Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/III. - Appendice - Rassegne bibliografiche, traduzioni/XVII. - A proposito di un nuovo trattato di Cronologia Astronomica

XVII. - A proposito di un nuovo trattato di Cronologia Astronomica

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XVII.

A PROPOSITO DI UN NUOVO TRATTATO

di

CRONOLOGIA ASTRONOMICA

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Dalla Rivista di Astronomia e Scienze Affini — Bollettino della Società Astronomica Italiana. Anno I, 1907. Torino. [p. 316 modifica]



Ascrivo a mia singolar fortuna che a me tocchi in sorte di dare alla Società Astronomica Italiana qualche succinta notizia di questa grande e bella opera1, la cui pubblicazione soddisfa un lungo desiderio di più che mezzo secolo, sentito non solo dagli astronomi, ma anche dagli studiosi delle scienze storiche. Fra le diverse applicazioni dell’astronomia nessuna è più bella e più nobile e connessa con maggior varietà di cose, che la cronologia matematica e tecnica, quella che tratta del computo dei tempi in modo teoretico e storico. Come di tutte le scienze e di tutte le arti, così anche di questa i primi ed umili principi risalgono molto alto nella serie dei secoli. Forma di scienza regolare essa ebbe tuttavia soltanto da poco più di trecento anni; e questo avvenne principalmente per merito di due grandi eruditi, Giuseppe Scaligero e Dionisio Petavio, dei quali il primo colla sua opera fondamentale De emendatione temporum (1583) e l’altro colla sua anche più vasta e profonda Doctrina temporum (1627-1630) raccolsero e vagliarono gli sparsi materiali di questo studio, e posero le fondamenta di ciò che è ora diventato un grande e complicato edifizio.

Per due secoli (1630-1826) nessuno sperò di poter emulare e vincere l’opera di quei sommi, che in tutto quell’intervallo furono considerati come la prima autorità in tali materie. La loro dottrina fu nelle sue parti esaminata, corretta, ampliata per opera di matematici e di eruditi di tipo assai vario, fra i quali brillano i nomi di Newton, di Fréret, di Mabillon. Verso il 1750 una vasta sintesi di tutto il sapere cronologico fu [p. 317 modifica]tentata da alcuni Benedettini francesi nell’Art de vérifier les dates, dotta compilazione che ebbe grande successo, e venne di edizione in edizione crescendo come valanga, fino all’ultima che usci fuori negli anni 1818-1844 in 44 volumi in 8°. Questa è stata una raccolta sommamente utile ed importante per la cronologia degli avvenimenti storici e per le infinite informazioni che contiene sugli usi generali e locali praticati in tutte le cancellerie e dai notai dei vari paesi nello esprimere la datazione dei loro documenti, ed ha servito di base anche a varie opere più moderne sulla scienza diplomatica e sul modo di fissar la data dei documenti medievali. Ma le parti matematiche e scientifiche non vi sono trattate in modo regolare, e riguardo ad esse l’opera poco o nulla dava di nuovo. Un trattato generale che comprendesse la Cronologia come scienza ed il modo di applicarla come arte non si era più veduto, oppure erano opere di seconda mano, estratte e compendiate da quelle dei due illustri fondatori.

A tale compito difficile si accinse un secolo fa l’astronomo regio di Berlino Ludovico Ideler col suo Manuale di Cronologia matematica e tecnica, pubblicato negli anni 1825 e 18262, che malgrado la sua modesta mole ha segnato negli studi cronologici un’epoca importante. Ideler riuniva in sè in grado eminente tutte le qualità necessarie per riuscire in questa impresa. Era astronomo, non osservatore a dir vero, ma calcolatore perito; ed aveva l’arte (necessaria in un libro non destinato a soli matematici) di ridurre a facili e semplici pratiche di aritmetica ordinaria calcoli abbastanza complicati, togliendo loro ogni aspetto astruso e repulsivo. Educato a scuola classica, possedeva cognizioni estese in tutti i rami dell’antichità greca e latina, conosceva l’ebraico, e l’arabo gli era famigliare, come si può vedere dalla sua opera Sui nomi delle stelle. Inoltre per molt’anni della sua vita si era occupato di questioni cronologiche. A tali preparazioni egli univa un criterio storico esatto, esente da ogni spirito di esagerazione e di sistema, un giudizio sicuro, sempre accompagnato dal buon senso. L’opera corrispose pienamente alle speranze, e per 80 anni, cioè fino ai nostri giorni, tenne senza contrasto il primato fra tutti i libri di questa materia; e ancora sarà per [p. 318 modifica]lungo tempo consultata nelle parti che dal progresso ulteriore non son rese antiquate.

Questo progresso venne subito, grande ed inaspettato. Pochissimi anni dopo la pubblicazione dell’Handbuch Champollion apriva agli eruditi le porte dell’antichità egiziana; gli scavi di Mesopotamia risuscitarono le civiltà, che si credevan perdute, di Babilonia e di Ninive. Le questioni concernenti la cronologia di quelle nazioni cambiarono interamente d’aspetto; per una risoluta, dieci nuove ne vennero fuori. Contemporaneamente venne a luce poco a poco l’immensa letteratura degli Indiani, e con essa i loro libri astronomici e i loro diversi modi di calcolare il tempo. Furono studiati i sistemi cronologici dei Cinesi (già da Ideler medesimo), dei Giapponesi, e delle nazioni loro vicine dell’Asia centrale, orientale e meridionale. Persino dalle antiche nazioni dell’America centrale si ebbero documenti sui loro curiosi sistemi di cronologia. Per opera di Sachau venne in luce la Cronologia delle antiche nazioni di Albîrûni, una specie di Ideler arabo, che verso il 1000 della nostra èra con grande lavoro, con estese relazioni letterarie, e non schivando neppure la fatica di lunghi viaggi, raccolse una gran quantità di materiali cronologici, che senza di lui sarebbero andati perduti. Nè frattanto erano rimasti inoperosi gli indagatori dell’antichità classica; i difficili e complicati ed ancora in molta parte insoluti problemi dei Calendari greci ed italici hanno dato luogo ad una copiosa letteratura, la quale s’illustra dei nomi di Augusto Boeckh e di Teodoro Mommsen.

Bastano questi pochissimi cenni per far comprendere le difficoltà che si opponevano a chi volesse in modo utile e degno riprendere, con tanto apparato di nuova materia, l’opera di Ideler. Già da parecchi anni il professor Ginzel ci aveva dato la misura del suo valore nei calcoli cronologici, prima col ricercare le correzioni necessarie ad introdursi nel Canone di Oppolzer per farlo concordare nel miglior modo possibile colle memorie storiche delle antiche eclissi, poi col pubblicare sotto gli auspizi dell’Accademia di Berlino il calcolo speciale di tutte le eclissi visibili nel campo occupato dalla storia classica (dintorni del Mediterraneo ed Asia anteriore) per 1500 anni, cioè dal 900 avanti Cristo al 600 di Cristo3. Assunto [p. 319 modifica]che ebbe questo compito per le esortazioni di uomini autorevolissimi, egli s’avvide subito che data la qualità e la copia strabocchevole della nuova materia, un semplice rifacimento del libro d’Ideler non avrebbe raggiunto lo scopo: «Non solo il materiale moderno (egli dice) costringe ad aggruppare diversamente le notizie nella trattazione dei singoli sistemi cronologici, ma obbliga anche a cambiare il punto di vista da cui storicamente si considerano le cronologie di diversi popoli; esso richiede, per un contenuto nuovo, una nuova forma».

In questo primo volume, destinato per la maggior parte all’esposizione delle cronologie dell’antico Oriente e dei popoli asiatici, «il materiale d’opera di tanto eccede le notizie dei classici, che di queste appena si può usare qua e là a modo di complemento o di comparazione. I risultati delle nuovissime ricerche sulle antiche nazioni dell’Asia son stati fecondissimi appunto per la loro cronologia. Di questo materiale archeologico, fondato sui monumenti e sui resti letterari delle antiche civiltà, il giudizio è spesso difficile; prima per la novità della cosa, che varia sempre da in popolo all’altro, in secondo luogo perchè l’incertezza inseparabile da tali ricerche spesso dà luogo a divergenze radicali d’opinione anche fra gli eruditi più competenti. Doppiamente difficile diventa la cosa per l’astronomo che deve elaborare tutti quegli elementi. La cognizione delle lingue dei vari popoli, che si potrebbe credere necessaria, non può neppur essa dare piena sicurezza. Perchè, anche non considerando che il presente volume da sè solo avrebbe richiesto la cognizione di quattordici di tali lingue — cosa che non si può domandare ad alcuno — , non bisogna dimenticare che gli stessi conoscitori di una lingua non sempre sono d’accordo sulla cronologia del popolo corrispondente. Sia accennato, per modo di esempio, alla cronologia degli Arabi ante-islamici, sulla quale non vi hanno che notizie contraddittorie di scrittori troppo recenti, od accenni più o meno vaghi dei poeti arabi più antichi. E si notino, come altro esempio, le contraddizioni anche adesso vigenti fra gli egittologi sulle molte questioni concernenti il calendario egiziano. Lo scrittore [p. 320 modifica]astronomo, il quale deve usare del copiosissimo e svariatissimo materiale archeologico per metterlo a cimento coi fatti astronomici, farà bene quindi ad appoggiarsi a quei dotti, che delle varie lingue han fatto studio speciale, e a valersi dei loro lavori. Fortunatamente ora nella maggior parte dei casi importanti le fonti utili alla cronologia degli Orientali son tradotte in una delle lingue europee e quindi generalmente accessibili». Così l’Autore.

Dirò ora qualche parola sul contenuto del volume già pubblicato, che sarà il primo dei tre, onde l’opera deve comporsi. Precede, ad imitazione di quanto aveva fatto Ideler, una parte generale ed introduttiva, comprendente tutte quelle nozioni di astronomia, che in qualche modo si connettono colla misura e col computo del tempo, dove pure si espongono i concetti fondamentali che servono di base a qualunque calendario e a qualunque sistema cronologico. Notevole in questa parte è il confronto fra le stazioni lunari degli Indiani, dei Cinesi e degli Arabi. Vi sono aggiunte alcune utili tavole, per esempio a p. 101 le date degli equinozi di primavera negli anni secolari da -4000 a +1600 secondo il calendario Giuliano; a p. 543 la tavola che dà le posizioni medie di 26 stelle principali dall’anno -4000 all’anno +800; a p. 546 quella degli archi semi-diurni per latitudini da +20° a +45° e per declinazioni da -30° a +49°; a p. 547 la tavola, che dà espresse secondo il calendario Giuliano, le epoche di tutti i noviluni fra gli anni 605 e 100 prima di Cristo.

Troppe pagine sarebbero da aggiungere a quest’articolo, se io mi proponessi di accennare anche solo brevemente tutte le cose interessanti e poco note, che l’Autore ha raccolto in questo suo primo volume; tutte trattate, non occorre dirlo, con piena competenza della materia, in stile serrato e breve, ma sempre chiaro. Notiamo nel capitolo dei Babilonesi l’antichissima forma del calendario lunisolare sumeriano, usato assai prima che Babilonia comparisse negli annali della storia. Quel calendario, mutati i nomi dei mesi, servì poi di modello a quelli usati a Babilonia, a Ninive, in Siria e da ultimo anche in Grecia. — Il capitolo degli Egiziani, che l’Autore confessa avergli costato più fatica che tutti gli altri, è degno di particolare studio, anche da parte di quelli che sulle antichità Niliache hanno speso la loro vita. Le molte discussioni che da un secolo in qua si fecero sulla cronologia e sul calendario [p. 321 modifica]degli Egiziani, particolarmente sul periodo di 1460 anni detto Sotiaco o Canicolare, avevano prodotto su certi limiti più confusione che luce, ed avevano anzi dato corpo e parvenza di verità ad mia quantità di ipotesi più ingegnose che vere. Guidato da un retto spirito critico ed appoggiato alle informazioni di fatto fornitegli da distinti egittologi, egli ha spazzato via più d’un errore fondamentale, e più di una falsa immaginazione, che appoggiata al prestigio di alcuni nomi illustri si eran venute divulgando. Tale per esempio, l’ipotesi che gli Egiziani si servissero contemporaneamente dell’anno vago di 365 giorni e dell’anno stabile di 365¼ giorni, divisi l’uno e l’altro in modo uguale, coi mesi ugualmente denominati; e che di questo non contenti, facessero anche uso in certe circostanze dell’anno lunare di 354 giorni. Una retta e non artifiziosa interpretazione dei dati monumentali permette invece di affermare, che prima del dominio romano non fu mai presso gli Egiziani in uso effettivo e generale altra specie di anno, che l’anno vago di soli 365 giorni senza intercalazioni. Secondo le date di questo anno si trovan registrati tutti gli avvenimenti, ed anche il levare eliaco di Sirio. Era questo per gli Egiziani il fatto regolatore di certe feste connesse colle stagioni, feste che dipendendo dall’anno tropico cambiavan di data poco a poco nell’anno vago ritardando di un giorno ogni quattro anni. Avevan dunque gli Egiziani feste di data fissa e feste mobili come noi; colla differenza che presso di noi le feste mobili non escono da certi limiti, mentre le feste mobili degli Egiziani facevano il giro dell’anno intiero. Di tutto questo gli Egiziani si rendevano certamente conto; essi non tardarono ad accorgersi che il levare di Sirio e tutte le feste mobili ritardavano di un giorno ogni quattro anni, ed è anche possibile che alcuno di loro abbia calcolato, che il levare di Sirio e tutte le feste mobili connesse colle stagioni dovevano fare il giro di tutti i mesi dell’anno vago in 365 × 4 = 1460 anni, e che dopo 1460 anni sarebbero tornati alle date iniziali; venendo così al concetto di ciò che fu chiamato il periodo Sotiaco. Nulla però dimostra che essi abbiano usato di questo periodo nel calcolo dei tempi, e si può ritenere come certo che le notizie di esso tramandate dai Greci e dai Romani sono di origine affatto recente. A speculazioni dell’epoca greco-romana si possono pure attribuire l’invenzione del periodo del bue Apis (25 anni), quella del periodo della Fenice (di cui nessuno [p. 322 modifica]sapeva il valore esatto), quella del gran ciclo di 36525 anni, ecc.; circa i quali periodi i monumenti sono affatto muti.

L’Autore ha raccolto pazientemente tutte le notizie contraddittorie e poco sicure, che si hanno dei calendari usati in Arabia prima di Maometto. Le numerose iscrizioni dell’Arabia meridionale hanno fatto conoscere i nomi dei mesi del calendario Sabeo. È sommamente probabile che almeno una parte degli Arabi pre-islamici usasse un calendario lunisolare, intercalando, quand’era necessario, una tredicesima luna, come consta aver fatto tutti i popoli di lingua affine, per esempio i Babilonesi, gli Ebrei ed i Fenici. Maometto si dichiarò contrario a questa pratica, e la prescrizione del Corano a tale riguardo è notevole per la sua forma. «Per ordine divino il numero dei mesi è di dodici. Così sta segnato nel libro di Dio, fin dal giorno in cui Egli creò il Cielo e la Terra. Quattro di questi mesi sono sacri. Così prescrive la vera religione. Mutare posto ad un mese sacro è un atto da infedele. Gl’infedeli si sbagliano. In un anno ammettono un certo mese e in altro anno non lo ammettono più, perchè torni il conto dei mesi consacrati da Dio, e così permettono appunto ciò che Dio ha proibito». Così nacque l’anno Maomettano di 12 lune senza mese intercalare, usato anche oggi dal Marocco alle isole della Malesia; del quale la perpetua discordanza dal corso del Sole ha creato imbarazzi non pochi ai popoli che vivono di agricoltura, specialmente per la riscossione delle imposte sui prodotti agrari, che naturalmente può farsi soltanto secondo il periodo dell’anno solare. Anche gli Arabi, come gli Ebrei loro fratelli di stirpe, hanno usato da tempo immemorabile la settimana, adottando però come giorno festivo il Venerdì invece del Sabato degli Ebrei e della Domenica dei Cristiani.

Nella trattazione dei calendari Iranici l’Autore, più fortunato di Ideler, ha potuto appoggiarsi all’interpretazione, ai nostri tempi molto progredita, dello Zendavesta e presentar una descrizione più completa; in ciò anche profittando delle nuove notizie fornite da Albiruni. Ma le questioni d’origine, già così dottamente trattate da Ideler, non hanno fatto da questo in poi alcun passo notabile, malgrado le ipotesi ingegnose proposte a questo fine. L’uso del calendario Iranico, sotto forme fra loro poco differenti, si diffuse nei secoli di mezzo su gran parte dell’Asia occidentale dal Golfo Persico ai monti Altai, e dall’Halys all’Indo. Tutti sono appoggiati [p. 323 modifica]all’anno vago di 365 giorni, ad eccezione del più antico conosciuto, quello che si usava in Persia ai tempi di Ciro e di Dario, che pare fosse insomma una forma del calendario lunisolare babilonico.

Col capitolo degli Indiani l’Autore entra in una materia che al tempo di Ideler era ancora poco accessibile, e che Ideler non trattò. Nelle epoche più antiche della storia indiana, rappresentate dai Veda e dai loro commentari teologici e liturgici detti Brahmana, il computo dei tempi era fondato principalmente sul mese lunare suddiviso dal novilunio vero e dal plenilunio in due parti, con qualche accenno ad una divisione in quattro, che più chiara si manifestò poi negli scritti dei Parsi e dei Buddisti. Veramente notevole è il modo con cui gli Indiani già in tempi remoti connettevano il mese lunare coll’anno solare. Avevano essi osservato, che la Luna diventa piena appunto quando è opposta al Sole. Invece di osservare il Sole (cosa non facile a farsi direttamente) essi usarono notar ogni volta il luogo del cielo, dove la Luna sia piena; e questo luogo fissarono coll’aiuto delle stelle vicine, distribuite lungo lo zodiaco in 28 gruppi o costellazioni dette naxatra, così determinate, che la Luna nel suo corso ne percorresse una ogni giorno. Il luogo che la Luna piena occupava fra i naxatra definiva senz’altro la stagione dell’anno in cui uno li trovava. E la durata dell’anno non era altro che il tempo del ritorno della Luna piena al medesimo naxatra. L’invenzione dei naxatra è, come si vede, intimamente connessa colla natura del calendario indiano, e con poca probabilità si vuole oggi attribuirla ai Babilonesi, ne’ cui monumenti astronomici finora non se n’è trovato indizio sicuro. Del resto il modo di definire l’anno lunisolare per mezzo dei naxatra, il quale appare così semplice a primo aspetto, non è esente da difficoltà pratiche; sia perchè il luogo del cielo dove la Luna si fa piena non è definibile con molta precisione senza strumenti, sia perchè la rivoluzione siderale della Luna non si fa in 28 giorni esatti; i pleniluni poi non si ripetono nei medesimi punti del cielo. Perciò gli astronomi-sacerdoti del Bramanismo furono presto condotti a complicazioni di calcolo, come si vede nel trattato detto Gyotisham, che è uno dei Vedanga o supplementi del Veda. Qui il tempo è calcolato per periodi di 1830 giorni pari a 5 anni di 366 giorni. Ognuno di questi periodi è supposto comprendere 67 mesi lunari siderei, 62 mesi lunari sinodici, 60 mesi [p. 324 modifica]solari di 30½ giorni e 61 mesi savana di 30 giorni; il significato di questi ultimi essendo puramente rituale.

Nei primi secoli dell’èra volgare pervennero nell’India dall’Occidente notizie più esatte sul corso degli astri, e con queste fu costruito un computo nuovo, che ancora oggi è in uso, e si trova esposto nei trattati astronomici detti Siddhanta. Io non seguirò il diligentissimo Autore nella selva intricata di questa cronologia. Qui, come in altre cose, si manifesta la natura del genio indiano, che alla chiarezza e alla semplicità preferisce il gigantesco, il multiforme e l’astruso. Il loro calendario luni-soli-stellare è quanto di più complesso la mente umana abbia inventato in questa materia.

La cronologia dei Cinesi e quella poco diversa che i Giapponesi usarono fino al 1873 (anno in cui si convertirono al calendario Gregoriano) sono fondate anch’esse sul computo lunisolare e si distinguono per questo, che la numerazione dei tempi vi si fa per cicli di 60 giorni, di 60 mesi e di 60 anni. Anche i Cinesi, come gli Indiani, usarono ab antiquo il novilunio vero in luogo del novilunio apparente. Anch’essi quindi furon condotti a determmare le stagioni per mezzo dei luoghi dove accadono in cielo i pleniluni e a stabilire per loro conto una serie di 28 costellazioni lungo lo zodiaco, da loro chiamate siu e assai analoghe ai naxatra indiani. Molto si è disputato sull’origine di questi siu, che alcuni vollero derivati dai naxatra, mentre altri sostennero la derivazione inversa. Ora è in credito l’opinione, che gli uni e gli altri sian venuti da Babilonia, la quale sarebbe stata maestra di astronomia a tutta l’Asia. Per ciò che concerne le 28 costellazioni lunari la cosa mi par molto dubbia. Primo perchè non si è ancora dimostrato in modo convincente, che certe liste di asterismi babilonesi trovate negli scavi di Mesopotamia rappresentino veramente serie di asterismi lunari. Secondo, perchè il sistema cronologico dei Babilonesi si fondava sulle osservazioni dei noviluni apparenti, e la relazione dei mesi lunari col moto del Sole si determmava, non col notare in cielo i luoghi dei pleniluni, ma coll’osservazione del levare eliaco di alcune stelle o gruppi di stelle a ciò particolarmente adatti. Le mansioni lunari sono affatto estranee ai metodi babilonesi. Esse eran pure estranee ai metodi degli Arabi, nella cui cronologia, fondata sui noviluni apparenti, le costellazioni lunari non entrano affatto. Eran presso di loro una curiosità uranografica, importata dall’India [p. 325 modifica]forse in tempi non molto remoti. Gli Arabi le introdussero qualche volta nei loro computi astrologici, e alcuno dei loro astrolabi le porta segnate insieme coi 12 segni dello zodiaco.

Ai computi indiani, od ai computi cinesi, o ad entrambi, in qualche parte si accostano quelli dell’India oltre il Gange, quei dell’Arcipelago malese e quei dell’Asia centrale. Unico e diverso da tutti gli altri invece è il sistema di cronologia usato dai popoli dell’America centrale, dal Messico al Nicaragua, prima della conquista spagnuola. Tutti questi popoli avevano un sistema vigesimale di numerazione: quindi la base dei loro calcoli del tempo è uno spazio di 20 giorni, che ripetuto 18 volte con l’aggiunta di 5 giorni intercalari, dava un anno vago di 365 giorni. Lo stesso spazio di 20 giorni ripetuto 13 volte dava un periodo di 260 giorni detto tonalamatl. I due periodi di 365 e di 260 giorni partendo da un’origine comune e correndo parallelamente, dopo 52 anni e 73 tonalamatl ritornavano di nuovo a cominciar insieme. La durata di 52 anni = 73 tonalamatl era il fondamento della cronologia storica di quei popoli. Non si sa bene se e come tenessero conto della discordanza fra l’anno vago e l’anno tropico. Essi attendevano anche alle apparizioni del pianeta Venere, il cui periodo sinodico avevan determinato assai bene in 584 giorni, e trovato rinnovarsi 5 volte in 8 anni vaghi.

L’Autore tace dei Peruviani, sul cui modo di calcolare il tempo non si hanno notizie sicure. Si sa solamente che essi determinavano gli anni solari per mezzo di osservazioni dirette fatte sul Sole coll’aiuto di certi istrumenti o piuttosto edifizi detti intihuatana, cioè specole del Sole. Di parecchi intihuatana esistono ancora rovine, non però tali che si possa accertare il modo di usarli, specialmente per esser stati tutti privati delle loro parti metalliche. Sembra che per mezzo di colonne verticali si osservassero i due momenti dell’anno in cui il Sole passava allo zenit del luogo. Piattaforme circolari piane, ben livellate di 5 o 6 metri di diametro disposte intorno alle dette colonne accennano anche ad osservazioni di direzione dell’ombra di quelle. Ma i cenni degli storici spagnuoli della conquista sono poco chiari e si contraddicono fra di loro.

Con quanto precede io spero di aver dato al lettore qualche idea della copia d’informazioni raccolte dall’Autore in questo suo primo volume; al quale è da augurare che con pari valore e fortuna egli possa far succedere gli altri due. [p. 326 modifica]Di questi il secondo conterrà la cronologia ebraica e giudaica, quella dei Greci di Europa e d’Asia, quella dei Romani, dei Macedoni e dei Siri. Il terzo volume sarà consacrato alla cronologia dei popoli cristiani. Come supplemento indispensabile a chi voglia fare dei calcoli cronologici si possono considerare le Tavole cronologiche di R. Schram delle quali l’Autore sta preparando una nuova edizione4: il canone generale delle eclissi di Oppolzer5 e il canone speciale delle eclissi di Ginzel6, nel quale si danno già calcolati i particolari delle eclissi per le epoche comprese nella storia antica e classica. Per i calcoli del levare e del tramontare eliaco, cosmico, acronico, ecc., dei pianeti e delle stelle servono le Tavole ausiliari di Wislicenus7. Per i calcoli delle posizioni del Sole, della Luna e dei pianeti sono comodissime e nel più dei casi anche sufficienti le Tavole abbreviate di Neugebauer8.


Note

  1. F. K. Ginzel, Handbuch der mathematischen und technischen Chronologie. Volume I, Lipsia, 1906, Hinrichs.
  2. Handbuch der mathematischen und technischen Chronologie. Berlin, 1825-1826; due volumi in piccolo 8°.
  3. Spezieller Kanon der Sonnen-und Mondfinsternisse für das Ländergebiet der klassischen Altertumswissenschaften und den Zeitraum von 900 vor Chr. bis 600 nach Chr. Berlin, 1899, con 15 carte eclittiche, dimostranti le zone di oscurazione delle eclissi totali ed anulari. Queste zone sono date qui secondo il loro corso effettivo, e non nel modo convenzionale usato pel canone di Oppolzer.
  4. R. Schram, Hilfastafeln für Chronologie, Wien. 1883; R. Schram, Kalendariographische und Chronologische Tafeln, Lipzig, Hinrichs 1908.
  5. Th. von Oppolzer, Canon der Finsternissc. Denkschuiften der Wiener Akademie der Wissenschaften, vol. LII. Contiene i dati pel calcolo di tutte le eclissi dal 1208 avanti Cristo al 2162 di Cristo, con 100 carte, che danno approssimatamente la zona di centralità per tutte le eclissi totali ed annulari visibili in quell’intervallo di tempo nell’emisfero boreale della Terra.
  6. F. K. Ginzel, Spezieller Kanon der Sonnen-und Mondfinsternisse für das Ländergebiet des klassischen Altertumswissenschaften, und den Zeitraum von 900 vor Chr. bis 600 nach Chr., Berlin, Mayer & Müller, 1899. Contiene per l’intervallo accennato l’aspetto delle eclissi per tutta la regione che circonda il Mediterraneo; inoltre i tempi e le quantità di oscurazione per Roma, Atene, Menfi e Babilonia. Le zone di totalità sono disegnate, con quel grado di precisione che le tavole odierne consentono, su 15 carte. Vi è un’aggiunta contenente ricerche sulle eclissi storiche.
  7. W. F. Wislicenus, Tafen zur Bestimmung der jährlischen Auf-und-Untergange der Gestirne, Leipzig, Engelmann, 1892.
  8. P. Neugehauer, Abgekürzte Tafeln der Sonne und der grossen Planeten, Berlin, 1904. Abgekürzte Tafeln des Mondes, Berlin, 1905. Pubblicate dallo Astronomisxches Rechen-Istitut di Berlino, n. 25 e n. 27.