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Lettere - Lettera XVI

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XVI.


3. ― A.*** mi ha fatto risapere la tua risposta. Parlandoti candidamente, le difficoltà da te opposte non mi sembrano tali da reggere al paragone; mi sarebbe meglio piaciuto, se tu avessi detto: quest’anno io non ho voglia di far certe cose. Anima viva non avrebbe saputo mai nulla del fatto. Io e A.*** siamo temperati a tenere ben altri segreti che questi. Tu mi avresti dato il danaro, io avrei presa una cambiale per ***, e tutto sarebbe stato operato a mio nome. Un silenzio impenetrabile avrebbe coperto la cosa; noi siamo per natura discreti, e il caso presente sarebbe stato per noi un caso di coscienza, d’onore, di religione. Io sono ancora più che convinto, che fra due anni la somma sarebbe stata restituita. Non ho osato offrirti la mia garanzia, perchè, vivo mio Padre, non rappresento nulla nel mondo; ma un giorno spero e credo di aver quattro mila franchi al mio comando; se così ti bastasse, eccomi qua in corpo e in anima ad ogni tuo cenno. Con tutto ciò non pretendo costringerti a fare contro il tuo avviso. Non potrei volendo, e potendo non vorrei, perchè sono un gran partigiano del libero arbitrio. ― E M.*** intanto che farà? Muoia di fame, o si provveda altrove. Soffra come ha sofferto, e duri a soffrire. Egli non ha diritto di sottrarsi a quella legge fatale e perpetua, che condanna al dolore certa specie di spiriti. E così apprenda una volta a conoscer più addentro quella razza, per la quale ha speso il fiore della sua gioventù, la nobiltà del suo ingegno, e il sangue più puro del suo cuore. [p. 268 modifica]

Della colletta non voglio occuparmi; ci pensi altri più acconcio all’ufficio: io non mi sento in diritto di allearmi nella congiura di avvilire un Amico, che vale infinitamente più di me, e di mille de’ miei buoni padroni.

Abbi pazienza di questo disturbo, che senz’altro sarà l’ultimo che avrai per parte mia. Sta sano, e addio.

1836?

Carlo Bini.