Capitolo nono - Lusso e magnificenze di Trimalcione

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Petronio Arbitro - Satire (I secolo)
Traduzione dal latino di Vincenzo Lancetti (1863)
Capitolo nono - Lusso e magnificenze di Trimalcione
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CAPITOLO NONO

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lusso e magnificenze di trimalcione.



Intanto era il terzo dì arrivato, cioè il giorno della cena di liberazione annunciata da Trimalcione, ma a noi di quelle ferite turbati più la fuga che la quiete piaceva. Onde prestamente ce ne tornammo in locanda, e con vino ed olio ci medicammo, stando in letto, le leggieri nostre ferite.

Ma il rapitor stato vinto giaceva sul terreno, e noi temevamo di non venir conosciuti. Mentre adunque rattristati pensavamo come evitar questa nuova tempesta, un servo di Agamennone di noi così paurosi richiese, dicendo: Ecchè, non sapete voi presso chi oggi si faccia baldoria? Egli è Trimalcione, uomo magnifico, che ha nella stanza del pranzo un orologio, ed un trombetta istruito ad avvertirlo di tutti i momenti, ch’egli nella vita sua consuma. Noi quindi ci rivestimmo prestamente, obbliando i passati mali, e comandammo [p. 36 modifica]a Gitone, che ci avea assistito graziosamente come un famiglio, di seguirci al bagno.

Frattanto ci diemmo a gironzare, anzi pure a trastullarci, e entrar pe’ circoli de’ giocolieri, quando ad un tratto vidimo un vecchio calvo vestito di un palandrano rossiccio, che stava giocando alla palla con alcuni fanciulli a lunghi capegli. Nè furon tanto i fanciulli, che a quello spettacolo ci trattenessero, sebben degno ne fosse, quanto quel nonno1 che alla palla esercitavasi coi calzari. Ei non ribattea la palla, che avea toccato il terreno, ma un servo ne avea pieno un sacco, quanto ai giocatori bastava.

Varie altre novità rimarcammo. Eranvi due Eunuchi posti in diversi punti del circolo, de’ quali un teneva una mastelletta d’argento, l’altro noverava le palle, non quelle però, che gioco facendo lanciavansi colle mani, ma quelle che cadeano.

Intanto che ammiravamo cotai splendidezze, Menelao venne a noi dicendo: questi è colui, presso il qual mangerete. Non vedete voi che così principia la cena?

Ancor discorrea Menelao, quando lo splendidissimo Trimalcione fe’ scoccare i suoi diti, e a questo segno l’eunuco mise una mastelletta sotto al giocatore, il quale scaricovvi entro la vescica, poi chiese l’acqua alle mani, e i diti appena umidi sul capo di un ragazzo asciugò. Lunga cosa sarebbe descriver tutto. Entrammo ne’ bagni, e al momento che il sudor ci coperse passammo al fresco.2

Trimalcione già tutto strofinato di manteche faceasi fregare non con lenzuoli di lino, ma con mantelli di finissima lana. Tre di quei mediconzoli intanto trangugiavan falerno alla di lui presenza, e perchè gareggiavano a chi più ne versava, Trimalcione dicea loro, che bevessero pure allegramente il suo vino. Involto quindi in una tovaglia di scarlatto fu messo in lettica, cui precedeano quattro adorni lacchè ed una carretta [p. 37 modifica]a mano, dove portavasi un vecchio e cisposo mignone, più brutto del suo padron Trimalcione, di cui era la delizia. Così trasportato e accompagnato da alcuni armoniosi flautini si avvicinò alla di lui testa, e come se gli parlasse segretamente all’orecchio, canticchiò per tutto il cammino. Noi, stanchi oramai di maraviglia, teniam dietro, e insieme ad Agamennone arriviamo alla porta, sullo stipite della quale era un cartello inchiodato con questa iscrizione:


QUALUNQUE SCHIAVO USCIRÀ

SENZ’ORDINE DEL PADRONE

BUSCHERÀ CENTO SFERZATE.


Stava sull’ingresso un guardaportone vestito di verde chiaro con una cintura color di ciriegia, il qual mondava piselli in un catino d’argento. Pendeva poi sopra la soglia una gabbia d’oro, dalla quale una gazza vario-pinta salutava i concorrenti. Io poi di tante cose stordito, fui per cader tombolone a rischio di fracassarmi le gambe, per causa di un cane, che alla sinistra dell’ingresso vicino alla camera del guardiano era dipinto sul muro, legato con catena, colle parole cubitali al disopra GUARDATI DAL CANE.3 Ciò fe’ ridere i miei colleghi; ma io raccolto il mio spirito non rimasi dal proseguir lungo il muro. Il sito ove si vendon gli schiavi era tutto dipinto a cartelloni insieme al ritratto di Trimalcione,4 il qual chiomato col caduceo in mano entrava in Roma, e Minerva ne reggea le redini. Più innanzi era figurato in atto d’imparare i conti, e più oltre in foggia di tesoriere; e il bizzarro pittore ogni cosa avea diligentemente rappresentata con la iscrizione: sul finir poi del portico eravi Mercurio che lui col mento rialzato ponea sopra un alto tribunale. Ivi appresso era la fortuna ornata del corno dell’abbondanza, e le tre Parche che filavano penecchi d’oro.

[p. 38 modifica] Osservai pure nel portico una mandra di lacchè, che veniva esercitata da un istruttore. Oltr’a ciò, vidi in un angolo un grande armadio, ne’ cui stipi eran chiusi i lari d’argento, una statua in marmo di Venere, ed una scatola d’oro ben grandicella.

Io presi poi a dimandare il custode quai pitture vi fossero nel mezzo del portico, e mi disse ch’eran l’Iliade, e l’Odissea, e dalla parte sinistra due giuochi di gladiatori.

Non era possibile di osservar più oltre: venimmo perciò alla sala del convito, al cui ingresso un maestro di casa registrava i conti: ciò che più mi sorprese fu il veder attaccati alla porta del triclinio i fasci colle scuri, la cui estremità pareva uno spron di nave in bronzo, sul quale era scritto:


A CAIO POMPEO TRIMALCIONE

SESTOVIRO AUGUSTALE5

CINNAMO TESORIERE.


Al disopra di questa iscrizione stava una lucerna a due lumi pendente dalla volta, e due tavole infisse sulle due imposte, delle quali una, se ben mi ricordo, avea questo scritto:


I DUE GIORNI AVANTI LE CALENDE

DI GENNAJO CAIO NOSTRO CENA FUORI.


Nell’altra vedevasi dipinto il corso della luna e dei sette pianeti, e distinti con un segno i dì buoni, ed i climaterici.

Colmi di tante delizie andammo per entrar nel triclinio, quando un de’ fanciuili, che a quest’ufficio abbadava, gridò: COL PIE’ DESTRO.6 A dir vero noi tremammo alcun poco, che alcun di noi non passasse contro il divieto. Ma introdottici tutti col piè diritto, [p. 39 modifica]un ignudo schiavo prostrossi ai nostri piedi, e si pose a pregarci, che il liberassimo dal castigo, giacchè grande non era il delitto, pel quale era in pericolo, essendogli stato rubato ne’ bagni l’abito del Tesoriere, che appena valer potea dieci sesterzj.7

Retrocedemmo adunque col piè diritto, e fummo a pregare il Tesoriere, che stava contando danaro, di voler perdonare allo schiavo. Egli orgoglioso alzò la fronte dicendoci: non la perdita, ma la negligenza di quel pessimo servo mi arrabbia; egli ha perduta la veste da camera, regalatami da un mio cliente il dì della mia nascita,8 la qual era sicuramente di porpora, ed una volta soltanto fu lavata. Comunque sia però, in grazia vostra gli perdono.

Riconoscenti a sì gran beneficio rientrammo in sala, e venneci incontro quello schiavo medesimo, per cui avevam pregato, e moltissimi baci con sorpresa nostra ci diede, ringraziandoci della nostra umanità. E disse: vi accorgerete pure chi abbiate beneficato. Dare il vin del padrone è un favor del coppiere.



Note

  1. [p. 292 modifica]Ecco le prime pennellate (dice il sig. Nodot) che l’autore dà al ritratto del suo eroe. Egli lo rappresenta vecchio, e il fa giocare con ragazzi osceni, quali erano codesti fanciulli dai capegli lunghi, giusta il sentimento di S. Ambrogio, il qual riportando il proverbio de’ tempi suoi, dice: nullus comatus, qui non idem cinaedus.
    Trimalcione gioca coi calzari, soleatus, per mostrare che fa ogni cosa a controsenso, perchè questa calzatura si usava soltanto al sortir del bagno per passare a tavola, e non si entrava nel bagno che dopo aver giocato: perciò il gioco della palla trovavasi parimenti ne’ luoghi de’ bagni.
  2. [p. 292 modifica]Praticavasi veramente di passare dalla Cella caldaria alla tepidaria, poi alla frigidaria, ma qui si balza dalla prima all’ultima senz’altro pensiero, e ciò sicuramente

    Ut solidet calidam frigida lympha cutem,
    come dice Sidonio Apollinare.
  3. [p. 292 modifica]Seneca nel III libro De ira dice che alle porte de’ [p. 293 modifica]palazzi stavano grossi cani per assalire; e Artemidoro narra che alcuni contentavansi di farne dipingere, o porre in rilievo sulla parete presso la camera del custode con questa iscrizione CAVE CANEM; locchè fece dire a Varrone nel T. delle Eumenidi Cave canem inscribi jubeo. Alcuni credono che tali parole rinchiudano una morale, cioè di stare in guardia de’ maldicenti, che abbaiano contro tutti. Nota del signor Nodot.
  4. [p. 293 modifica]Alcuni trovano in questa descrizione un doppio senso.
  5. [p. 293 modifica]I Sestiviri o Seviri augustali, erano confraternite, o sacerdozj istituiti in onore d’Augusto imperatore, dopo che venne deificato. Così Claudio, Flavio, Vespasiano, Elvio, Pertinace, Adriano, ed altri essendo stati posti nel novero degli Dii, ne ebbero i sacerdoti che dicevansi seviri, o sodali Claudiali, Flaviani, Elviani, Adrianali, ecc. Il Sevirato era però una dignità ad tempus, che poteva essere confermata, come rilevasi dalle antiche lapidi riportate dagli storici, e dagli antiquarj.
  6. [p. 293 modifica]Inciviltà e funesto augurio sarebbe stato entrare ne’ templi, o nelle case de’ grandi, cominciando col piede sinistro.
  7. [p. 293 modifica]Sesterzj piccoli, cioè poco più di cinque paoli romani.
  8. [p. 293 modifica]Fu sempre costume che i maggiori venissero ne’ giorni anniversarj della loro nascita regalati dai minori. I clienti mandavan presenti, i poeti recitavano versi, e così del resto. Simili regali si facean pure, e si fanno gli amici fra loro, perchè l’uso de’ regali reciproci fu sempre in voga presso ogni nazione civilizzata.