Filosofia

Giovanni Marchesini Prefazione ../ ../Opere filosofiche IncludiIntestazione 10 aprile 2011 100% Filosofia

Scritti vari Opere filosofiche

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PREFAZIONE


I.

L’opera di R. Ardigò come pensatore non si esaurisce negli undici volumi delle Opere filosofiche, ma si espande in più vie e si moltiplica in forme svariate, nelle Polemiche e nei Discorsi d’occasione, in articoli e nei giudizi o pensieri da lui sparsi nei periodici per condiscendere alle frequenti preghiere. Buono com’era non seppe mai, celebrandosi un avvenimento o una data importante o uno dei nostri geni, oppure incalzando un determinato problema d’interesse pubblico, rifiutare la propria collaborazione anche se l’età grave e gli acciacchi non gli consentivano di scrivere che poche righe. E in un uomo come Ardigò, la cui vita fu un continuo travaglio intellettuale e assidua meditazione, hanno un singolare valore pur le espressioni in apparenza modeste della sua mente, nelle quali l’altezza della ispirazione o la sagacia dell’argomento gareggia con la nobiltà del sentire in ogni ordine d’idee, cioè tanto in quello speculativo quanto in quello pratico (voglio dire politico, sociale, morale e religioso). [p. 2 modifica]Principalmente le caratteristiche della sua personalità spirituale si rivelavano nelle Lettere che ho qui riprodotte per documentare, fra l’altro, il processo della sua conversione e, insieme con la fortezza del carattere, l’incomparabile sua tenerezza verso Mons. Martini, l’angelo di Belfiore.

Ma l’Ardigò fu anche ingegno versatile, e n’è una prova l’abilità tecnica dimostrata nello studio ampio e nel piano da lui allestito e pubblicato per il risanamento della città di Mantova, la città del suo cuore (così egli la chiamava), come anche la molteplicità dei progetti edilizi nel disegno dei quali trovava ristoro dagli studi filosofici. Meritano però d’essere segnalati anche i suoi Versi, e specialmente la traduzione di venti canti del Buch der Lieder di E. Heine, compresi nella presente raccolta.

II.

Tutta questa svariata materia, edita o inedita, in cui vibrano le note più alte dello spirito umano, fu messa insieme e trascritta con molta pazienza, in ordine prevalentemente cronologico, dallo stesso Ardigò, che le dava il titolo inadeguato di Quisquilie. Premetteva la seguente Avvertenza:

«Nell’ultimo periodo della mia vita ho pensato, come per un esame di coscienza, di raccogliere, per quanto mi fu possibile, in questa silloge di Quisquilie, tutto ciò che, fuori dei lavori filosofici, pedagogici e sul risanamento di Mantova, qua e là, in occasioni e in epoche diverse, ho messo fuori, incominciandolo dall’anno 1867, che fu il primo nel quale un mio scritto si stampasse. [p. 3 modifica]Se, trovando questo manoscritto, che lascio morendo, qualcheduno per caso lo scorresse e ne rilevasse che il mio pensiero e il mio sentimento, dai precedenti agli ultimi anni della mia abbastanza lunga vita, soffrirono alterazioni od oscillazioni, lo attribuisca alla logica delle riflessioni alle quali mi trovai condotto nelle diverse epoche e nelle diverse occasioni; e non creda che io mai mi infingessi e non manifestassi sinceramente e senza reticenze quanto la coscienza mi dettava.»

In realtà io, a cui egli benevolmente lasciava, con le altre cose sue più care, questo manoscritto, con la facoltà di darlo alle stampe, non vi trovo alcuna incoerenza vera e propria, non potendosi giudicare tale l’atteggiamento che verso la teologia Ardigò dimostrava nel 1867, disputando intorno alla Confessione, e dopo svestito l’abito talare. Ai principî della vita religiosa egli mantenne fede inalterata e profonda fino a che non s’accorse che contrastavano inconciliabilmente con quelli filosofici che si erano in lui, nello studio, a poco a poco maturati; e fu di fatto, prima della crisi, per comune attestazione, un sacerdote esemplare. D’altra parte lo scritto polemico circa la Confessione (nel quale, come nelle rimanenti Polemiche, è ammirevole, oltre alla dottrina, il poderoso nerbo dialettico) verte sopratutto su di una questione storica. L’assunto infatti è questo: La Confessione segreta nella Chiesa c’è sempre stata, e sempre fu raccomandata e dichiarata necessaria. [p. 4 modifica]

III.

Nella polemica sulla Confessione svoltasi (è notevole) nel giornale politico di Mantova La Favilla, Ardigò difende i teologi romani accusati dal sign. Eugenio Pettoello, mediante citazioni storiche inesatte, d’«impostura e d’illogicità».

Quando poi il Pettoello, non sentendosi la forza di replicare alla lunga risposta dell’Ardigò rigorosamente documentata, ricorse all’ausilio del provetto teologo protestante Luigi De Sanctis, Ardigò ebbe pure buon giuoco poichè potè dimostrare come anch’egli falsasse e mutilasse i passi che riportava. Ma se la questione si manteneva nei suoi naturali confini storici, non manca tuttavia, fra le osservazioni critiche dell’Ardigò, qualche importante accenno a problemi d’ordine più generale, come all’infallibilità del Papa (richiamata nella Pol. III), alla persecuzione degli eretici e all’Inquisizione, che Ardigò deplora mentre ne dà una interpretazione finemente giudiziosa.

Nella seconda polemica del 1872, del pari interessantissima, il vescovo di Mantova Mons. Rota non figura nel suo giornale Il Vessillo cattolico se non indirettamente; ma ben sapeva, l’Ardigò, che da lui era ispirato il dialogo fra il filosofo e un ignorante col quale mediante «buffonate», com’egli dice, più che con serie argomentazioni, si combatteva l’autore della Filosofia positiva. Quest’opera era già nota da due anni, per essere stata letta dall’Ardigò nelle tornate 8 e 22 Maggio e 12 Giugno 1870 dell’Accademia Virgiliana di Mantova, e fu pubblicata la prima volta (come introduzione a un lavoro più esteso) in volume, [p. 5 modifica]pure in Mantova, l’anno medesimo. Come si può immaginare la polemica verte sui principî fondamentali ivi espressi, del Positivismo, e specialmente sulla natura dell’anima e del soggetto, sulla cognizione e la certezza, sul fondamento della Morale; e Ardigò non avea torto — come si vedrà leggendo — di richiamare il Rota, nel corso della discussione, al Vangelo e alla lealtà.

Un particolare interesse per la ricostruzione della vita e la delineazione del carattere dell’Ardigò presenta la Pol. III, contro la Gazzetta dell’Emilia (1883). L’Ardigò si difese assai brillantemente nella Gazzetta di Mantova contro l’accusa ivi lanciatagli, evidentemente per puro odio di parte, di «liberale dell’ultima ora» e «reazionario»; e dimostrò, quanto all’infallibilità del Papa, com’egli abbia seguito fino da principio quello ch’egli chiama «l’istinto della razionalizzazione del suo pensiero»; nè gli poteva riuscire difficile di addurre le prove del suo «liberalismo risoluto, notorio, ardente e battagliero» professato fino dalla giovinezza.

Del medesimo spirito liberale è testimonianza la Pol. IV, del 1903, contro la Massoneria. Egli avea dichiarato, e sostenne poi rigorosamente, che la Massoneria in uno Stato libero è un non senso; e che a combattere l’oscurantismo è più efficace l’opera indefessa ed aperta di educazione e di elevazione civile che non l’opera tenebrosa e nascosta di una setta; e che coll’esistenza di questa la gran massa popolare non può che perdere la fiducia nella giustizia pubblica del proprio paese, nell’idea che la massoneria sia poi in fine un’associazione d’interesse pei soci a danno di quelli che non vi appartengono. Questa coraggiosa dichiarazione gli fruttava, com’egli [p. 6 modifica]disse, una nuova... scomunica; ma «è fortuna per me» — soggiungeva — «che alle scomuniche sono avvezzo, e nulla temo perchè nulla spero».

Ardigò rivendica infine nella Pol. IV (1904) la priorità e originalità della sua dottrina sull’impulsività dell’idea in confronto con quella delle idee-forze del Fouillée.

IV.

Eloquente e ricco non solo di rappresentazioni storiche ma di contenuto etico è specialmente il secondo dei due discorsi tenuti dall’Ardigò negli anni 1882 e 1883 intorno alla figura di Garibaldi in piazza Sordello a Mantova, esaltandosi, sotto gli auspicî dell’Eroe, «la fede operosa nel bene» come il grande segreto dell’avvenire della Nazione.

Fra gli Articoli è veramente squisito quello con cui s’inizia la serie su le ancelle della Carità, che traendo motivo da una questione locale propugna il principio che la carità è essenzialmente umana e si sostiene quindi e si educa all’infuori d’ogni legame religioso. Hanno pure un contenuto etico gli articoli seguenti: 4° La gerarchia dei godimenti; 5° La libertà del sentimento religioso; 6° L’unità internazionale; 9° Divisi dalle religioni la scienza ci riunirà; 10° Il dolore morale nella società; 12° La breccia di Porta Pia; 13° Il significato morale del XX Settembre. L’articolo 3° delinea in brevi tratti il vero cultore della scienza. Alla Psicologia appartengono l’articolo 11°, La polarizzazione del lavoro mentale; il 14° Le immagini rovesciate; il 16° La formazione inconscia delle convinzioni, e il 17°, che è una recensione critica di un articolo dell’Herzen sulla condizione fisica della [p. 7 modifica]coscienza 1. Importantissimo per la psicologia, dirò così, dello studio, e per l’arte del pensare è lo scritto Il metodo del lavoro intellettuale di R. Ardigò.

Un contributo cospicuo alla Pedagogia è rappresentato dagli art. 2° I programmi e l’ordinamento dell’insegnamento; 7° La filosofia nell’Università; 8° La scuola classica e la filosofia. A questi tre articoli possiamo aggiungere, per il genere del contenuto, le lettere successivamente riprodotte ai numeri 10 e 11, che riguardano l’una l’opera dei professori universitari, e l’altra l’insegnamento religioso nelle scuole dello Stato.

Delle Lettere sono commoventissime quelle dell’Ardigò al Martini segnate con i numeri 2, 4, 5, alle quali ho accennato anche più sopra; e a comprendere ancor meglio quanta fosse la venerazione dell’Ardigò per l’Uomo che l’avea assistito in ogni momento della sua vita con amore paterno, come anche a dare un’altra prova del rispetto sempre manifestato dall’Ardigò verso il sentimento religioso quando sia nobile e sincero, ho creduto opportuno riportare la lettera con cui l’Ardigò descrive la religiosità di Mons. Martini (n. 6). Nella stessa serie delle Lettere ho compreso la polemica relativa al Pellegrinaggio alla tomba di Vittorio Emanuele in Roma (n. 7); e a convalidare l’impressione che essa suscita in chi legge, non ho stimato inutile citare in nota il giudizio del Luzio. Lo spirito d’indipendenza [p. 8 modifica]dell’Ardigò emerge, fra l’altro, sia dalla nota 2a (Ardigò era un crispino?), sia dalla lettera 8a con cui Ardigò rifiutava la candidatura offertagli a Mantova; e quanto amasse questa sua Città è provato anche dalla lettera 9a.

Seguono i Giudizi semplici e meditati che Ardigò ebbe occasione di scrivere intorno a G. Trezza e la Chiesa, G. Bruno, G. Mazzini, G. Bovio, Leone XIII.

I Pensieri si possono classificare così:

a) Filosofici; 4° Le idee alla moda; 5° Il Vero e l’influenza dei sentimenti; 7° Nascere e morire; 8° Idee e sentimenti; 10° La natura malefica; 14° La filosofia del Bergson; 15° L’individuo; 16° Fede e filosofia; 18° Il materialismo storico; 19° Il disprezzo della filosofia; 23° Astruserie esotiche; 24° Filosofia vagabonda.

b) Morali: 3° Il conforto delle idealità; 6° La costrizione del pensiero; 9° La vendetta; 12° L’apostata; 13° La responsabilità dei mali sociali; 17° La tolleranza delle sventure; 21° Vita e amore; 22° Vanità e disonestà.

c) Politici: 1° Partito e libertà; 11° La fratellanza universale; 20° Retorica e libertà.

d) Pedagogici: 2° L’ufficio dell’educatore.

Uno Scherzo in un’ora allegra in dialetto mantovano e tradotto in versi italiani, si legge con gusto. Di fatto Ardigò era in compagnia degli amici uomo gioviale, e lo scherzo gli piaceva. I Canti del Buch der Lieder dell’Heine tradotti dall’Ardigò con infinita cura sono, per giudizio dei più competenti, veramente riusciti.

Ragioni di spazio non hanno concesso di comprendere in questa raccolta di Scritti varî i due ultimi lavori [p. 9 modifica]dell’Ardigò Natura naturans e L’idealismo e la Scienza dei quali il primo fu scritto in parte nel 1917 a Padova e terminato nel 1918 a Mantova, e il secondo fu compilato con grande stento in quest’ultima città successivamente. Alla loro pubblicazione (ed. Mondadori) concorse gentilmente il Comune di Mantova. Raccolgono in sè alcune delle direttive supreme del pensiero filosofico dell’Ardigò, e sono gli ultimi baleni della sua genialità, confermando in pari tempo la coerenza sistematica da lui saldamente consacrata fino alla decrepitezza, tanto travagliata dalla lunga aspra malattia nervosa che lo condusse alla tomba.

V.

Della Vita e del Pensiero di R. Ardigò io trattai diffusamente nel volume pubblicato con questo titolo nel 1907 (Milano, Hoepli); e poichè è da parecchi mesi esaurito, ho creduto opportuno ricomporlo con nuovi criterî, anche per ricostruire con ampiezza critica il Positivismo o Naturalismo umanistico dell’Ardigò. Uscirà infatti prossimamente per i medesimi tipi in cui escono i presenti Scritti col titolo: R. Ardigò: l’Uomo e l’Umanista. Qui pertanto, a dare di questi Scritti una visione più illuminata, mi limiterò a tracciare della vita dell’Ardigò le linee maggiori; e quanto alle Opere indicherò i soggetti contenuti negli undici volumi. Si deve aggiungere la Scienza dell’educazione, opera pubblicata a parte in più edizioni (Padova, Drucker).

Ardigò nacque primo di cinque fratelli a Casteldidone, nella provincia di Cremona, il 28 Gennaio del 1828 da genitori rimasti poverissimi quand’egli era ancor bambino. [p. 10 modifica]All’età di otto anni fu condotto a Mantova dove avea dovuto andare suo padre per guadagnarsi da vivere lavorando in una fabbrica di paste alimentari. Studiò alle scuole pubbliche di Mantova fino all’anno 1845 e poi in quel Seminario. Ordinato prete nel 1850, fu addetto all’istruzione, prima nello stesso Seminario, poi, dal 1856, nelle Scuole pubbliche del Ginnasio e successivamente del Liceo (per varî insegnamenti, e poi per la sola filosofia), e, dal 1870, pure nell’Istituto tecnico per la lingua tedesca. Depose l’abito ecclesiastico il 10 aprile 1871; e al principio del 1881 fu nominato professore di Storia della filosofia all’Università di Padova. Continuò con molta solerzia nel suo insegnamento fino al 1909, nel quale anno ottenne il collocamento a riposo. La pietà degli amici di Padova e di Mantova lo indusse nel Febbraio del 1919 a lasciarsi trasportare, malato, a Mantova, non essendo in grado di sopportare più a lungo il martirio inflitto a Padova dai nemici tedeschi con le incursioni aeree. Nella città che amorevolmente l’ospitava, dopo sofferenze che Io tormentavano assai crudamente da tre anni, cessava di vivere il 15 Settembre 1920.

Volle egli stesso che sulla sua tomba fosse posta questa iscrizione:

QUI GIACE
ROBERTO ARDIGÒ
NATO IL 28 GENNAIO 1828 MORTO IL 15 SETTEMBRE 1920
DOPO UNA VITA INTERAMENTE DEDICATA
ALLA SCIENZA ALLA SCUOLA

Padova, ottobre 1920,

Giovanni Marchesini

Note

  1. Sotto il titolo Quisquilie Ardigò avea raccolte anche le numerose recensioni da lui pubblicate, dei lavori di filosofia italiani, nell’Archiv für systematische philosophie (1895 ); ma per ragioni perentorie di economia di spazio ho dovuto escluderle da questi Scritti, con molti altri discorsi, articoli, giudizi e pensieri, epigrafi, dell’Ardigò stesso.