Scherzi morali/La sordità
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LA SORDITÀ
A
MARTINO ORSINI
MMartino mio, dirigere
aA te vo’ i versi miei....
rRidi? Che c’è da ridere?
tTu che ognor mesto sei!
iIo non ti so comprendere,
nNo, no, Martino mio......
oOra comprendo, caspita!
OOra, caspiterina!
rRidi, che son bazzecole
sSon cose da dozzina.
iIntendo ben! ma inutili,
nNo, non saranno affatto.
iI libri a’ pizzicagnoli un ben sempre l’àn fatto.
LA SORDITÀ
Inveni! inveni! eh! via, che l’ho trovato!
Alfin di tanti secoli ’l disio,
Oggi certo da me sarà appagato.
Da me?...... Sì, sì, l’appagherò sol io.
Ho ritrovato come in fondo a un core
Legger si possa se c’è sdegno, o amore.
Eccola qui la gran scoperta mia:
Finga ognun di sentir con grave stento,
Finga ancora un pochin di miopia.
Di questo sol sarò ben io contento,
Con questo sol puossi scoprire, in vero,
O se l’amore è finto, o s’è sincero.
— Eh! via, che ti vien su per quella testa?
Che ti vien su, gran capitan di matti?
Cosa da nulla la ti par codesta?
Valla a far creder, valla, a’ mentecatti.
Ce l’abbiamo, sicuro! un po’ di mente
Per capir le sciocchezze immantinente. —
Poter del mondo! Ognun si meraviglia?
Non ci crede nessun, caspisterina?
Oh! che confusion, che parapiglia!
L’universal giudizio s’avvicina.
Attente, donne, un poco, e ’l ritrovato
Chiaro vel mostrerò bello e provato.
Supponete ch’io sia miope un poco,
E che ci senta ben di tanto in tanto;
Che acceso nel mio cor fosse quel foco,
Che amor s’appella, amor sincero e santo;
E che colei, che diede la scintilla
A tanto amor, fu Donna Petronilla.
A vederla, che sì, che si si muore
Sotto il suo sguardo pe ’l più vivo affetto.
È pallida nel volto, ed il pallore
E segno che c’è rosso in fondo al petto.
Se il fuoco interno attizza l’Etna nostra
Pallido fumo in su ’l crater cel mostra.
Ha un’occhio... «Che è un sol?» No, un’occhio solo,
E tuttavia così ci vede bene,
Anzi vede dall’uno all’altro polo.
Dirvi che ha baffi adesso mi conviene,
E una donna co’ baffi l’è un gran che,
Oh! oh! d’amarla solo tocca a me.
Supponete dippiù ch’ella m’amasse,
E che spedito un foglio anche m’avesse,
Ma se alcuna fra voi v’è che bramasse
Conoscer quel, che vi si contenesse,
Spalancasse le orecchic, e bocca aprisse,
E quello scritto dal mio labbro udisse:
Sospiro di quest’animo, giovanottin garbato,
Re, che non posso dirvelo se v’amo, o v’ho adorato
Al sol pensarvi m’agito, balzemi il cor nel seno,
Se il vostro amor non m’anima, sento venirmi meno.
Lo so che siete mïopie, ma l’è li minor de’ mali,
Ed è perciò che a scrivervi mi caccio su gli occhiali,
I mïopi mi piacciono, mai sempre i’ ve l’ho detto,
Che se han la vista corta, han lungo l’intelletto.
So pur che nell’udire, un po’ voi ci stentate.
Anche l’è quello un nevo, caro, non ci badate.
Scrivo con gran caratteri giusto, perché capire
Con faciltà possiate quel, che vi voglio dire.
Desidero conoscervi un po’ più da vicino,
Venite questa sera sotto al mio finestrino.
Veniteci, veniteci, vi brano e vi sospiro,
È un dì, e par mill’anni, bello, che non vi miro.
Veniteci, veniteci, se per me è ver che ardete.
Non ha più nulla a dirvi
La vostra
Chi sapete.
Oh! sì, che m’ama la donzella mia!
Zitte un pochino, eccola qui, la viene.
Che grazie, veh! che grazia e simpatia!
Metto le lenti, ma ci vedo bene.
Zitte! ch’io fingerò di non vederla,
La gioia mia, l’oriental mia perla.
È a braccio a un cavalier de’ più galanti,
Che guardi, dice, damigella guardi,
Conosce quel signor, che mette i guanti?
Lo conosce? Gli è desso il Rapisardi.
— Altro! se lo conosco il seccafistole
Dall’amorose, insulse e lunghe epistole. —
Al nojoso ciarlon caschi la lingua
Quando s’accinge a favellar d’amore,
Non ha mica un blason, che lo distingua,
D’un centesimo a niun va debitore.
Chi amar, poffare il ciel! chi mai potria
Un meschin professor di Geometria?
Eh! ci vuol altro che la matematica
Per vincere in amor, brutto somaro,
Non ci vuol testa, ma ci vuole pratica,
Non ci vuol core, ma ci vuol denaro,
Non ci vuole dottrina e non virtù,
Basta solo un pochin di sangoe bleu. —
Se non divengo, donne, catalettico,
Se il sangue non mi secca entro le vene,
Se non mi coglie un gran colpo apoplettico,
È miracol di Dio, che mi sostiene.
A pietà muoverei financo i sassi,
Ella non cura, e volge altrove i passi.
Ah! deh! per carità, datemi aiuto!
Io mi sento mancar, perdo la testa!
E chi mai, chi l’avrebbe, ahimè, creduto?
La Petronilla mia proprio l’è questa?...
Pur troppo ell’è.... conosco ben la voce,
E me l’ho fatto il segno della croce.
Non è dunque così bello e provato?
C’è da farne più alcuna meraviglia
Che turando gli orecchi a tutti è dato
Sentir lontan lontan le mille miglia?
Conoscer se in un cor c’è amore, o sdegno?....
Che gran scoperta! Io stesso ne convegno.
Non ci credea, che sì, ci credo adesso,
Asinaggin non è, me ne disdico.
Non erra mai, scusate, lo confesso,
Non erra mai qual si sia detto antico:
Che vi guardi il Signor dalle donnette
Ch’hanno in viso la mosca, o le basette.
Orbè! Ditelo voi? Non ce n’è niente?
Potrò divider mai numeri caffi
In due intere metà precisamente?
Oh! no. Dunque così colei, che ha baffi
Esempi non darà mai di virtù.
Ci son cascato, eh! non ci casco più.
— Ma nell’adagio ancor v’è un’altra parte,
Bentosto dalle donne sento dirmi,
Eh! via, signor, la non la tolga ad arte. —
— Altro non so, vorranno suggerirmi? —
— Sì, signor: Che le donne sian guardate
Dalle persone un pocolin sbarbate. —
Eh! non c’è da ridir, non c’è che fare!
Le donne a posta lor son obbliganti,
Ma però non si lasciano toccare,
Non le toccate, no, per tutti i santi.
Gran maestro di frodi è Belzebù
Ma le donne ne sanno una di più.
Che ve ne par, dunque, non ho ragione?
Non è sicuro il mezzo ed infallibile?
Eh! non v’inganno mai, donnette buone,
Fingete non sentir, che l’impossibile
Facil vi sembrerà tutto all’istante
Ed una è quell’istoria, in fra le tante.