Sciotel/Parte Terza/Capitolo Secondo
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Capitolo Secondo
Animato dai principî innanzi esposti, io mi son dato per parecchi anni allo studio del mio progetto, apportandogli di anno in anno quelle modifiche che mi pareano opportune, ed ingegnandomi sopratutto di far sì che esso riuscisse immune dai gravi difetti da me già esaminati.
Tutto il mio progetto, tutto il mio programma si compendia in poche parole; nel titolo cioè della Compagnia che io propongo; esso titolo è il seguente: Società di colonizzazione agricola e commerciale.
Come si vede il campo della Società non è per niente limitato; poichè dovunque si possa formare una colonia agricola, dovunque si possa istituire una fattoria commerciale, ivi la nostra società potrà spiegare la sua proficua azione.
Se io propongo Sciotel, come punto di partenza delle nostre operazioni, non è già perchè l’opera nostra si debba ivi arrestare, ma perchè quella regione non ha bisogno di essere esplorata per vedere che cosa è atta a produrre, sapendo noi, dalle relazioni e dalla esperienza dei primi coloni italiani, quali coltivazioni si possono fare con gran profitto, e come i nostri coloni sarebbero quivi accolti con gioia grandissima, come esporrò meglio nel capitolo seguente.
Intanto mi piace di riportare qui un tratto della Memoria sull’ordinamento politico amministrativo e sulle condizioni economiche di Massaua, presentata alla Camera dei Deputati dal Ministro degli affari Esteri nella tornata del 30 giugno 1886.
«Attorno ai nostri presidii si agglomerano le popolazioni che cercano riparo contro il flagello delle razzie. Basta che si sparga la voce dell’arrivo di qualche banda di predoni, perchè gli indigeni accorrano da ogni parte coi loro bestiami, cioè a dire con quanto posseggono, per mettersi sotto la protezione della bandiera italiana, che per essi vuol dire sicurezza e giustizia.
Questo sentimento degli indigeni è riepilogato nelle parole dette da un capo di tribù ad un nostro generale che, trovandosi a Massaua, accompagnò un distaccamento di soldati spediti per difendere Arafali da una incursione di predoni: Volesse Allah che gli Italiani venissero anche fra di noi!»
Queste parole vengono a confermare quanto scrissi nella prima parte di questo lavoro; che cioè il principe Haylù, nel concedere Sciotel al padre Stella, aveva principalmente in mira di garentire i suoi sudditi dalle razzie delle tribù nemiche; e che per ottenere ciò, credea si potesse unicamente affidare agli Italiani.
È chiaro adunque, che questo convincimento dei capi indigeni ed il nome del padre Stella, che fra loro è ancora vivissimo, agevolerà immensamente l’opera nostra in quelle regioni.
Noi di fatto non saremo costretti di conquistare a palmo a palmo il terreno, come hanno fatto altre nazioni; noi non saremo costretti di acquistarci a poco a poco, e con pazienza e sacrificii infiniti, la benevolenza di quell’indigeni, essendo già essi da più di venti anni ben disposti a nostro favore; noi non saremo infine costretti di tenere ivi grossa guarnigione, poichè gli indigeni, nel caso che dovessimo respingere qualche invasione di Abissini, non solo non sarebbero a noi avversi ma si metterebbero valorosamente al nostro fianco, per difendere le loro famiglie e le cose loro; essendo che i nemici nostri sono pure nemici loro accanitissimi.
Si aggiunga a ciò l’esplorazione agricola di quella regione, già fatta con risultato felicissimo dai nostri primi coloni, come ho detto nella prima parte: si aggiunga la buona fama che, meritamente godiamo per opera del padre Stella; si aggiunga il diritto sacrosanto che abbiamo sempre conservato su quella regione, e che non ci può essere tolto da qualsiasi trattato, e si vedrà che non a torto io propongo Sciotel.
2. Del resto, lo ripeto anche una volta, la nostra Società non sarà particolare, e circoscritta ad una determinata regione, ma potrà operare dovunque, sia nell’Africa stessa sia nell’Oceania, e forse anco in America. L’unico limite che io metto, l’unica condizione sine qua non, si è che nelle imprese agricole, nelle commerciali, e, se sarà necessario nelle guerresche, sola nostra guida sia la croce di Savoia, e non sventoli altra bandiera accanto alla nostra, poichè non è possibile, e sarebbe anche pernicioso, il servire contemporaneamente due padroni.
Ed essendo la Società generale, non solo la colonizzazione all’estero, ma anche quella all’interno, in Italia, potrà formare obbietto della sua attività. Mi spiego meglio. Abbiamo in Italia alcuni vasti territorii ed intere regioni, che, se non sono così sconosciuti, come quelle dell’Africa, non sono però meno inospitali ed improduttivi; poichè i leoni, i serpenti velenosi, la mosca zezè, e i negri, non sono tanto perniciosi quanto il bacillo della malaria!
Questi territorii italiani, che oggi producono poco o nulla di bene, anzi producono danno, potranno col tempo essere bonificati e sfruttati dalla nostra società.
Io aveva pronto un progetto anche per la colonizzazione interna; ma poi l’ho messo da parte pensando che la Società non potrebbe, per ora, occuparsene proficuamente: se alcuno però desidera conoscere come io intendo la colonizzazione all’interno, legga l’articolo inserito nella Gazzetta di Napoli, alla pagina 131.
La colonizzazione all’interno si potrà fare quando la Società, impinguate le sue casse coi facili e grossi guadagni che affluiranno dalle colonie estere, sentirà il bisogno d’impiegare gli esuberanti capitali anche con modesto profitto. Allora sarà il caso di studiare bene e di cominciare lo impianto di colonie agricole interne, militari, come io ho progettato di fare.
3. Se l’affetto, che ogni autore porta naturalmente alle cose sue, non mi fa travedere, mi pare, che il non avere io posto limite alcuno al campo di azione della Società, forma uno dei principali pregi del mio progetto. Il quale, non essendo studiato per una regione determinata e per le condizioni peculiari di essa, si può adattare non solo per la colonizzazione di Sciotel, ma dello Harrar, dello Scioa ecc. ecc.
Da ciò ne segue che, se per caso ci sarà chiusa la via di Sciotel, il che certamente non avverrà, la Società di colonizzazione potrà rivolgere altrove lo sguardo, senza aver bisogno di studiare altri progetti ma servendosi dello stesso progetto.
Di più potrebbe benissimo accadere che, iniziati i lavori di colonizzazione in un certo punto, si vedesse che ivi, almeno per i primi anni, il profitto non corrisponde alle oneste aspettative degli azionisti, e bisognerebbe attendere parecchi anni per ricavare un utile proporzionato, ovvero abbandonare la impresa. Intanto l’esplorazioni agricole (che dovranno essere il principale obbietto della Società) potrebbero additarci nuovi campi, sui quali, sin dal primo anno si potrebbe spiegare con grandissimo lucro la nostra operosità; ed allora, trovandoci bello e pronto il progetto, daremmo subito mano a sfruttare le novelle regioni, senza abbandonare la prima impresa con sicura perdita di capitali.
E così il grosso profitto, che si ricaverebbe da una regione, compensandosi col meschino dell’altra e ristabilendo l’equilibrio economico, farebbe sì che i capitalisti non solo non risentirebbero danno alcuno, ma avrebbero un giusto ed adeguato compenso ai capitali impiegati; e perciò potrebbero serenamente attendere che i primi lavori venissero a perfetta maturità.
Essendo poi la Società non solo agricola ma commerciale, potrebbe anche accadere che in certi punti non attecchissero bene le colonie agricole, ma divenissero invece fiorentissime le fattorie commerciali; ed in questo caso la Società, disponendo di un progetto adattabile ad ogni ragione, svilupperebbe di preferenza in una parte le operazioni commerciali, in un’altra quelle agricole; e ciò senza fastidio alcuno, senza andare soggetta a pericolose scosse finanziarie.
Osservo infine che il mio progetto, e per conseguenza anche la Società, essendo generale e non particolare e per una determinata regione, può assorbire i progetti singoli, parziali; ma non potrà mai essere assorbita da alcuno, poichè la Società può aumentare le sue azioni sino a cento milioni.
4. M’intrattenni innanzi, e lungamente, sul grandissimo difetto della sproporzione tra i capitali che s’impiegano e il fine cui si tende; venendo alla conclusione che esso produce immancabilmente la cattiva riuscita di quel progetto che lo racchiude.
Ora mi affretto a dire che il mio progetto non presenta, nè potrebbe presentare, siffatto pericolo; poichè la sopradetta sproporzione gli è del tutto estranea, ed esso, anche per questo aspetto, si può adattare a tutto; sia al grande, sia al piccolo, tanto è, sarei per dire, flessibile, elastico.
L’ideale che informa il mio progetto è grande, è patriottico, poichè io miro ad esonerare l’Italia da due gravissimi tributi; dal tributo di 190 milioni, che essa è costretta pagare ogni anno all’Estero, per fornirsi di generi principalmente coloniali, come caffè, zucchero, cotone, tabacco, indaco ecc.; e dal tributo di circa trecento milioni di franchi che (oltre i 190 milioni sopradetti) rappresentano la superiorità della importazione sopra la esportazione.
Ad ottenere questo legittimo e patriottico intento, non vedo altra via, all’infuori della espansione coloniale; poichè dalle colonie agricole noi ricaveremo il caffè, il tabacco, il cotone ecc.; e le fattorie commerciali, facendo meglio conoscere i nostri prodotti ed introducendoli nei mercati dove sono affatto sconosciuti, faranno a poco a poco aumentare la nostra esportazione sino a pareggiare, se non superare, la importazione.
Io mi son fitto in testa che, restaurando la colonia italiana di Sciotel nei Bogos, noi in meno di cinque anni domineremo commercialmente, l’Abissinia, i paesi Galla lo Scioa, l’Harrar, ecc. ecc. e con l’andare del tempo li domineremo anche politicamente.
Comprendo che, prima di ottenere il dominio politico di quelle regioni, si vedranno scorrere parecchie està; ma noi non dobbiamo guardare soltanto il presente, ma pure all’avvenire; poichè c’incombe il santo dovere di pensare anche ai nostri figli, ai nostri nipoti, come i nostri padri e i nostri avi pensarono a noi.
Se i nostri antenati avessero tenuto presente soltanto il loro utile, il loro interesse certo noi oggi non avremmo castagni, quercie, olivi ecc. ecc. E se noi vogliamo affidare alla terra dei semi che fruttino subito ed unicamente per noi, vuol dire che siamo un popolo destinato fatalmente a perire! abbandoniamo le grandi idee, le grandi colture, e restringiamoci a coltivare cavoli e carote!
Il fine ultimo adunque, cui tende il mi progetto, è grande, sublime, ispirato dal più ardente amore di patria; poichè io sogno, ad occhi aperti però, io sogno per la nostra Italia il più vasto, il più ricco impero coloniale del mondo!
Desidererei che si tornasse ai tempi del Tu regere imperio populos Romane memento; e, per conseguire siffatto ideale, occorrono naturalmente mezzi adeguati, grandiosi. Ma ciò non impedisce che altri, forse più pratici di me, si contentino del profitto del capitale impiegato, e non chiedano altro che il loro utile, poco curandosi della politica e dello avvenire della nazione.
E sia: non si spaventino codesti signori, chè io non chiederò centinaia di milioni; il mio progetto si può attuare, o per dir meglio si può iniziare sia modestamente con poche centinaia di migliaia di franchi, sia grandiosamente con le centinaia di milioni.
Il tutto sta nel fine che si vuole conseguire (come si vedrà meglio nella parte tecnica); si possono coltivare da cento ettari di terreno sino a ventimila; si possono impiegare soltanto mille lire in acquisto di mercanzia, e se ne possono impiegare milioni ecc. ecc.
Nè si dee credere che io, accettando e proponendo lo impiego di poche centinaia di migliaia, intenda abbandonare il mio ideale; poichè noi riusciremo sempre allo stesso punto, e forse con più sicurezza; è quistione soltanto di metodo.
5. Dissi innanzi che vi ha delle imprese le quali, sin dal loro sorgere, richiedono gran copia di mezzi, grande impiego di capitali; e vi ha delle altre, che, pur mirando ad un fine grandioso, vanno iniziate modestamente con poca spesa.
Ora l’impresa coloniale, come è da me vagheggiata, dovrebbe essere iniziata con la spesa di molti milioni, poichè noi dovremmo, fin dal primo anno, fare delle spedizioni e fondare delle colonie agricole e delle fattorie commerciali nell’Harrar, nello Scioa, nei Galla ecc. Ma essa impresa si presta benissimo ad essere cominciata con pochissimo capitale, e soltanto a Sciotel; poichè a poco a poco dovrà necessariamente espandersi nelle altre regioni.
Mettete in un vase da fiori una pianta piccola, ma capace di farsi a poco a poco albero di gran fusto e fronzuto; essa, per pochi anni, è soddisfatta, è sazia del poco nutrimento che ricava dal magro e gramo terreno che la circonda; ma verrà il giorno in cui le sue forti radici, infranta la debole creta che le tien costrette, s’insinuano da per tutto, in cerca di nuovi e più sucosi principî nutritivi.
Così è il mio progetto; e sia che, sin dal suo inizio, si esplichi in vaste regioni, sia che si voglia restringerlo in breve cerchia, il suo campo deve assolutamente espandersi, divenir grande, facendo risorgere a vita novella il popolo italiano.
Io, benchè mi sia fatto promotore di così nobile e patriottica impresa, pure, nel mettermi all’opera, non mancherò di seguire docilmente i miei soci, e non mi opporrò affatto alla loro volontà. Se avrò la ventura di avere a compagni uomini che, in tutto e per tutto, siano del mio avviso, noi opereremo in grande; se poi i miei soci saran pochi, o avran di mira soltanto il loro particolare interesse, cominceremo le nostre spedizioni da Sciotel.
Ed anche a Sciotel potremo cominciare in piccolo od in grande; essendo io pronto a fare la spedizione pure con pochi, e con l’intendimento di coltivare pochissimi iugeri di terreno; poichè ho ferma convinzione che io e i miei soci saremo assolutamente attratti verso il conseguimento del mio ideale da una forza a noi infinitamente superiore; cioè dall’assoluta necessità di espandersi, che anima la nostra vigorosa e giovane nazione.
Necessità che tutti gli uomini intelligenti d’Italia sostengono, proclamano ad alta voce e con gli scritti e con la parola.
Necessità che solo i ciechi non vedono; e che vien negata soltanto dagli uomini di mala fede e dai falsi patriotti.
Ecco adunque come io non abbandono il mio ideale; poichè, comunque sia per essere accolto il mio progetto, purchè si cominci a metterlo in esecuzione, si riuscirà necessariamente dove io tendo.