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Or s’è conversa in avvoltoio, e nido
Fa nel tuo cuore.
Lungo le deserte
Rive dell’Oceáno il mio pensiere
Scorge l’anima tua, che insegue l’ombra
D’una potenza, che passò. Delirio
Supremo d’una mente imperatrice
È il tuo delirio. A che nel dì fatale
Non ti ascondesti nel sepolcro?
Nei silenzi della notte, quando
La vision dello spirito è più chiara,
Gemi profondo, e chiudi gli occhi, e d’ambe
Le man serri gli orecchi. Oh! che intendesti?
O minacciosi vedesti agitarsi
I milioni delle anime sprecate
Nelle tue cento inutili vittorie?
Fulminato è il Titano; una ruina
Vasta cuopre un impero, e l’atterrito
Sguardo delle nazioni al ciel dimanda
E alla terra dov’è la man, che tanta
Forza prostrò. – Non fu mano creata:
Dio ti percosse . . . . .
Quanta passione ti salì nel cuore
Il dì che la Fortuna ti gridava:
– Non sei più re, Napoleon? – quel grido
Ti corse tutta l’anima eccitando
Le note più solenni del dolore.
E fu dolor, che un’anima infinita
Appena conteneva, – e a tanto peso
Non so come reggesti; – e la Follia
Forse dell’ala ti strisciò la mente,
Ma tu nascesti forte, e la superba
Testa portò il dolor come portava
Un giorno la corona.
. . . . . . . . . . . . . .