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Articoli - Osservazioni sopra uno Scritto di Melchior Missirini

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OSSERVAZIONI

SOPRA UNO SCRITTO

DI MELCHIOR MISSIRINI

INSERITO NEL N.º 37

DELL’INDICATORE LIVORNESE


― 18291


Nè in tante lodi chieggo altro che modo.


Quando la Natura formò la bizzarra famiglia del genere umano, decise che la più parte di noi saremmo maligni, e in questo ci saranno le sue profonde ragioni, perchè ella è savia, e si muove ad operare pensatamente, non come facciamo noi, che il più delle volte ci moviamo, perchè il muoversi è oramai destino delle gambe. E l’uomo usa della sua natural dote di malignanza, come di vela buona per ogni vento, perchè maledisce a torto, e a diritto; però quantunque volte in questo mondo sotto la luna si produce opera, sia pur bella e innocente, non man[p. 170 modifica]cano mai le migliaia a morderla da tutti i lati, nè alla giustizia è dato il passo, finchè la provvidenza della noia o della morte alle migliaia non imponga silenzio. Ora, essendo così ordinato dalla sacra Necessità, non resta che darsi pace; e quando un amico gentile piega spontaneo, e senza mire d’interesse, a favorire onoratamente le cose tue, conviene ringraziare la Fortuna del miracolo, e l’animo gentile rimunerare con quella liberalità maggiore, che il cuore ti detta. Già a chi pretende il nome di galantuomo è necessario pagare i suoi debiti; a un debito poi di cortesia vuolsi nel modo più acconcio soddisfare, poichè l’è merce carissima, e mala pena trovi chi sappia fidartene dramma. Quindi intendiamo noi, nè più nè meno, mostrarci riconoscenti a Melchior Missirini, perocchè gli piacesse dare alla città nostra un pensiere e una parola di lode. Non mica, che noi crediamo di essere in cima o in fondo, perchè questi o quegli venga a recarcerne la novella; – no davvero: – il parere dell’individuo non tramuta l’indole delle cose; i fatti danno sentenza, nè a questi puoi contradire, per quanto tu meni in giro la lingua. Noi attestiamo gratitudine soltanto all’espressione della benevolenza, perchè un intimo sentimento ti sforza ad amare chi ti ama, e ci rallegra assai a veder l’uomo rompere per un momento il patto di guerra che ha coll’altr’uomo, e drizzargli voci di conforto, e di amore.

Ma noi sopra ogni altra cosa amiamo la Verità; però al Missirini non giunga discaro, che gli si notino alcuni punti del suo discorso; dove egli trasmodò per soverchio di spirito ben disposto, o perchè agio non ebbe a sapere precisamente le cose come stanno. I professori di prudenza ci hanno sovente [p. 171 modifica]dissuasi da questo studio del vero, sforzandosi a dimostrarci come di rado o mai ci si trovi guadagno, e ci hanno per lungo e per largo chiosata la scienza del vivere in pace con tutti. Ognuno fa i conti secondo i suoi numeri; e costoro, come prudenti, forse dicono bene; ma io per ora voglio starmi alla mia fede, e dire il vero, o quanto mi parrà che sia vero, finchè i Casuisti mi concederanno libero arbitrio; se in séguito alcuna delle tante cause dominatrici della mente avverrà che mi travolga, peggio per me; ed io allora andrò in punta di piedi a pesare le opinioni sulla bilancia della paura!

Alla legge solenne, che i popoli spinge ora in alto, ora in basso, potenza mortale non può resistere; e il Genio stesso, suprema delle forze create, può modificare, ma non impedire, o volgere altrove quel moto. Oggimai un progresso d’incivilimento è manifesto nelle nazioni d’Europa; quindi la città nostra anch’essa ai tempi consente, perchè alle spinte in qualche modo bisogna rispondere. Gli uomini vecchi, sospirando i giorni del buon tempo antico, dicono invece che la città sia declinata di male in peggio; ma i ricordi del passato, confrontati coll’evidenza del presente, senza rispetto danno la mentita agli uomini vecchi. Non v’è che dire: le condizioni hanno cominciato a migliorare, specialmente perchè adesso è la volta di salire; nondimeno gran parte della via rimane da corrersi, nè io credo, che mai basteranno l’alacrità dell’animo, l’intensità del desiderio; e taluno vorrebbe, che quei tanti nodi d’unione fossero stretti meglio che ora non sono. Per altro a lasciare senza onore di lode i pochi istituti, base alla nostra rigenerazione futura, sarebbe invidia fuor di luogo, perchè il vero a lungo andare [p. 172 modifica]rivendica il suo diritto, e a chi si spetta l’infamia non manca. Lodare le azioni buone, e vituperare le triste, io credo che sia sapienza; non dipingere tutto di nero, o di color di rosa, come è il costume di molti; perchè la Natura eternamente si gira sopra questi due perni, il bene ed il male, e l’intemperanza dell’amore o dell’odio traversa la strada al giudizio. Adunque favellò sanamente il Missirini della Scuola di Mutuo Insegnamento, istituzione, che non sarà tenuta mai cara quanto si merita; non foss’altro per tanta impostura di antichi metodi manomessa; e i forestieri sempre hanno fatto plauso, affermando, che è scuola da reggere il paragone con altre, le quali io non voglio rammentare. E a buon diritto fu commendata eziandio la Scuola di Architettura; e il Cittadino liberale2, che le dà vita dell’uniche sue sostanze, accolga, se vuole, anche il voto della nostra stima verace. La Società Medica, non so per quali ragioni, e se non altro per l’incostanza decretata alle cose umane, stette presso a disciogliersi; poi, mediante alcuni provvedimenti usati per tempo, si strinse di nuovo, ed ora procede con più vigore di prima, ond’è che le va il doppio di lode. La Scuola poi di Disegno figurativo non è sovvenuta, come dice il Missirini; bensì doveva essere; e la generosità municipale aveva già destinato il soccorso, ma un altro consiglio dispose altrimenti, e bisognò non farne nulla. Tuttavia quei Signori hanno dimostrata buona intenzione, e ogni volta che si presenti da fare del bene è da sperarsi che andranno avanti, a meno che taluno non venga a dir loro, che tornino indietro.

Che dirò io dell’illustre Accademia Labronica, intesa allo studio della lingua, allo esercizio del Genio, e all’acquisto del sapere? [p. 173 modifica]

Imprese belle son queste, ma gli accademici presentemente, forse per avere altro che fare, non ci hanno gran cosa badato; nonostante promettono di farlo quanto prima; e già da mattina a sera pensano a diventare il rovescio di quel che furono, e tu li potresti vedere tutti in faccende a costituire un corpo di leggi, perchè l’Accademia si trasformi in adunanza di gente che pensa, e non di gente che fa rumore; e so di certo, che hanno fatto giuramento di lasciare a casa i sonetti, e quante altre mai cianciafruscole in prosa e in rima inventò l’ozio, e la povertà del cervello; ma invece si affibbieranno la giornea a ragionare sul sodo; e quando non avranno da ragionare sul sodo, piuttosto staranno cheti, perchè, se l’uomo parla a motivo che le parole non costano nulla, il silenzio costa anche meno3. Questo hanno promesso di fare gli Accademici, ed io quasi quasi malleverei, che non vorranno mancare per cosa al mondo, sapendo essi meglio di noi, che la promessa


Agli animi gentili è sacramento;


per dirla così di passaggio con Lodovico Ariosto. E al primo congresso potrebbero quei valentuomini proporre un quesito: – Perchè la verità ami la solitudine, e sia tanto ritrosa di convenire laddove è gran frequenza di mondo; e se ella ebbe mai il breve di accademica, e quante volte in capo a cent’anni lesse la sua diceria? ―

Ora è il tempo di venire alla emulazione liberalissima che hanno i Livornesi di regalare le private librerie ad una Biblioteca pubblica. Forse ho la vista corta, ma io della gara ardentissima non vedo nul[p. 174 modifica]la; anzi si tace così profondamente di questo progetto, che io dubito forte se ci abbiano mai pensato una volta. Dell’utile ed ornamento che alla città ne verrebbero, io non ho pazienza di trattare, perchè mi par mill’anni di finirla con questo discorso di rimbecco, ma i discreti sel possono vedere senz’altro bisogno. Così radunando in un luogo il sapere dei morti e dei vivi, chi volesse saggiarne tanto o quanto, andrebbe, e con pochi passi sarebbe contento; – oggi ci vogliono invece ricerche lunghe, e scudi, e tante volte non serve. E quì fate pausa, di grazia, un momento, e considerate quanto mai gioverebbero i libri pubblici agli uomini d’ingegno; – certo gioverebbero immensamente, perchè fino alle ricerche gli uomini d’ingegno possono spendere, ma, quanto agli scudi, qui giace nocco; e pare che la Natura gittasse una tal quale antipatia fra l’ingegno e gli scudi, onde avviene, che mai non li trovi insieme, o raramente davvero. Io non so se il dire faccia frutto, perchè allora durerei anche un anno a dire: – statuite la Biblioteca del pubblico; – pure, benchè non mi abbandoni il braccio della speranza, non mi pento di aver mandato fuori queste poche voci senza proposito, attesochè la nostra mente sia predestinata a dipendere ben anche dal minimo soffio. Nondimeno conforto chi sa ragionare per filo e per segno a sviscerare questo argomento secondo il merito, e presentarlo palpabile ai miei concittadini, affinchè si muovano all’opera4; e dove si cominciasse una volta, io stesso volentieri darei subito via i pochissimi libri miei, soprattutto perchè, a dirla schietta, non ho gran fede nè in me, nè in loro. Alle volte odo mormorare, che alcuni padroni di molti libri li vorranno lasciare in punto di morte. Già i savi mi han[p. 175 modifica]no rivelato come questa non sia cosa da andarne tronfio, perchè in punto di morte non ci sono altre strade da prendere, se non quella di lasciar tutto, cominciando dall’anima. E questi tali a parer mio non patiscono abbondanza di senno, e mai non meriteranno il bell’elogio, fatto non so quando ad un ricco generoso. Sentite come dice: Tu non aspettasti a spogliare la tua veste in pro del bisognoso, quando la Natura ti copriva di una veste che non deve lasciarti più mai. Così cantava Aboutthayp Ahemed Ben-Alhosain Alucotennabby, poeta Arabo, in una elegia per la morte di un Fatik Egiziano. E, perchè io non voglio farmi bello delle penne altrui, sappiate, che la citazione l’ho tolta in prestito da un amico mio dolce.

Che diremo di un Giornale diretto a far rivivere, ec.

Quì la fantasia ha vinto la mano all’onesto Missirini; la dose è troppa carica, e noi non l’accettiamo, per timore che i fumi non ci salgano al capo. L’Indicatore Livornese non è l’effetto di menti combinate a dargli un disegno, una tendenza, un alimento continuo, come si converrebbe; è un povero foglio bianco, annerito da pochi giovani qua e là dispersi, i quali alla meglio si schermiscono, e cercano mantenergli la vita; ma poco è il numero, poco l’ingegno, poco la dottrina; – hanno la buona volontà, ma questa così sola non è cibo, che lusinghi il palato di molti. E qui cadrebbe in acconcio, che la crescente gioventù, animata di poetica inspirazione, adoprasse l’estro un po’ meglio, e desse spinta alla barca: altrimenti ho gran paura non si rimanga in secco. Questo povero foglio non cerca frasche d’alloro; chiede solo compatimento, e gli uomini di [p. 176 modifica]giudizio son certo che gliel daranno. Ma gli uomini di giudizio tu li puoi contare, e gran mercè se per ogni paese oltrepassi contando le dieci dita. La turba ride del povero foglio, e a ridere ci vuol poco; e cominciando dalle femmine, e terminando nei pazzi, tutto il mondo sa ridere. Ma questo dileggio, sia pur meritato, non invoglia punto a pensar bene dell’umana natura, segnatamente quando egli si parte da persone obbligate a fare il contrario, non foss’altro, perchè il cielo medesimo ci ha veduto nascere. Che se poi l’uomo vuole il freno libero alle sue matte libidini, bene sta; ma allora non faccia mal viso, se gli austeri intelletti si levano sul creato a maledire; e non occorre che egli venga fuori a giurare, che l’anima sua è un raggio delle stelle; nè come il saltimbanco s’empia la bocca delle magnifiche parolone – <lumi, civiltà, filantropia; – no, non è maschera, che basti all’infamia; invece si rassegni, e confessi d’essere iniquo e ignorante, come erano i padri suoi. Ma ritorniamo a noi. Questo povero foglio non può competer con tanti altri giornali, che vanno per la maggiore: in quelli scrive il popolone dei letterati a tre code, e per lo meno vincono col numero delle pagine. È un povero foglio, che merita la scomunica, perchè non ha detto agl’Italiani: – rimanetevi fermi sul solco, che avete segnato finora. – No, non ha parlato così agl’Italiani, avvisando, che a starsi per terra non bisognino nè maestri, nè scienze. È un povero foglio, che merita la scomunica, perchè finora non ha messo il dente nella lama di nessuno, nè sa di cortigiano, o di troppo devoto ai patriarchi in materia di Lettere, e qualche volta ha gridato agl’Italiani: ― Sorgete all’o[p. 177 modifica]nore, amate una patria, e siate finalmente fratelli, e forti dell’anima. ― È un povero foglio, ve lo ripeto; compatitelo, se potete.

Note

  1. [p. 181 modifica]Dall’Indicatore Livornese, N.º 41.
  2. [p. 181 modifica]Il Cav. Carlo Michon. ― Egli fu veramente buono e liberal cittadino, ed uno dei rarissimi che fanno il bene per amore sincero del bene.
  3. [p. 181 modifica]Sappiamo che quest’Accademia riformò poi i suoi statuti nel 1837.
  4. [p. 181 modifica]Ciò che più merita di essere qui ricordato si è, che l’Accademia Labronica nel Giugno del 1840 propose di render pubblica la sua Libreria, invocando il concorso dei cittadini per provvedere all’incremento della medesima, e sostenere le spese indispensabili all’uopo. I cittadini risposero all’invito con offerte di Libri, e obbligandosi a pagare una modica somma per cinque anni. Giova sperare che non verrà meno negli anni successivi il buono spirito, che già li mosse a secondare la bell’opera. La Libreria conta adesso oltre 10,000 volumi, ed è aperta al pubblico quattro giorni della settimana. È debito di giustizia il rammentare come promotore operoso della onorevole impresa l’Avv. Giuliano Ricci, allora Socio e Presidente dell’Accademia.