Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XI. - Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci/III. - Epicicli ed eccentri mobili

III. - Epicicli ed eccentri mobili

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III. EPICICLI ED ECCENTRI MOBILI.

8. La grande semplicità ed eleganza del nuovo sistema, per cui tutti i pianeti minori venivano assoggettati alla medesima condizione di circolare intorno al Sole, cuore dell’universo, e sede del principio animatore del mondo1, avrebbe dovuto essere un argomento potente in suo favore. Tuttavia esso non ebbe l’adesione delle due principali scuole filosofiche cioè degli Accademici e dei Peripatetici; e più tardi non ebbe neppure l’adesione degli Stoici, a non parlare degli Epicurei. Il far portare in giro intorno alla Terra i circoli descritti dai pianeti, come se quei circoli fossero in qualche modo connessi materialmente col Sole, non poteva entrare nelle idee dei discepoli di Platone. Ai discepoli d’Aristotele invece, per cui tutto il cielo era un grande e complicato meccanismo di sfere, una connessione materiale del Sole colle orbite dei pianeti poteva sembrare accettabile in massima; da loro non poteva invece ammettersi, che una sfera fosse intersecata da altre sfere, come qui avveniva della sfera del Sole, che intersecava quelle di Mercurio e di Venere. Quando poi, verso il 270, Beroso Caldeo [p. 127 modifica]venne a stabilirsi in Coo, portando in Grecia le dottrine dell’astrologia giudiziaria, non poteva trovar favore presso gli adepti della nuova scienza un sistema, in cui si turbava l’ordine concentrico delle sette sfere, e dei sette astri dominatori degli umani eventi; ordine che fu adottato anche dagli Stoici, e ritenuto come il più antico ed il più vero anche da Ipparco e da Tolomeo. Anzi allora si presentò il problema di spiegare le anomalie dei moti planetari senza turbare l’ordine predetto, e senza sconvolgere i principi fondamentali dell’astrologia.

Inoltre, secondo le idee geometriche del tempo, il sistema presentava un difetto d’omogeneità. I circoli descritti da Mercurio e da Venere intorno al Sole erano tutti intieri da una parte della Terra, mentre quelli descritti da Marte, Giove e Saturno comprendevano questa nel loro interno. Il moto nell’eccentro, contato dall’apogeo secondo l’uso generale di tutti gli antichi astronomi, si faceva intorno al Sole secondo l’ordine diretto dei segni per Mercurio e per Venere, secondo l’ordine inverso dei segni per Marte, Giove e Saturno. Tutte queste difficoltà non esistono per noi, che sogliamo riferire i movimenti zodiacali non all’apogeo mobile, ma al principio d’Ariete, cioè ad un’origine fissa, rispetto a cui tutti i movimenti medi riescon diretti; e che troveremmo naturale di considerare i circoletti di Mercurio e di Venere come una specie particolare di eccentri mobili per cui il raggio è minore dell’eccentricità, mentre è maggiore di questa per gli eccentri dei pianeti superiori.

9. Ma d’altra parte non poteva sfuggire ai matematici la facilità e la relativa precisione con cui quelle ipotesi rappresentavano geometricamente l’anomalia principale dei moti planetari e davano conto delle stazioni e delle retrogradazioni. Trattavasi di conservare questi loro effetti, usando di costruzioni geometriche analoghe sì, ma di carattere meno rigido e più facilmente adattabile ai placiti delle scuole dominanti ed alle esigenze dell’astrologia. Ora due erano le combinazioni geometriche, a cui il sistema doveva il suo carattere proprio e la sua concordanza coi fenomeni: l’epiciclo, e l’eccentro mobile.

Epicicli. — La prima era costituita dalla speciale forma di circolazione di Mercurio e di Venere intorno al Sole; la quale fu evidentemente il primo germe, da cui derivò la teoria dell’epiciclo mosso sopra un deferente concentrico. Qui il deferente era l’orbita del Sole intorno alla Terra; l’epiciclo era l’orbita secondaria del pianeta intorno al Sole. Era [p. 128 modifica]manifesto, che il carattere geometrico dei moti di Mercurio e di Tenere non sarebbe cambiato, quando il centro della loro circolazione secondaria fosse rappresentato, non fisicamente dal Sole, ma soltanto geometricamente da un punto ideale. Anche sopprimendo il Sole, le stazioni e le retrogradazioni di quei due pianeti si sarebbero spiegate egualmente2. Quindi nacque il problema di esaminare, se anche le ambagi dei tre pianeti superiori non avrebbero potuto essere spiegate con una circolazione secondaria lungo un epiciclo intorno ad un centro ideale dotato, come il Sole, di circolazione primaria intorno alla Terra. Il successo di questo tentativo fu l’origine della teoria generalizzata degli epicicli, nella quale i raggi e le velocità si ponevano affatto liberi da ogni condizione, e di cui Eraclide Pontico aveva veduto in cielo un primo esempio particolare. Sotto la nuova forma generale ed astratta, l’epiciclo ed il deferente insieme associati costituivano un meccanismo utilmente applicabile dappertutto, dove si trattasse di dare una rappresentazione puramente geometrica di anomalie aventi carattere periodico.

10. Quest’ipotesi degli epicicli introduceva però una difficoltà, la quale da principio dovette sembrare poco meno che insuperabile alla mente degli antichi filosofi, cioè la circolazione di un astro intorno ad un semplice punto ideale, privo in natura di ogni visibile contrassegno. Infatti non si hanno notizie precise intorno al suo uso per più d’un secolo, sebbene offrisse un modo eccellente di spiegare i fenomeni senza punto scuotere la Terra dalla sua posizione immobile al centro del mondo. Ma essa incontrò invece il favore dei matematici, i quali, seguendo l’avviso di Aristotele, nel costruire ipotesi astronomiche non cercavano di determinar le cose come stanno veramente in natura, ma soltanto aspiravano a trovare pei movimenti celesti una rappresentazione geometrica non ripugnante ai fenomeni, ed opportuna al loro calcolo ed alla loro predizione3. A tali uomini era perfettamente indifferente, che [p. 129 modifica]il centro di una circolazione da loro supposta in cielo fosse vuoto, od occupato da un astro qualsiasi. Apollonio di Perga sembra sia stato il primo ad illustrare la teoria degli epicicli, mostrando in qual modo elegante si poteva in essa determinare col calcolo le epoche ed i luoghi delle stazioni, le ampiezze e le durate delle retrogradazioni. Più tardi la facilità e la chiarezza di questo modo d’interpretare il corso apparente dei pianeti conciliarono ad esso il favore anche dei filosofi, specialmente dei Peripatetici, dopo che ebbero abbandonate, come insufficienti, le sfere omocentriche. Anzi in progresso di tempo i Peripatetici trovarono il modo di evitare la difficoltà e la sconvenienza di assumere un semplice punto matematico qual centro di circolazione. Nell’ipotesi epiciclica ogni pianeta potendo considerarsi a parte, ed essendo la sua teoria affatto indipendente da quelle degli altri, l’ordine e la grandezza delle loro sfere rimangono interamente arbitrari. Quindi nacque la possibilità di dare a detta ipotesi una nuova forma, quella cioè delle sfere solide, in cui l’epiciclo è surrogato da una sferetta incastrata nella grossezza di una sfera cava più grande e concentrica al centro del mondo, rappresentativa del deferente4. Con questo era risoluta la principale obbiezione che l’antica fisica poteva opporre alle teorie epicicliche; la parte fisica del sistema dipendeva dai medesimi principi, che avevano consigliato ad Aristotele l’adozione delle sfere d’Eudosso; nè il meccanismo della rotazione di tante sfere presentava più difficoltà in un caso che nell’altro. Verso il principio dell’èra volgare il sistema delle sfere solide si trova accettato tanto dai Platonici che dai Peripatetici; è quello esposto da Adrasto Afrodisiense e da Teone Smirneo, e dopo di loro da molti altri scrittori dell’antichità e del medio evo aristotelico. Tolomeo poi ebbe da ultimo il vanto di dare all’ipotesi epiciclica press’a poco tutta la perfezione di cui è capace, combinando l’epiciclo col deferente eccentrico fisso, e separando il centro delle distanze uguali dal centro dei moti angolari uguali. Veramente [p. 130 modifica]in tal guisa il principio del moto uniforme nella circolazione degli astri intorno a determinati centri riceveva una grave offesa; ma oramai dopo i lavori d’Ipparco era diventato manifesto, che un tal principio nella semplice ed assoluta sua forma originaria non poteva più bastare ai fenomeni, quali risultavano dalle osservazioni più perfette di quel grande astronomo e dei suoi successori. E tale fu la serie di modificazioni, per cui passò l’ipotesi degli epicicli, in quasi cinque secoli che corsero da Eraclide Pontico fino a Tolomeo.

11. Eccentri mobili. — L’altra combinazione di movimenti risultante dal sistema ticonico, quella degli eccentri mobili, non acquistò nell’antica astronomia quell’importanza che ebbero gli epicicli; tanto, che gli storici di questa scienza parvero dimenticarla affatto. La loro forma originaria, che qui sopra abbiamo descritta (§ 6), supponeva che il centro dell’eccentrico dovesse coincidere costantemente col Sole, od almeno essere veduto dalla Terra sempre nella direzione del Sole. Da tale condizione non li prosciolse neppure Apollonio di Perga, il quale è il più antico autore che abbia fatto menzione esplicita degli eccentri mobili, e studiò il modo, con cui dai medesimi si può dedurre la spiegazione ed il calcolo delle stazioni e delle retrogradazioni. Per Apollonio il centro dell’eccentrico mobile gira di moto uniforme intorno alla Terra nello spazio di un anno; in conseguenza il suo uso è limitato alla teoria dei pianeti superiori. Questi sono contrassegni evidenti che non lasciano alcun dubbio circa l’origine dell’eccentro mobile, e danno una prova incontrastabile, che gli eccentri sono nati dal sistema ticonico, fuori del quale simili limitazioni non avrebbero avuto alcun motivo di essere. Sotto tal forma gli eccentri mobili non sarebbero mai stati inventati dai Greci, se questi in una certa epoca anteriore ad Apollonio non avessero conosciuto il sistema suddetto. Ciò si vedrà anche meglio nel capitolo seguente quando si discuteranno le notizie lasciate da Apollonio su tale argomento.

D’un altro fatto Apollonio ci dà sicura testimonianza; ed è, che i Greci già al tempo suo avevano scoperto la relazione intima che esiste fra la teoria degli eccentri mobili e quella degli epicicli. Questa si enunzia dicendo, che se il movimento di un corpo celeste può essere rappresentato per mezzo dell’eccentro mobile, esso può altrettanto bene e con uguali risultati essere rappresentato per mezzo dell’ipotesi epiciclica. [p. 131 modifica]Cosicchè l’una e l’altra ipotesi, tanto diverse nella prima apparenza, geometricamente considerate si equivalgono nei loro effetti, e possono essere surrogate l’una all’altra indifferentemente.

12. Nell’ipotesi dell’eccentro mobile (vedi la prima delle due figure vicine) sia T il luogo della Terra, ed intorno ad essa si aggiri concentricamente nel circolo SS’ il centro S dell’eccentrico mobile, in guisa che la retta condotta da T ad S giuaccia sempre nella direzione del Sole, movendosi di moto diretto secondo l’ordine naturale dei segni. Dal centro S descriviamo l’eccentrico, e supponiamo sia rappresentato dal circolo CC’. Conducendo la retta TS e prolungandola in C, sarà in quel momento C il luogo dell’apogeo dell’eccentrico. Se poi mettiamo che il pianeta si trovi allora sul suo eccentrico in D, percorrendolo in senso opposto all’ordine dei segni, l’angolo CSD, o l’arco CD contato dall’apogeo secondo l’ordine inverso dei segni sarà l’argomento dell’anomalia, che più brevemente designeremo col nome di anomalia: e il pianeta dalla Terra T sarà veduto nella direzione TD.

Nell’ipotesi dell’epiciclo (vedi la seconda figura) sia Θ il luogo della Terra. Intorno ad essa si descriva il circolo deferente ΣΣ’ uguale all’eccentro mobile della prima ipotesi, ed in esso da Θ si conduca la linea ΘΣ uguale e parallela ad SD della figura precedente. Si ponga in Σ il centro dell’epiciclo; e si descriva da questo centro l’epiciclo stesso ΔΔ’ uguale al circolo SS’ dell’altra ipotesi. Sarà K in quel momento l’apogeo dell’epiciclo. Facciasi ora l’angolo KΣΔ uguale all’anomalia (cioè all’angolo CSD della prima figura, contato però da K [p. 132 modifica]in senso diretto); e mettiamo che il pianeta sia in Δ. L’osservatore terrestre lo vedrà nella direzione ΘΔ.

Ciò posto; per ipotesi nei due triangoli TSD, ΘΣΔ abbiamo ΘΣ uguale e parallela a SD, e l’angolo ΘΣΔ uguale a TSD (ambidue supplementi dell’anomalia); è manifesto che avremo anche ΣΔ parallela a TS. Ma inoltre abbiam posto ΣΔ=ST. Dunque i due triangoli avendo lati uguali comprendenti un angolo uguale, saranno uguali; quindi le distanze del pianeta dalla Terra TD, ΘΔ saranno uguali nelle due ipotesi. E poichè i lati ΘΣ, SD sono, oltre che uguali, anche fra loro paralleli, e così pure ST, ΣΔ; anche i terzi lati TD, ΘΔ saranno paralleli fra di loro; cioè in ambe le ipotesi il pianeta sarà veduto nella medesima direzione.

Le condizioni perchè questo si verifichi ad ogni istante sono due: una, che i raggi SD, ΘΣ nel deferente e nell’eccentrico rimangano sempre paralleli; l’altra, che l’anomalia CSD nell’eccentrico sia uguale all’anomalia KΣΔ dell’epiciclo; contata contro l’ordine dei segni nel primo caso, secondo l’ordine dei segni nell’altro. Ora a questo si provvederà facilmente: 1) quando in ambi i casi il pianeta si trovi simultaneamente all’apogeo una volta; 2) quando la rivoluzione anomalistica sia la stessa e siano uguali al periodo zodiacale le rivoluzioni nel deferente SS’ e nell’epiciclo ΔΔ’ rispetto al primo punto d’Ariete. Con ciò è assicurata l’identità perenne delle direzioni del pianeta e delle sue distanze dalla Terra; i risultati saranno sempre gli stessi in entrambe le ipotesi.

È poi manifesto, che la dimostrazione regge ancora quando, invece di far uguali i raggi dei due circoli nell’una e nell’altra ipotesi, si suppongano soltanto proporzionali, mutando le dimensioni dell’una o dell’altra figura nel rapporto che si vuole. Inoltre si ha, che nella seconda ipotesi la direzione del raggio dell’epiciclo è ad ogni istante parallela a quella che va dalla Terra al Sole nella prima ipotesi.

13. Noi comprendiamo adesso l’indifferenza, con cui i matematici greci considerarono l’ipotesi degli eccentri mobili, dando la preferenza agli epicicli. Le due ipotesi in fondo non erano che forme diverse di una medesima costruzione, ed il calcolo delle posizioni planetarie era sostanzialmente identico in ambedue. Ma la forma epiciclica aveva il vantaggio di potere essere applicata anche ai pianeti inferiori, per i quali l’eccentro mobile, quale allora si concepiva, non poteva [p. 133 modifica]servire. Inoltre gli epicicli permettevano di rendere conto in modo quasi intuitivo dei fenomeni di stazione e di retrogradazione; mentre a comprender bene questi effetti nell’ipotesi degli eccentri mobili eran necessarie dimostrazioni geometriche non ugualmente facili per tutti. Con queste si dimostrava che la cosa doveva essere così; ma non si presentava in modo chiaro all’immaginazione il meccanismo, per cui si generavano le apparenti complicazioni e le circostanze tutte di quei movimenti.

Abbiamo finora seguito la filiazione logica delle idee; abbiam cioè tentato di mostrare per quale sequela di facili ragionamenti poterono i Greci esser condotti alle conclusioni esposte. Rimane ora la parte storica del problema; disseppellire cioè dalle rovine dei secoli alcuni pochi e non abbastanza studiati avanzi di tradizione, soli capaci di dare la prova, che quanto fin qui fu presentato come plausibile congettura, è realmente avvenuto.

Note

  1. Sul Sole, considerato come cuore dell’universo e come principio animatore di tutto il mondo veggansi Teone Smirneo, ed. Martin, p. 297: Plutarco De facie in orbe Lunae, c. 15: Macrobio, Comm. in Somnium Scipionis, Lib. I, c. 20.
  2. La facilità di spiegare le stazioni e retrogradazioni di Mercurio e di Venere per mezzo della loro circolazione intorno al Sole, non è sfuggita neppure a Vitruvio, il quale (IX, 4) dice, dopo accennato al loro moto eliocentrico: Etiam stationibus propter eam circinationem morantur in spatiis signorum.
  3. Circa il diverso modo, con cui dai geometri e dai fisici si consideravano, dopo Aristotele, le ipotesi astronomiche, vedi la Fisica d’Aristotele, II, 2; e il relativo commento di Simplicio, pp. 290-293 ed. Diels. In questo è intercalato un notevolissimo passo di Gemino, che verte sul medesimo argomento; ad esso dovremo più volte riferirci nel corso della presente memoria, e perciò lo riportiamo testualmente nella appendice.
  4. Un cenno del sistema delle sfere cave è solide si troverà nella memoria Sfere omocentriche d’Eudosso, ecc. sul fine del cap. VIII, pp. 92-93 del presente tomo.