Scritti editi e postumi/Iscrizioni e poesia/Napoleone; Frammenti

Iscrizioni e poesia - Napoleone; Frammenti

../L'Immortalità ../Il dì de' Morti IncludiIntestazione 15 ottobre 2021 75% Da definire

Iscrizioni e poesia - L'Immortalità Iscrizioni e poesia - Il dì de' Morti

[p. 216 modifica]

NAPOLEONE


FRAMMENTI1


― 18...? ―



      E tu cadesti, o re; ma sul tuo fato
    Il silenzio non giace, onde l’umana
    Plebe è coperta;
    E la storia del tuo nome solenne
    Coi secoli si muove.

                    Eri di donna
    Nato, e spirto caduco in te si chiuse
    Come nel volgo dei mortali, o l’alta
    Armonia delle sfere alla tua creta
    Trasfuse alito eterno?
    Sento, che il mondo ancor geme dell’orma
    Delle tue piante; – ahi! dunque in sulla terra
    Non ti guidò l’amore . . . . . .

                    Chi misurarti
    Col pensiere vorrà, se il tuo fantasma
    Ratto venne, e disparve, alle atterrite
    Genti mostrando
    Mille faccie di tenebre e di luce?
    Quand’io mi sporgo sulla tua grandezza,

[p. 217 modifica]

    Mi coglie la vertigine. Chi sei,
    O crëatura del mistero? Il mondo
    Forse nol saprà mai. Nume, o demonio,
    Ti chiameranno incerti; – e il tuo concetto
    Forse l’inferno racchiudeva, e il cielo.
    . . . . . . . . . . . . . . . .

                    Il fiore
    Della vita per te crebbe solingo
    E nero, ed aura nol nodria feconda,
    E amor non lo guardò.

                    Nell’ora
    Dei mesti sensi, – quando cade il Sole,
    E sopra la natura si diffonde
    Addolorato come il guardo estremo
    D’un amico, che muor, – piangesti mai?

    Il vïator, che tenta le tempeste
    Dell’antico Oceáno, andrà tremante
    All’Isola romita, ove il tuo Genio
    Impotente si giacque, o sventurato.
    E la mente commossa andrà cercando
    Per l’ombre della morte il tuo fantasma,
    Che scongiurato apparirà. Funesta
    Luce balenerà sulle tremende
    Sorti dell’uomo, e gemerà . . . .

    E se mai le ridenti illusïoni
    Ti rinfrescavan di fiori la fronte,
    Il dolor li appassiva;
    E la tua fronte, pallida, atterrita,
    Trono severo d’un pensier di morte,
    Cadeva a terra.

                    L’Aquila gloriosa,
    Del cenno tuo terribile ministra,
    Che tra gli artigli un dì portava il mondo,

[p. 218 modifica]

    Or s’è conversa in avvoltoio, e nido
    Fa nel tuo cuore.

                    Lungo le deserte
    Rive dell’Oceáno il mio pensiere
    Scorge l’anima tua, che insegue l’ombra
    D’una potenza, che passò. Delirio
    Supremo d’una mente imperatrice
    È il tuo delirio. A che nel dì fatale
    Non ti ascondesti nel sepolcro?

                    Nei silenzi della notte, quando
    La vision dello spirito è più chiara,
    Gemi profondo, e chiudi gli occhi, e d’ambe
    Le man serri gli orecchi. Oh! che intendesti?
    O minacciosi vedesti agitarsi
    I milioni delle anime sprecate
    Nelle tue cento inutili vittorie?
    Fulminato è il Titano; una ruina
    Vasta cuopre un impero, e l’atterrito
    Sguardo delle nazioni al ciel dimanda
    E alla terra dov’è la man, che tanta
    Forza prostrò. – Non fu mano creata:
    Dio ti percosse . . . . .

    Quanta passione ti salì nel cuore
    Il dì che la Fortuna ti gridava:
     – Non sei più re, Napoleon? – quel grido
    Ti corse tutta l’anima eccitando
    Le note più solenni del dolore.
    E fu dolor, che un’anima infinita
    Appena conteneva, – e a tanto peso
    Non so come reggesti; – e la Follia
    Forse dell’ala ti strisciò la mente,
    Ma tu nascesti forte, e la superba
    Testa portò il dolor come portava
    Un giorno la corona.
    . . . . . . . . . . . . . .

[p. 219 modifica]

    Il Guerriero morì, nè il capo stanco
    Morendo abbandonò sopra gli allori,
    Nè il sospiro mischiò dell’agonia
    Col sospiro dei forti. Entro al silenzio
    Della natura si disperse il Grande.
    E solingo spirava ai giorni antichi
    Catone,
                allor che un fato iniquo
    E una virtù, che il mondo oggi sconosce,
    Di terra in terra travolgean ramingo
    L’ultimo dei Romani.
    Sulle arene di Libia inospitali
    Venne traendo l’anima indomata;
    E poichè fremer si sentì da tergo
    Di Cesare il delitto e la fortuna,
    Chiamò la morte, e intemerato un ferro
    Si ascose nelle viscere.
                    Libertà d’un santo
    Amplesso a lui cinse lo spirto, e insieme
    Nei cieli si confusero.

                    E la Sventura
    Parte scontò del tuo delitto, o forte,
    E velò d’una lacrima il soverchio
    Raggio della tua gloria: – e forse un giorno
    Pellegrini verremo alla tua tomba,
    Dove or siede custode la vendetta
    Dei regi che tremarono, e un sospiro
    Alle deserte ceneri contende.
    E la Sventura eterna ha sulla terra
    Una religïone, – e nel sepolcro
    L’uomo non va, se prima non l’adora.
    E la Dea più tremendo sacrificio
    A te chiese, che agli altri; – il pianto chiese
    E il servaggio dei popoli, – e tu desti
    La servitù col pianto; – ed eri allora
    Sacerdote e non vittima, e calcasti
    La crëatura come pavimento;

[p. 220 modifica]

    E confitta per sempre la fortuna
    Credesti aver sotto le piante, – e forte
    Eri fra tutti i forti, e la tua spada
    Simile al raggio del Pianeta eterno
    Girò sull’universo. Ancor la terra
    Lo scalpito rammenta del cavallo
    Che ti portava alle vittorie, – e vinti
    Fur tutti, – anche la patria.

                    Più non avesti freno
    Dacchè vedesti i popoli agitati
    Giuoco della tua destra; – e un riso amaro
    Dei mortali ti prese, – e il firmamento
    Forse afferravi col pensier profondo,
    Pensier, dove fremea l’onnipotenza.

                    A mezzo il corso
    Cadesti; e quando il tuo pensiero anelo
    Si affacciava al futuro, era un’immensa
    Di tenebre pianura l’avvenire.

                    Un’eterna
    Religïone adunque ha la Sventura
    Dai mortali adorata, – e un sacrificio
    Più che agli altri tremendo a te chiedea,
    E ti rapì la folgore di mano
    Onde al suo truce simulacro un mondo
    Immolavi, e la forza ti fugava
    Dal braccio onde squassasti un dì la vita
    Delle nazioni. Uomo tornasti, e tutta
    Sentisti l’umiltà di nostre sorti.

Note

  1. [p. 224 modifica]Questi frammenti, quali noi li presentiamo ai Lettori, furono dall’Autore offerti in dono a un Amico suo dilettissimo. Forse egli intendeva da prima ordinare nel contesto di un componimento i concetti e le immagini, che venne in essi notando; ma nol fece poi mai.