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252 | Scritti vari |
solo le cose, che la coscienza mi dice che sono oneste, ad amare la patria più di me stesso, a volere la libertà, a volere la riabilitazione delle classi povere. E tutto ciò fuori e al di sopra dei meschini partiti, dai quali fui sempre orgogliosissimamente indipendente.
Ma a che dirlo? Poichè già lo sanno benissimo i miei malcapitati denigratori; e lo negano solo perchè non resta loro altra via per salvarsi dalla grave sentenza che piombò loro addosso, fuori di quella di ostentare pazzamente quelle menzogne.
Ho detto ad alta voce una verità indiscutibile da tutti conosciuta. Dicendola ad alta voce, ho soddisfatto al bisogno della coscienza pubblica, che si vorrebbe da pochi sciagurati infrenare con vili e ridicole minacce. Con questo so di avere compito un’opera buona, un’opera virtuosa. Un’opera che avrà infallibilmente effetti buoni. E anche sopra quelli de’ miei denigratori che non sono guasti del tutto e hanno ancora del vivo nel pensiero per potersi ricredere quandochesia, del vivo nel cuore per affrontare coraggiosamente quandochesia il fantasma pauroso della impopolarità che trattiene tanti dal confessare la verità conosciuta.
prof. R. Ardigò
E con ciò abbiamo finito: — l’ultima parola è detta. — Il prof. Ardigò esce trionfalmente dalla polemica — avendo saputo con piglio reciso troncar corto agli equivoci che cercavano dì alimentare e sfruttare a loro beneficio «le basse fazioni anarchiche» tra cui non c’è forse uno che abbia visto più in là del frontespizio de’ suoi libri su cui giuravano.
Fulminate dalla sua parola, quelle fazioni hanno tentato di aggredirlo con le vecchie e spuntate armi: — non hanno ottenuto che di strappare di mano al prof. Ardigò nuove e mortali percosse. Per l’atto nobilissimo compiuto di dovere, egli ha diritto non a maggior stima — che maggiore non si potrebbe — ma alla riconoscenza di tutti