Scritti vari (Ardigò)/Lettere/7
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7.
A Mantova io era stato invitato, insieme con altre persone di parte liberale che avevano accettato, di far parte di un comitato promotore di un pellegrinaggio alla tomba di Vittorio Emanuele a Roma. E io aveva accettato nel senso del significato patriotico della cosa, pur dichiarando che io non avrei potuto unirmi agli altri nel viaggio.
Il pellegrinaggio però non andava ai versi a molti scalmanati rivoluzionari, che si erano immaginati che io la pensassi come loro, e quindi sconfessassi la mia fede politico-sociale colla suddetta adesione. E così si espressero privatamente e pubblicamente colle più fiere invettive al mio indirizzo. Di qui l’occasione per le lettere che seguono.
Riceviamo e pubblichiamo la seguente dichiarazione del prof. Ardigò:
Un pugno di sconsigliati mi intima di ritirarmi dalla commissione pel pellegrinaggio; e con piglio di minaccia.
Imbelle minaccia!
Signori: nè da Voi nè da chicchessia nulla mai ho sperato o temuto.
Nelle mie azioni seguo solo il dettame della mia coscienza: e non le ragioni dei partiti: massime di quelli dai quali il nostro paese non può aspettarsi che danno e vergogna.
Ieri, perchè tornava loro conto di farmi passare per uno dei loro, che non sono mai stato (e lo sanno o devono saperlo), mi proclamarono, con lodi che mi facevano schifo, il loro maestro: e ciò senza intendermi o intendendomi a rovescio. Oggi, perchè non mi trovano pronto a prostituirmi alle loro mire parricide, vogliono pigliarmi per un orecchio perchè ascolti e impari la lezione che (molto ingenuamente) si arrogano di recitarmi. Oh! quanto ho ragione di dire con Orazio: Odi profanum vulgus et anceo!
Prof. Roberto Ardigò
(Gazzetta di Mantova, 29 novembre 1883).
L’ultima parola. Il Bacchiglione, giornale padovano democratico, non certo dei meno frementi, deplorò nel suo numero 335 che il prof. Ardigò fosse fatto segno ad ingiurie scurrili, sino a strappargli la nota dichiarazione, per la sua adesione al Pellegrinaggio: e fece notare come egli non poteva non aver dato «un alto significato a quella dimostraziome, che, se non altro, è una solenne protesta contro il Vaticanesimo».
(Non era quindi da prendersi sotto altra veste il suo passo, ma considerare quale importanza più universale il suo intervento sarà per dare a questa dimostrazione).
Il prof. Ardigò mandava immantinenti al giornale padovano la seguente importantissima lettera:
Padova, 4 dicembre 1883.
Ai miei amici del «Bacchiglione».
Carissimi. Venuto a Padova, leggo oggi nel vostro giornale del primo dicembre le parole da voi scritte sulla mia dichiarazione relativa al pellegrinaggio. Voi mi conoscete troppo bene perchè possiate ingannarvi sul mio conto; e quindi scriveste il vero. Ma il vero mi preme che lo conosciate, non solo genericamente, ma anche in modo concreto. E perciò vi scrivo la presente.
Come sapete fui amico di Alberto Mario; ne venero la memoria, e caldeggio con tutta l’anima quelle idee e quei sentimenti che ebbi comuni con lui. E conseguentemente avverso senza esitazione le basse fazioni anarchiche antisociali. Queste fazioni che naturalmente dileggiarono e dileggiano anche le idee e i sentimenti di Alberto Mario.
Tale mia avversione l’ho sempre espressa recisissimamente. Alcuni anni fa in una adunanza della Società della Eguaglianza sociale di Mantova ho parlato così: La sintesi delle vostre tendenze è l’odio, la sintesi delle mie è l’amore; perciò io non sono con voi. Chiamato quale testimonio nel processo pei fatti occorsi a Mantova nella commemorazione di Garibaldi del 1882, davanti al tribunale ho detto con tutta l’enfasi: Sono radicale, più radicale che nessuno immagini, ma riprovo le dimostrazioni deplorevoli di queste fazioni. Insomma in ogni occasione, in privato e in pubblico, ogni volta che si presentasse.
Ma si continuava a voler far credere alla mia solidarietà col socialismo antisociale di Mantova. Sicchè sentii il dovere di protestare più altamente che potessi alla prima occasione.
Sono invitato a far parte della Commissione mantovana pel pellegrinaggio. Per fin di bene lascio portare il mio nome dichiarando che lo faceva ravvisando nella tomba di Vittorio Emanuele al Pantheon un simbolo della nostra unità, e nel pellegrinaggio ad essa la celebrazione della rivendicazione di Roma all’Italia: e che non poteva intendere come in ciò non dovesse convenire ogni buon italiano, e rallegrarsi che si presentasse il caso di trovarsi concordi in un santo e salutare pensiero gli onesti di ogni partito.
Gli anarchici di Mantova no. E si avventano contro di me. Ecco l’occasione aspettata, io dissi. E pubblicai la Dichiarazione onde mostro il mio aborrimento per le loro perniciose idee. Quella dichiarazione che è un atto a lungo maturato e risolutamente eseguito; quella dichiarazione che ha il suo unico motivo nel sentimento del dovere; quella dichiarazione alla quale non toglierò nè muterò nemmeno una sillaba anche se mi costasse la vita.
Ecco, o carissimi, il concreto che conferma il vostro concetto generico del quale ho tanto da lodarvi.
Il vostro
Prof. Roberto Ardigò
Un altro po’ di predica.
La fazione anarchica antisociale, colpita gravemente dalla mia Dichiarazione, ha preso il capogiro: mi vuol morto e mi assalisce colle solite armi infelici del suo arsenale.
«Taci, che sei un Canonico, mi dicono. Vergognati della tua nuova diserzione. Come gli uomini che non hanno mai avuto convinzioni ti contraddici ancora obbrobriosamente».
Così l’imbelle minaccia ha avuto la sua imbelle esecuzione. Così, se due anni insorse contro di me la stampa italiana di un colore, oggi insorge quella di un altro; ed io ho la compiacenza invidiabile di sorridere tranquillamente, sicuro nella mia coscienza, in mezzo ai furori dell’una e dell’altra.
Povera gente! Io era un canonico; ed in pari tempo un galantuomo. Oggi non sono più canonico, sono galantuomo ancora. In questo modo galantuomo due volte valgo più che troppi che non lo furono mai nemmeno una volta sola.
Nuova diserzione? Contraddizione obbrobriosa? Povera gente! Sono sempre il medesimo. Speculativamente volli sempre il vero ad ogni costo e l’abbracciai sempre subito risolutamente appena l’ebbi trovato. Moralmente fui sempre lo stesso, fanciullo, adulto, vecchio, a volere solo le cose, che la coscienza mi dice che sono oneste, ad amare la patria più di me stesso, a volere la libertà, a volere la riabilitazione delle classi povere. E tutto ciò fuori e al di sopra dei meschini partiti, dai quali fui sempre orgogliosissimamente indipendente.
Ma a che dirlo? Poichè già lo sanno benissimo i miei malcapitati denigratori; e lo negano solo perchè non resta loro altra via per salvarsi dalla grave sentenza che piombò loro addosso, fuori di quella di ostentare pazzamente quelle menzogne.
Ho detto ad alta voce una verità indiscutibile da tutti conosciuta. Dicendola ad alta voce, ho soddisfatto al bisogno della coscienza pubblica, che si vorrebbe da pochi sciagurati infrenare con vili e ridicole minacce. Con questo so di avere compito un’opera buona, un’opera virtuosa. Un’opera che avrà infallibilmente effetti buoni. E anche sopra quelli de’ miei denigratori che non sono guasti del tutto e hanno ancora del vivo nel pensiero per potersi ricredere quandochesia, del vivo nel cuore per affrontare coraggiosamente quandochesia il fantasma pauroso della impopolarità che trattiene tanti dal confessare la verità conosciuta.
prof. R. Ardigò
E con ciò abbiamo finito: — l’ultima parola è detta. — Il prof. Ardigò esce trionfalmente dalla polemica — avendo saputo con piglio reciso troncar corto agli equivoci che cercavano dì alimentare e sfruttare a loro beneficio «le basse fazioni anarchiche» tra cui non c’è forse uno che abbia visto più in là del frontespizio de’ suoi libri su cui giuravano.
Fulminate dalla sua parola, quelle fazioni hanno tentato di aggredirlo con le vecchie e spuntate armi: — non hanno ottenuto che di strappare di mano al prof. Ardigò nuove e mortali percosse. Per l’atto nobilissimo compiuto di dovere, egli ha diritto non a maggior stima — che maggiore non si potrebbe — ma alla riconoscenza di tutti gli onesti, fra i quali gli sarà giunta gradita, come sincera e leale, la parola di avversari, che politicamente nulla sperano nè voglion da lui; e che anch’essi rivendicando un alto spirito e una vita senza rimprovero da ingiurie da trivio hanno compiuto un dovere e nulla più.
(Ancora Gazzetta di Mantova, 10 dicembre 1883).
A. Luzio