Scritti vari (Ardigò)/Polemiche/La psicologia positiva e i problemi della filosofia/Dialogo I

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Polemiche - La psicologia positiva e i problemi della filosofia Polemiche - Dialogo II
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Dialogo l. - Il filosofo e un ignorante.


Ignorante — Che cosa è mai questa Psicologia positiva, questa nuova scoperta? È forse troppa la mia temerità nel farvi, Signor Filosofo, una tale domanda; ma che volete? Noi ignoranti abbiamo bisogno di essere ammaestrati, e a chi dobbiamo rivolgerci se non a chi è maestro non solo di quelli che non sanno, ma anche di color che sanno?

Filosofo — Eccomi a servirvi: sapete voi che cosa siano, sostanza, causa, legge, tre parole abusate finora da filosofi, senza conoscerne il senso?

Ignorante — Perdonate, Signor Filosofo; ma voi cominciate da cose troppo alte! E poi io sono venuto per imparare, non per dare saggio della mia bravura. Basta; risponderò così alla meglio e come mi suggerisce il mio corto ingegno. Veggo, p. es. un libro, bianco o rosso, scritto o stampato, grosso o piccolo, bello o brutto, ecc., e dico: queste sono qualità, le quali poggiano sopra un certo chè, che sottostà loro, e che io chiamo sostanza.

Filosofo — Vi sbagliate, mio caro. Ciò che chiamate [p. 86 modifica]sostanza, non è che una accidentalità, è la coesistenza delle qualità enumerate, oggettivate.

Ignorante — Vorrà dire che quelle qualità stanno come accampate in aria, e la sostanza è un sogno della mia mente, una fantasima. Ho fatto fin da principio un bel guadagno e con me tutte le scienze! La causa poi mi pare che sia un certo chè, che dotato di certa forza produce un altro chè, che chiamasi effetto. P. e. io alzo il bastone, e vi aggiusto un buon colpo sulle spalle (senza sostanza però, poichè la sostanza del bastone non c’è, ma è una semplice astrazione della mia mente passata per mezzo delle qualità coesistenti nella vostra). Voi dite di provare un dolore, un dolore che ritenete cagionato dal colpo del bastone. Questo dunque è causa di quello: mi spiegai bene?

Filosofo — No, caro mio. L’idea di causa non è che l’astrazione de’ fenomeni, appresi come succedentisi l’uno all’altro.

Ignorante — Bene! Meglio! Come p. e. è venuto l’eclissi, e dopo l’eclissi Gianantonio morì: dunque l’eclissi è stata causa della morte di Gianantonio.

Filosofo — Cioè si crede così dagli sciocchi in forza d’un vecchio pregiudizio; e così pure anche da quelli che si appellano filosofi, per riguardo a tutti quei fenomeni che non hanno altro legame tra loro che il succedersi gli uni agli altri, e per questo si chiamano cause ed effetti.

Ignorante — E così se un assassino che colpì un viandante con una trombonata, si vorrà condannarlo come causa dell’omicidio, costui si potrà sempre scusare col dire che la sua trombonata non fu causa della morte del viandante, ma che solo la precedette. Che l’assassino si lagnasse col giudice, perchè lo condanna alla morte, anche il giudice potrebbe scusarsi col dire che non è la sua sentenza causa della di lui morte, ma solo una fatale combinazione che la sentenza preceda l’operazione dei boja. Anche questa non la sapeva! Adesso devo spiegare la legge al modo mio, cioè da ignorante, e quindi sono proprio imbrogliato. Mi spiegherò con un esempio. Prima che si inventassero, [p. 87 modifica]i cannoni non si usavano: lo ammetteva anche la vostra filosofia. Dopo che sono stati inventati si è scoperto che scaricandoli contro un muro lo rompono, lo fracassano, lo atterrano. Dunque ogniqualvolta una palla di cannone sarà scagliata contro una fortezza, se non al primo colpo, almeno al centesimo o al millesimo la fracasserà; ossia quando in generale un corpo è gettato contro un altro, lo urta, e se ha abbastanza forza, lo smuove, o fa qualche altro diavolio: e questa conclusione io la chiamo legge. Quei professoroni, che sanno tutti i segreti della natura, ne sanno tante di queste leggi.

Filosofo — Errore, caro mio, errore. Qui non v’ha che somiglianza di fenomeni, e le supposte leggi, non sono che un’astrazione di fenomeni che somigliano.

Ignorante — Ma se non c’è legge alcuna non si saprà nemmeno se i fenomeni futuri somiglieranno ai passati, e quando si tratterà di pigliare p. e. una fortezza, il Generalissimo sarà molto imbrogliato a decidere se debba adoperare i cannoni e le bombe, perchè non vi è una legge che ne assicuri gli effetti. E se le bombe future invece di fracassare i tetti, come le antiche, si posassero leggermente sopra i comignoli delle case, come un fringuello si posa sopra un ramoscello...

Filosofo — Siete uno sciocco.

Ignorante — Lo so da un pezzo. Ma non conoscendosi una legge sull’urto dei corpi, potrebbe darsi che una bomba di ferro in un nuovo attacco facesse l’effetto di una pallottola di sughero. E allora come si fa?

Filosofo — Come si è sempre fatto. Qui si tratta di una spiegazione filosofica, che corregga gli errori di tutti i filosofi vecchi e nuovi...

Ignorante - Dunque niuno ha saputo nulla fino a voi, signor filosofo.

Filosofo — Certamente che la vecchia psicologia dei metafisici non è che un sistema di fatti immaginario ed assurdo che nulla spiega. Ora però, grazie alle mie scoperte potrete apprendere per prima lezione, «che la materia, [p. 88 modifica]che noi concepiamo come sostanza è causa dei fenomeni esterni; che lo spirito che concepiamo come sostanza e causa dei fenomeni interni; che Dio, che concepiamo come causa e legge dell’Universo, altro non sono che astrazioni della mente, alle quali per una volgare illusione attribuiamo una esistenza reale ed obiettiva».

Ignorante — Signor Filosofo, dalla prima lezione ho imparato anche troppo. Ho imparato che non esistono corpi, non esistono spiriti, non esiste Dio, ma che tutto è illusione volgare. Basta, basta, signor Filosofo. Per la prima volta, lo ripeto, me ne avete insegnate troppe.

NOTA. — Ecco l’ultimo risultato della filosofia positiva. Ammirate questi novelli filosofi, che vogliono regalarci sì belle dottrine.

(Dal N. 14, Mantova 4 agosto 1872, del giornale Il Vessillo Cattolico).


La filosofia positiva e il vescovo signor Rota.


Scrivo di volo un articolo in risposta ad un Dialogo del Vessillo Cattolico, n. 14, intitolato: La psicologia positiva e i problemi della filosofia. E (come faccio sempre immancabilmente ad ogni cosa che pubblico per le stampe) lo sottoscrivo. Così, se qualcheduno non ne rimarrà soddisfatto, saprà con chi pigliarsela.

E lo dirigo al signor vescovo Rota. Perchè, stampandosi il detto Vessillo infra i felici confini del suo regno del Seminario regolato provvidamente secondo la forma più perfetta della monarchia assoluta, anzi dispotica, e per suo ordine, nessuno, fuori di lui, può averne, neanco parzialmente, la responsabilità.

Noto da prima che il Dialogo in questione non nomina la persona a cui fa allusione. Ma che però non tralascia di addurre tutte le particolarità che sono necessarie affinchè ognuno, leggendo, richiami al pensiero [p. 89 modifica]mente la persona che vuol ferire. Il che giova allo scopo di poter colpire senza esporsi. Come si fa da chi insulta per istrada un passante, che crede pusillanime, e poi, se questo si ferma e mostra i denti, si ritira, soggiungendo: non dico con lei. Ma, signor Vescovo, sa ella che nome ha in italiano un simile contegno?

Noto in secondo luogo, che il Dialogo medesimo contiene un periodo virgolato. Perchè quelle virgole? Ecco il perchè. Il libro a cui si fa allusione, non contiene quel periodo; e di fatto non se ne cita la pagina; ma giova allo scopo del Dialogo, che si creda che vi sia; colle virgole poi se ne fa l’insinuazione; e se poi fosse domandata la ragione delle virgole è facile cavarsela con una scusa qualunque. Ma, signor vescovo, io qui domando di nuovo, come si chiama in morale un procedere come questo?

Il Vangelo dice: Guarda quello che uno fa, e saprai chi è. Che si desse mo il caso, forse assai strano per qualcheduno, che il Vangelo premesse ad un positivista e seccasse ad un vescovo? Sì, si dà. In qualche altra occasione ho sentito il bisogno, parlando col signor vescovo Rota, di appellarmi al Vangelo, e di ricordarglielo; ma mi sono accorto che i miei argomenti non erano ad hominem e non avevano forza, essendo egli vescovo, non della morale evangelica, ma della sillabica.

Ma torniamo all’argomento. C’era un libro a cui, per amore o per forza, bisognava rispondere. Lo esigeva l’onore dell’armi. S’era anche troppo indugiato, e lo scandalo del silenzio doveva essere tolto ad ogni costo. Ma come fare?

Due erano le vie che si potevano seguire. Una difficile assai, ma leale, eventualmente più efficace, in ogni caso sempre utile alla verità, cioè l’analisi e la discussione scientifica degli argomenti del libro, uno per uno. Ed un’altra di gran lunga più facile, ma ignobile, senza profitto della scienza, e buona solo, al più, per darla ad intendere a quella povera marmaglia che pende dalle parole del Vessillo. [p. 90 modifica]Ora il signor Rota ha fatto il contrario di quello che doveva fare un vescovo ed un sapiente. Chè per tale ha inteso di darsi, quando s’è chiamato nel Dialogo l'Ignorante. Ha scelto la via ignobile, invece della nobile; e le buffonate invece delle argomentazioni scientifiche.

Ma come? Dopo avere, nello stesso numero del Vessillo, riportato l’articolo di Filippo Moriconi, intitolato: il clero cattolico e la scienza, smentirlo nella medesima pagina col confessare indirettamente di non avere a propria disposizione quegli scienziati poderosissimi che, al dire dello stesso, abbondano tanto nelle file de’ suoi dipendenti?

Ammirabili codesti sillabici! Se cresce, a loro insaputa e loro malgrado, qualche bravo uomo fra di essi, subito, appena lo fiutano, se ne allarmano, come di un nemico pericoloso. Si mettono a perseguitarlo, dichiarano le sue dottrine false e malefiche, ne mettono all’indice i libri, e fanno dei concilii per condannare le scoperte scientifiche, anche quelle che sono evidenti come la luce del sole. Il Rosmini ed il Ventura, che il Moriconi ha avuto il coraggio di citare nell’articolo sopraddetto, ne sono, essi stessi, una prova recente. Se poi viene qualcheduno e dire: — Voi siete nemici della scienza — non hanno vergogna di farsi belli dell’ingegno, della dottrina, delle scoperte di questi stessi che odiano, perseguitano e condannano. Era un bravo uomo il Rosmini? E perchè mo’ voi, tanto amici della scienza, non l’avete fatto cardinale, lui che si distingueva poi anche tanto per la vita morale e religiosa? Forse perchè ce n’erano dei più bravi di lui? Ma allora perchè il Moriconi non li ha nominati questi altri, ancor più bravi del Rosmini, nel suo articolo? E perchè mo’ recentemente, quando sono stati nominati tanti vescovi, si sono dimenticati gli uomini più eminenti, oltrechè per religiosità, anche, e sopratutto, per scienza? Se non perchè la chiesa sillabica la scienza non l’ama, e i più bravi li considera, come ha detto molto sinceramente [p. 91 modifica]monsignor de Merode, buoni pel paradiso e non per farne dei vescovi?

E di questo spirito è poi una prova evidentissima il contegno di monsignor Rota. Nel clero mantovano ci sono dei preti, oltrechè buoni, anche forniti di mente e di cultura scientifica distinta. Ma ciò non costituisce un merito pel detto monsignore. Anzi si può asserire, senza timore di sbagliare, che la sua benevolenza pei preti della sua diocesi è precisamente, fino alla frazione, in ragione inversa della evangelicità dei sentimenti, e della cultura scientifica.

Come diceva dunque, non sentendosi in caso il signor Rota, e i membri del suo senato scientifico, neanco viribus unitis, di argomentare contro il libro, hanno scelto di assalirlo colle buffonate.

Ma nel farlo non hanno pensato una cosa. Non hanno pensato che un assalitore poco abile corre il rischio che l’assalito gli strappi l’armi dalle mani, e le rivolga fatalmente contro di lui.

Io, secondo il Dialogo Rotiano, chiamo la materia, la sostanza, ecc., ecc., astrazioni della mente. Il che dà luogo alla seguente furbissima tirata finale: Basta, basta, signor filosofo. Per la prima volta me ne avete insegnate troppe. Ecco l’ultimo risultato della filosofia positiva. Ammirate questi novelli filosofi, che vogliono regalarci sì belle dottrine!

Ma, signor vescovo illustrissimo, se il mio pensiero della materia, della sostanza, ecc., ecc., non è una astrazione della mente, che cosa è dunque? Scusate la mia dabbenaggine. Un piccolo schiarimento basterà a metterci d’accordo.

Quando penso, per esempio, alle corna, io dico, che nella mia mente non c’è nessuna cosa d’osso, ma solo una astrazione mentale; e che le cose d’osso, dette corna, bisogna, per trovarle, andarle a cercare sulle teste de’ buoi, e di quelle altre bestie che le portano. E nel dir ciò credo di dir giusto. Credo fermamente che, se anche mi sottoponessi ad una visita, e, se volete, perfino [p. 92 modifica]all’autopsia, (a suo tempo, s’intende) non mi si troverebbe il tempio, ancora abbastanza ben chiomato, quantunque già un po’ grigio, della mia ragione deturpato da quegli ornamenti belluini. Questo lo dico di me, e lo dico sul serio. Ma sarebbe possibile che io generalizzassi troppo? Poichè il signor vescovo Rota non vuole saperne di astrazioni mentali, ed esige che il pensiero si identifichi colla realtà stessa della cosa pensata, bisogna dire che egli abbia dei fatti in contrario alla mia povera opinione, e che qualcheduno, del quale egli, prima e meglio di ogni altro, possa fare testimonianza nella parte più augusta della sua persona, si senta veramente, quando parla di corna, non una semplice astrazione mentale, ma proprio una realtà palpabile e visibile, proprio una corona indecorosa ed oscena.

È così? Ebbene, io non mi oppongo: e così sia. Ancora però sarei da scusare, se, stabilendo la regola, non ho tenuto conto della eccezione, a motivo della sua estrema rarità.

Prof. Roberto Ardigò


(Dal numero dell’8 agosto 1872 del giornale La Provincia di Mantova)