto il profilo della congruità della proposta si sottolineava come dall’approvazione del piano potessero discendere vantaggi con riguardo sia alle spese di procedura che ai crediti privilegiati, le prime passando da 375 a 275/255 miliardi, i secondi riducendosi a circa 300 miliardi per la depurazione del credito nei confronti del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.
Veniva dunque prospettata una percentuale di riparto in favore dei chirografari pari al 39%, in realtà suscettiva di miglioramento fino al 40%, tale da elidere qualsivoglia possibile disparità di trattamento tra creditori aderenti o non all’iniziativa, ferma restando la paritaria possibilità di adesione alla costituenda società.
In tale prospettiva risultava irrilevante anche la valutazione circa la convenienza del prezzo, posto che l’acquisizione delle attività sarebbe stata effettuata non da un soggetto terzo, bensì dagli stessi creditori, operanti per il tramite della nuova società.
Il comitato dei creditori esprimeva dunque a maggioranza parere favorevole alla condizione: che venissero mantenuti gli impegni relativi all’esodo incentivato e all’assunzione di personale; che all’atto del trasferimento delle partecipazioni in cui Federconsorzi era responsabile ex art. 2362 cc, fossero adottati i termini contrattuali più idonei a che la procedura fosse quanto più possibile sgravata da oneri; che fosse mantenuta la disponibilità liquida in atto esistente, con riserva di operare le eventuali compensazioni non prima del pagamento della seconda rata.
Veniva peraltro allegato al parere quello espresso da un solo componente dissenziente, che risultava fortemente critico, ivi deducendosi che ai creditori chirografari sarebbe stata distribuita in realtà una percentuale addirittura inferiore al 30% . 11.3 - Assai complesso e articolato fu il parere del commissario giudiziale prof. Picardi.
Preliminarmente l’illustre giurista osservò che le stime iniziali erano state prudenziali e che le prime dismissioni effettuate per ragioni di urgenza avevano assicurato plusvalenze del 20% sul valore di stima.
L’esiguità del prezzo rispetto al valore stimato avrebbe dovuto dunque far propendere per una liquidazione tradizionale.
A fronte di ciò tuttavia il prof. Picardi rilevò che si sarebbe dovuto tener conto anche di altri fattori, quali la sopraggiunta fase recessiva.
Questa peraltro non avrebbe dovuto necessariamente comportare un generalizzato deprezzamento dei beni, posto che ad esempio da uno studio recente di una ditta specializzata, la “Gabetti Agency”, era emerso che il settore immobiliare sarebbe stato caratterizzato nel 1993 da spinte di segno opposto, da un lato l’inflazione e l’indebolimento della lira, tali da propiziare il mercato immobiliare, dall’altro gli oneri fiscali: si sarebbe perciò potuto prevedere un allungamento dei tempi di realizzo ma anche un aumento dei ricavi.
Del resto vi sarebbe stato da considerare che la Federconsorzi era proprietaria di immobili di prestigio, appetiti da enti, istituti e investitori stranieri.
La scarsità di liquidità e la caduta degli investimenti avrebbero potuto incidere maggiormente su altri settori, come quello delle partecipazioni in società non immobiliari e del recupero crediti.
Sarebbe dovuto ancora considerarsi il beneficio riveniente dalla vendita in massa in termini di riduzione dei tempi e dei costi di gestione della procedura, riduzione valutabile in 74 miliardi di lire circa.
Il prof. Picardi escluse che potesse giungersi a distribuire ai creditori chirografari una percentuale del 39/40% come ipotizzato dal comitato dei creditori, sia per un’incidenza minore della riduzione dei costi, sia perché l’eventuale compensazione tra partite (la c.d. depurazione del credito verso il MAF) sarebbe stata conseguibile in qualsiasi caso.
Rispetto al parere del creditore dissenziente, osservò che la detrazione dell’importo ricavato dalle precedenti dismissioni non avrebbe potuto avere l’incidenza temuta, potendosi invece ipotizzare in definitiva la distribuzione ai chirografari di una percentuale del 34%.
In ogni caso il prof. Picardi prospettò una serie di condizioni, destinate ad assicurare un concreto miglioramento della proposta .
In primo luogo si contestava che la cessione potesse aver ad oggetto tutti i beni esistenti alla data della domanda di concordato, con detrazione dei ricavi medio tempore realizzati, dovendosi almeno imputare ai ricavi lordi le spese generali e specifiche concernenti le singole operazioni ed escludere diritti e crediti sorti in corso di procedura oltre che attività non comprese nella stima iniziale.
Si prospettava l’opportunità di escludere i ricavi derivanti dall’attività di commercializzazione e intermediazione proseguita in costanza di procedura nonché i crediti verso le controllate per finanziamenti autorizzati dagli organi della procedura. Si faceva inoltre presente che la prima rata sarebbe dovuta essere pari a quanto necessario per pagare i creditori privilegiati.
Si ribadiva la necessità di regolare le situazioni in cui Federconsorzi aveva assunto la responsabilità ex art. 2362 cc quale unico azionista e di prestare attenzione alle vendite già disposte ma non ancora eseguite.
Da ultimo si segnalava il caso delle gestioni per conto dello Stato, meritevoli di apposito accordo.
11.4 - Il Collegio, preso atto dei vari pronunciamenti, fissava all’avv. Casella il termine del 4-3-1993 per l’inoltro della proposta definitiva. Ed in effetti in data 3-3-1993 l’avv. Casella inviò agli organi della procedura una proposta “ferma” per 30 giorni a nome degli aderenti all’iniziativa . Di fatto veniva ribadita la precedente offerta del 28-1-1993, rilevandosi da parte dell’avv. Casella che in quei limiti era contenuto il mandato rilasciatogli. Il predetto tuttavia considerava conforme allo spirito della proposta l’esclusione dalla cessione di azioni, diritti e crediti sorti in corso di procedura e attività non oggetto della stima, ribadiva l’impegno assunto nel corso dell’udienza del 5-2-1993 a concorrere all’esodo incentivato del personale e ad assumere 60/70 unità con contratto a tempo determinato per le esigenze della liquidazione, prospettava la possibilità di un accordo relativo alle situazioni di responsabilità ex art. 2362 cc e manifestava la disponibilità ad assicurare vantaggiose forme di finanziamento attraverso anticipazioni alla procedura, così da mantenere il livello di liquidità.
Seguirono incontri tra gli organi della procedura e le rappresentanze sindacali, finché con decreto del 23-3-1993 , depositato il 26-3-1993, il Tribunale di Roma, composto ancora una volta dal Presidente Greco e dai giudici Celotti e De Vitis, si determinò. Il decreto, tanto atteso, autorizzava la vendita in massa. Ribadito quanto già osservato nella sentenza di omologa, si precisava che la prospettata eventualità di una gara sarebbe dovuta considerarsi superata, atteso che a distanza di tempo nessuna diversa proposta era stata avanzata. Si rilevava inoltre che il contesto in cui la liquidazione si sarebbe dovuta realizzare, caratterizzato da incertezze sul piano politico ed economico e da progressiva recessione, con debolezza della moneta e blocco del mercato dei beni rifugio, impediva di formulare previsioni attendibili di realizzo del patrimonio Fedit, da proiettarsi comunque su tempi lunghi. Nel frattempo vi sarebbe stato il rischio che il patrimonio subisse un depauperamento. D’altro canto la liquidazione aveva esigenze di celerità proprio allo scopo di impedire quel depauperamento.
Da una disamina delle principali categorie di cespiti risultava che le partecipazioni in molte società erano assai onerose e di difficile realizzo, essendone risultata impossibile la vendita, pur tentata negli ultimi mesi; che di non facile alienazione erano altresì le partecipazioni in società quotate; che i cespiti immobiliari si trovavano a subire una particolare situazione di mercato, caratterizzato da un blocco pressoché totale, dovuto a mancanza di liquidità, a maggiori oneri fiscali, a minor potere di acquisto dei possibili acquirenti.; che i crediti apparivano in molti casi di difficile recupero o addirittura irrealizzabili.
Le spese di gestione erano destinate ad accrescersi in misura notevole in dipendenza del prolungarsi dei tempi di liquidazione. La situazione di incertezza circa la concreta possibilità di realizzo del patrimonio anche al più prudente valore stimato valeva dunque a colmare il gap con il prezzo offerto. Nulla rilevava che i promotori potessero in concreto realizzare un profitto, essendo anzi plausibile che un siffatto obiettivo fosse specificamente perseguito al fine di ridurre la falcidia concordataria.
Del resto la vendita in massa risultava richiesta sia dai creditori che dalle organizzazioni sindacali, essendo idonea ad assicurare alcuni vantaggi, quali il soddisfacimento del credito in tempi brevi, la riduzione delle spese di gestione, l’incentivazione dell’esodo dei lavoratori, la cessazione dei finanziamenti alle controllate.
Nessun vulnus alla par condicio creditorum sarebbe potuto derivare dalla vendita in blocco, poiché tutti i creditori avrebbero comunque concorso al riparto del ricavato e l’eventuale maggior introito dei soci avrebbe costituito il compenso del conferimento in denaro operato per far parte della società.
Seguiva poi il rilievo della non sufficiente determinatezza dell’offerta, peraltro a sua volta non proveniente da soggetto determinato. In particolare la genericità di alcuni punti avrebbe potuto rendere l’offerta inaccoglibile o quei punti inesistenti.
Era però indubitabile la buona fede dei proponenti, di talché le lacune riscontrabili sarebbero potute e dovute colmarsi dallo stesso Tribunale con la consapevolezza che i soggetti aderenti all’iniziativa avrebbero certamente rispettato gli obblighi imposti. In tale quadro si segnalava la questione del numero dei dipendenti da assumere, che il Tribunale determinava in 70; quella dell’incentivazione all’esodo, che la procedura non avrebbe potuto sostenere e che veniva rimessa alla prassi e alla ragionevolezza, intesa come criterio sufficientemente determinato per protagonisti dell’economia nazionale; ed ancora quella della responsabilità ex art. 2362 cc, per la quale si auspicava l’assunzione di un impegno ragionevole ma concreto, avente l’effetto di ridurre le conseguenze dannose per la procedura.
In definitiva l’autorizzazione alla vendita in massa veniva accompagnata da alcune prescrizioni, quali quelle che la nuova società si costituisse entro venti giorni, che procedesse all’acquisto in più atti, il primo dei quali riguardante le partecipazioni in società non quotate e non bancarie da stipularsi entro 30 giorni e gli altri secondo le disponibilità delle parti e nei tempi fissati dal giudice delegato; che la corresponsione della prima rata, pari al 15% avvenisse in rapporto ai beni ceduti, secondo una proporzione calcolata in relazione al valore dei beni attribuito inizialmente dal commissario giudiziale; che le detrazioni per il valore dei beni già alienati fossero calcolate al netto delle spese sostenute da Federconsorzi e dalla procedura; che la nuova società assumesse 70 unità di personale e iniziasse le trattative per la determinazione delle modalità dell’incentivazione all’esodo; che fossero escluse dalla cessione le attività non considerate nella relazione particolareggiata come le azioni di responsabilità o di danni già promosse o da promuovere e i crediti sorti in corso di procedura verso società controllate per finanziamenti derivanti dai primi realizzi.