Saggio sulla rivoluzione/Dall'opera: La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49

Dall'opera: La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49

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Dall'opera: La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49
Dal Saggio primo Testamento politico di Carlo Pisacane
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Dall’opera: La guerra combattuta in

Italia negli anni 1848-49.



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Il progresso mira ad agguagliare tutte le classi, ed a proclamare la sovranità del diritto. Le rivoluzioni segnano i punti trigonometrici sul vasto campo delle umane vicende.

La tirannide opprime i popoli e beata si gode le sue usurpazioni, finchè il progresso lento ma continuo delle idee comincia a richiamare l’attenzione di quelli sul peso delle proprie catene; e siccome sono sempre ribadite dalla menzogna, lo spirito umano si attiene alla prima idea o credenza che ricalcitri alla causa del dispotismo, poco curandosi di esaminarla. Un nuovo errore distrugge l’antico, e su di esso si eleva nuova tirannide, destinata a percorrere il medesimo ciclo. In tal modo avendo per assintoto il vero, la cicloide del progresso continua il suo corso.

Gli schiavi furono francati dalla formola della fratellanza evangelica, lo stato misero, l’ignoranza in cui vivevano, fece loro accettare tutte le cose predicate da uomini, i quali o videro la necessità d’ingannarli per loro salvezza, o erano essi medesimi illusi. Ma educate le masse a credere e non ragionare, gli scaltri tosto le padroneggiarono, ed alleandosi con la forza, il cattolicismo, il privilegio, ed il trono formarono la nuova tirannia sostenuta dall’arma medesima che aveva abbattuta l’antica: la fede.

Lutero cominciò a scrollare il nuovo edifizio, sostituendo all’autorità il libero esame; i filosofi del secolo [p. 261 modifica]decimottavo gli diedero il crollo. Ma quei filosofi benchè di vaste cognizioni, di acutissimo ingegno e di animo forte, dovettero soggiacere all’influenza della società in cui vivevano, nè poterono internarsi nel profondo delle loro dottrine.

Essi misero in mostra l’impossibilità delle massime evangeliche, sparsero il ridicolo sulla fede e ridonarono air uomo la libertà che gli aveva rapito l’impostura. Spezzarono cosi un ignobile fireno, ma senza crearne uno novello. Il socialismo fondato sull’utile di ciascuno, e non già suir abnegazione ed il sacrifizio, non cadde sotto i loro sensi. I loro lumi furono inviluppati dalla nebbia che li circondava, e l’egoismo rimase sbrigliato affatto. E perciò una società inegualissima si ricostituì sulla lotta, la libertà, la concorrenza; quindi nuova tirannide al vertice di questo altro ramo della curva. La classe media che aveva compita la rivoluzione, potente di mente e di mezzi, oppresse il popolo che mancava di tutto.

L’era nuova verso cui ci avviciniamo a gran passi, ridurrà l’inmiensa e putrida macchina governativa alla sua più semplice espressione; il popolo non delegherà più, nè potere, nè volere. Il solo sostegno del governo sarà l’opinione pubblica. Il genio è destinato a servire il popolo coi suoi lumi, ed ottenere non altro compenso che r accettazione delle sue idee.

L’Italia soggiacque alla rivoluzione dell’89, e debolissima come era rimase preda dei forti. La classe media che avea quasi da per tutto acquistata la supremazia restò in Italia sotto il più crudo dispotismo. La nobiltà, che si trovò già in parte assorbita dai troni, venne distrutta. Gli avanzi di questa famiglia, parte si rifuggirono nelle anticamere delle corti, parte si confusero con la classe media. I primi costituiscono, ove è corte italiana, la sedicente aristocrazia, legata al trono non già per grandi interessi, ma per ignoranza ignavia. [p. 262 modifica]

La borghesia voleva esistere, essa rappresentava la nazione, e da lei uscirono filosofi, cospiratori e martiri. Costoro oppressi dal dispotismo non ebbero campo sufficiente a spiegare l’ingegno, e come pensatori rimasero interdetti. Essi furono e sono i propugnatori della rivoluzione dell’89, meno il sangue, ed i proclamatori delle formole di diciotto secoli fa, mascherate con altre parole.

Infine hanno predicato e predicano il progresso, proponendo come mezzo le antiche massime del Vangelo, e come fine la costituzione dell’89, già trasformata in tirannide. Queste sterili dottrine non poterono generare concetto veruno, ma inorpellate da belle parole, ridotte a forma di poesia, preoccuparono i cuori sensitivi della gioventù italiana, la quale in queste mistiche declamazioni unicamente imparava l’odio contro il passato, che in tutta la forza delli abusi era riassunto e rappresentato dai governi. Si fecero a cospirare, e come cospiratori spiegarono maggiore abilità di quello che non avevano mostrato come filosofi. Ma tutti i moti iniziati in Italia dopo il quindici, più meno vasti, caddero tutti, dappoichè essi attaccavano la forma del despotismo e non già il despotismo medesimo. La parola democrazia di cui si servivano, suonava per essi il regno della borghesia, la quale benchè oppressa politicamente, regnava per la costituzione sociale; quindi si trattava di transazioni o di cambiamenti d’individui. Ma i tirannelli d’Italia, protetti dall’Austria, erano troppo forti perchè potessero essere abbattuti da un movimento, il quale non si comunicava alle masse. Per tal guisa la classe media, che in Francia opprime ed avvilisce la nazione, in Italia invece diede nobilissime vittime. Intanto ad ogni loro conato, e ad ogni vittoria, il despotismo infieriva e diventava più ingordo; quindi maggiormente si fortificava nei cuori l’odio contro di esso, e cominciava a passare nelle masse, le quali forse non comprendevano quello che dalli agitatori si voleva, ma cominciava a [p. 263 modifica]sentire il bisogno di migliorare. La formula, la parola di questo futuro, non esisteva ancora nelle menti.

L’Austria continuava a concentrare il potere, ed incurvava così un arco di acciaio non prevedendo la reazione della sua elasticità. I lombardo-veneti intesero di essere italiani, appena l’Austria volle che fossero tedeschi. La parola Nazionalità percorse da un’estremo all’altro d’Italia, ed i bisogni materiali del popolo, i desiderii dell’ardente e poetica gioventù, furono espressi da tali parole. Lo straniero fu additato da tutti come la causa di ogni male.

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La borghesia, impotente per sè medesima, in Europa è tirannica ove regna, e demagoga ove è serva.

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i repubblicani dicono di non accettare il formalismo, ma combattono il comunismo, temono dichiararsi socialisti, propugnano il vangelo, in una parola niegano la rivoluzione e vogliono la rivoluzione. Quali sono le riforme da essi desiderate? S’ignora, l’ignorano essi medesimi, e pretendono che il popolo, per conquistare questo futuro incognito, compia la rivoluzione, ed attenda che Iddio comunichi le tavole della legge ad un nuovo Mosè.

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Egli è una verità incontrastabile, che i mali delle nazioni non dipendono dagli uomini, i quali non sono che i frutti delle loro costituzioni sociali, e da cui non bisogna attendere un’abnegazione sinora sognata per mancanza di principii. Finché il governo reggerà, invece di amministrare, ordinerà in luogo di seguire la via che il concetto collettivo gli addita, comanderà più tosto che servire il popolo, non potrà esservi giammai garanzia possibile. [p. 264 modifica]

Esso dirigerà sempre gli interessi individuali al proprio bene e sostegno, e non già in favore dell’utile collettivo. Quali sono le cause di cotesti mali, quali i mezzi che il governo possiede? La forza, la corruzione e la scienza; ovvero l’esercito, gli istrumenti del lavoro, e la educazione. Qual’è lo scopo a cui mira la futura rivoluzione? A democratizzare queste forze.

L’arte della guerra non dovrà più essere il monopolio di pochi, ma la nazione tutta dovrà essere guerriera; gli istrumenti del lavoro, in comune; l’educazione, universale, comune, gratuita, obbligatoria. Che si dichiarino utopistici tutti i sistemi esposti sinora, da sommi ingegni, la questione non cambia. La rivoluzione futura è chiaramente formulata. Le numerose legioni del popolo non potranno avere altra bandiera, se non questa. La pratica di questo concetto, sortirà dai vortici della rivoluzione stessa.

Queste verità vengono negate dal partito rivoluzionario; e dopo lunghi anni di propaganda, dopo molti inutili tentativi, suggellati col sangue di numerose vittime, dopo una sollevazione italiana, pronta, universale, trionfante; dopo l’attuazione della Repubblica in Roma ed in Venezia, non esiste ancora un’idea, non si rammenta un fatto, non un decreto che accenni le sorti future dell’Italia, ch’esprima un principio; e se le sorti della nazione dipendessero dall’inspirazione di tali individui, l’Italia arretrata di mezzo secolo, nel mezzo della rivoluzione europea, subirebbe il socialismo, come subì la rivoluzione dell’89. Ma il popolo cammina da sè, esso di già trovasi innanzi ai partiti. La nave naviga a gonfie vele, mentre i piloti che pretendono timoneggiarla la seguono a rilento, su debole battello.

Sono tre secoli, e già dall’Italia la voce di Campanella precorreva i bisogni dell’umanità; ma essa si spegneva senza eco, e Campanella scontava con ventisette anni di carcere i voli del suo ingegno. Il bisogno collettivo [p. 265 modifica]che doveva dare pieno sviluppo alle verità annunziate da quel solitario genio sorgeva in Francia prima che altrove. Nel 33 si leggeva a Lione sulla bandiere del popolo: Viwe en travaillant ou mourire en combattant e quindi in giugno si vide mitragliare il popolo stesso, perchè voleva vivere. Questi fatti richiamarono l’attenzione di ogni Italiano, e mentre il governo francese bombardava Roma, la nazione francese operava in Italia una salutare invasione d’idee, e come la mente di un individuo comincia a svilupparsi per l’influenza del mondo esteriore, così il popolo Italiano, ad onta della tirannide che l’opprimeva, intese subito l’influenza del progresso europeo; e le masse si avvicinano al possesso della ragione con tanta più rapidità, in quanto che tale sviluppo armonizza con le sofferenze dei loro sensi. Non perciò può dirsi che in Italia siavi un partito socialista, pronto ad operare in questo senso. Ma il primo germe esiste, il popolo sente i suoi mali, e mormora nello scorgere il proprietario ed il capitalista, eziandio, godenti il frutto dei lavori del contadino e dell’operaio, mentre questi guadagnano a frutto a frutto la vita; il popolo più non accetta il suo stato, ma lo subisce. Questo primo sentimento di disgusto, per lo stato presente, che già comincia a palesarsi nel popolo, è il germe della futura rivoluzione Italiana; germe che i pensatori dovrebbero svolgere, elaborare, discutere, formulare, renderlo popolare e farne la bandiera di un partito.


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L’Italia non ha altra speranza che nella grande rivoluzione sociale.